MATTEO ORDINA: “NON INVEITE SU FASSINA”
AL SENATO SONO 4 I PD CHE NON VOTERANNO LA FIDUCIA SULLA SCUOLA, RESTA UN MARGINE DI 9 VOTI, MEGLIO NON ESACERBARE GLI ANIMI
L’ordine di scuderia è di non infierire su Stefano Fassina e comunque di tenerla bassa. L’addio di un altro deputato Dem al partito, dopo Sergio Cofferati e Pippo Civati, non sconvolge Matteo Renzi, anche perchè la notizia era largamente attesa.
Ma cade in un momento politico più complicato, con un Pd più debole.
Ecco perchè da Palazzo Chigi, subito dopo la conferenza stampa di Fassina, parte l’indicazione: evitiamo gli attacchi frontali e anche le ‘renzate’, i toni arroganti e gli sfottò.
Insomma, nulla di simile alla battuta usata dallo stesso Renzi il 12 maggio scorso, quando il tono era ancora baldanzoso, due settimane prima delle regionali. “Fassina se ne va? Problema suo”, disse allora il premier.
Nulla di tutto questo. Anzi al Senato i suoi avviano subito la ricognizione in vista del voto di fiducia sulla ‘Buona scuola’ previsto per domani pomeriggio.
Il risultato è positivo per il governo, ma non è tutto rose e fiori.
In sostanza, al Senato non c’è un ‘effetto Fassina’, non c ‘è una catena di partenze dal Pd, però saranno ben 4 i Dem che certamente non voteranno la fiducia sul ddl scuola domani.
Sui taccuini dei renziani sono cerchiati in rosso i nomi di Corradino Mineo, Walter Tocci, Loredana Ricchiuti e Roberto Ruta.
In realtà , sono stati annotati da tempo, ma negli ultimi giorni se n’è avuta la certezza: loro quattro non voteranno la fiducia sul ddl scuola.
La maggioranza dovrebbe esserci comunque, secondo i calcoli del governo, ma sempre più risicata, “9 voti di scarto”, ha quantificato soltanto ieri il presidente del Senato Pietro Grasso ospite di ‘Otto e mezzo’ su La7.
Tra l’altro, va detto, che la via della fiducia è stata imboccata per evitare la sostituzione di Mineo e Tocci dalla commissione Cultura.
E pensare che solo un anno fa, Mineo (insieme a Vannino Chiti) fu sostituito dalla commissione Affari Costituzionali per i dissensi sul ddl Boschi di riforma del Senato. E solo qualche mese fa la stessa cosa è avvenuta per alcuni componenti di minoranza Pd in commissione Affari costituzionali alla Camera per i dissensi sull’Italicum.
Ecco, oggi Renzi non privilegia più questa strada. La cornice è diventata più complicata, la linea dura non regge a tutti i costi.
Eppure, in vista del nuovo esame sulle riforme costituzionali in Senato, il premier e i suoi in Parlamento stanno pensando di rendere effettive, una volta per tutte, le regole stabilite nello ‘statuto’ dei gruppi parlamentari.
Quelle che imporrebbero a chi non è d’accordo con la linea del partito, di chiedere al capogruppo di essere sostituito in commissione, per non creare problemi alla maggioranza.
Tutto questo finora non è avvenuto.
Ieri sera una lunga riunione di maggioranza Dem al Senato ha tentato di mettere a fuoco la questione. L’obiettivo è cercare di costruire argini intorno alla maggioranza di governo in vista del voto sulle riforme in Senato a luglio.
Ci si riuscirà ? Nessuno è