MARIO TOZZI: “ABBATTERE L’ORSA? UNA VENDETTA SENZA SENSO”
“NOI UMANI NON SIAMO UNA SUA PREDA”: L’INTERVISTA AL DIVULGATORE SCIENTIFICO E SCRITTORE
L’orsa JJ4 è stata catturata. Ora cosa accade? Il suo destino, secondo l’ordinanza del presidente della Provincia Autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, è di essere abbattuta. Ma, lo scorso 14 aprile, il Tar di Trento ha emanato un decreto di sospensione dell’ordinanza di abbattimento. L’esemplare verrà trasferito nel centro faunistico del Casteller (dove è rinchiuso anche l’orso M49), in attesa della decisione del Tar.
Mario Tozzi cosa pensa dell’ordinanza di abbattimento dell’orso?
«L’abbattimento è una soluzione sbagliata in generale. In questo caso particolare quale significato avrebbe? Un valore di monito presso la popolazione degli orsi? Francamente non si capisce. Se non è una vendetta, una rappresaglia, sentimenti che non ci dovrebbero appartenere, quello che succede è che basterebbe mettere l’orsa in condizioni di non nuocere. Come? Portarla in un luogo opportunamente recintato, come si fa in tanti casi di reazioni da parte degli animali, e poi sorvegliarla con un radiocollare che funzioni, non come quello che aveva quest’orsa, che pare si fosse scaricato. Abbatterla è una scelta difficile da comprendere. È una scelta politica? Gli hanno detto devi ammazzarla, e lui (il presidente Fugatti, ndr) pensa di fare giustizia come se si potessero attuare i concetti di giustizia dei sapiens agli altri viventi».
Quindi come giudica la decisione del presidente della Provincia autonoma di Trento?
«Probabilmente non sa nulla di storia naturale, pensa a una rappresaglia, cerca un tornaconto politico. Non ha alcun senso l’ipotesi di abbatterlo. La Lega antivivisezione ha chiesto che potessero adottare questi orsi, diciamo “problematici”, in strutture loro, non certamente in un zoo. Anche in Abruzzo esistono una specie di valli recintate molto ampie in cui ci sono, per esempio, a Campoli due orsi bruni di un circo che sono stati liberati e vengono tenuti lì, e dall’altro due orsi marsicani che avevano avuto dei contatti con la popolazione e sono stati portati sempre lì. Non si capisce perché in Abruzzo si riesce, dove, tra l’altro, c’è una pastorizia forse anche più sviluppata, i pastori da tempo convivono con l’orso senza problemi. In Trentino no. Non capisco il perché».
Ma gli esperti l’hanno giudicata, anche in passato, come un esemplare “problematico e aggressivo”.
«Cosa vuol dire “aggressivo”? Per gli animali questo aggettivo ha poco senso. L’orso diventa aggressivo e reagisce quando vede il sapiens come un nemico o una minaccia. Noi potremmo non comprendere perché vede minacciose certe situazioni, ma sappiamo quali sono le pratiche che funzionano: farsi sentire segnalando la propria presenza, magari mettendo un campanello attaccato allo zaino o alla caviglia, è un modo per annunciarsi, così l’orso scappa. Non siamo una sua preda, non cerca di ingaggiare una colluttazione con noi perché non facciamo parte del suo target alimentare».
Questa scelta la considera anche “diseducativa”, ha detto.
«Certo. Profondamente diseducativa. Cosa stiamo dimostrando: noi li abbiamo reintrodotti, però, quando si ripopolano, ed è quello l’obiettivo, li facciamo fuori? Che senso ha? Soprattutto per una specie come l’orso che è una “specie ombrello”. Anche da un punto di vista simbolico l’uccisione di un animale di una specie protetta non è mai una buona cosa, lascia pensare che gli uomini proteggono natura e animali solo quando stanno alle proprie regole, ma questo, nel caso della fauna selvatica, è difficilmente fattibile».
Insomma cosa necessiterebbe fare?
«Incidenti simili a quello avvenuto in Trentino sono molto limitati e sono tutti determinati dai nostri comportamenti. Non sono determinati dal fatto che l’orso è una specie aggressiva o che quell’orso è particolarmente aggressivo, casomai può essere particolarmente confidente, cioè avere meno paura dei sapiens perché li ha già incontrati. A quel punto basta metterlo in condizione di non nuocere. Ricordiamoci che l’orso per l’80% è vegetariano, mangia bacche, radici, frutta, verdura, miele, insetti e, occasionalmente, ha come preda un piccolo di un cinghiale, o un animale malato, morente o appena morto. Viene chiamato il più grosso carnivoro dell’emisfero boreale ma è una definizione sbagliata. Di carnivoro c’è molto poca carne».
Quindi la morte del giovane runner come la considera?
«Dolorosa. Un evento sfortunato determinato da qualche comportamento strano. Non dal fatto che l’orso fosse in agguato. Magari se l’è trovato davanti improvvisamente. Non sono in grado di stabilire la dinamica dell’accaduto. Ma abbiamo anche visto il video di un bambino che incontra un orso: il bimbo si gira e se ne va lentamente. L’orso si alza, lo segue per un po’ e poi lascia perdere. Vale lo stesso per i lupi. Ripeto, i sapiens non sono una loro preda».
Se c’è stato un errore di valutazione della popolazione degli orsi in Val di Sole, da dove parte, secondo lei?
«Quando si fanno progetti di ripopolamento, che non è nemmeno questo il caso perché l’orso c’era, si sa che la popolazione non la stabilisci tu per legge ma la relazione che esiste tra la pressione demografica della specie e l’ambiente. Arrivati al di sopra delle risorse ambientali gli orsi non si riproducono più. Se sono arrivati al doppio dei 50 che si prevedevano è perché qualcuno sbaglia i conti nel pensare che possa essere così. L’orso per definizione non rimane nei confini del parco perché è nomade e, se ha territorio e possibilità, si riproduce. Non è che noi possiamo aiutare lupi e orsi perché devono rimanere nei parchi. Non è possibile. Come dicevo prima è una «specie ombrello», significa che difendendo l’orso si difende anche l’habitat, ed è questo che ci interessa».
Perché?
«È importante che l’habitat sia poco contaminato. Poi è ovvio che l’orso cerca anche altre fonti di cibo, diciamo, artificiale, ma questo dipende dai nostri comportamenti. Bisogna tenere tutti i rifiuti lontani, si fa attenzione e, magari, si fa anche un passo indietro perché, alla fine, è importante che quell’habitat sia conservato soprattutto per noi. Lo si vede in tutti i posti in cui la convivenza con l’orso c’è da tempo e non succede niente».
Per capire meglio ci faccia un esempio.
«In certi luoghi dove l’orso è molto aggressivo perché è un’altra specie, parlo dell’orso polare nei villaggi delle isole Svalbard dove sono stato, si lasciano appositamente le porte aperte dei piani inferiori di tutte le case in modo che se tu lo incontri, riesci a rifugiarti dentro. Ma non è che si spara all’orso per strada. Quelli entrano e cercano. Rifiuti non gliene lasci, piano piano non avranno più l’abitudine di avvicinarsi. E parliamo dell’orso bianco che è solo carnivoro e per la sua mole è disposto alla predazione. Qui parliamo dell’orso bruno europeo che non ha niente a che vedere con questi».
Importanti, quindi, sono i nostri atteggiamenti nei confronti di questi animali?
«Ognuno deve prendere le misure dell’altro. L’orso non rimane solitario ma non viene a “sfruguliare”, e tu non devi “sfruguliare” lui, anche inconsapevolmente.
I comportamenti idonei sono: segnalare la propria presenza, non lasciare mai rifiuti, nel caso in cui ci fosse l’incontro restare fermi. Qualcuno dice “fingersi morto”, ma non so se si è in grado di fare questo. Utile anche allargare le braccia per mostrare una presenza fisica maggiore di quella che hai, restando in piedi, fermo. Poi basterebbe avere anche la deroga che ti permette di avere degli spray urticanti a lunga gettata o una scacciacani. Se il rumore è forte l’orso se ne va. O un teaser di quelli elettrici, ma in questo caso vuol dire che c’è già una colluttazione in corso».
Quale futuro scenario vogliamo per i nostri territori?
«Se decidiamo che queste situazioni non vanno bene è inutile che continuiamo a fare progetti di riqualificazione ambientale, di rewilding e renaturalizzazione, lasciamo perdere e sterminiamoli tutti. Se, invece, pensiamo che questi progetti sono importanti, soprattutto, per noi, perché un ecosistema sano significa sapiens più sani, perché più natura vuol dire più salute, meno pandemie, epidemie, meno morti per inquinamento, andiamo avanti. Se non ci crediamo facciamo un passo indietro. Ma ricordiamoci anche che in tanti paesi questi animali possono essere anche un motore turistico in cui si va volentieri per l’habitat intatto. A me è successo diverse volte di incontrare orsi negli Stati Uniti e in Canada, e non mi è successo mai niente».
(da La Stampa)
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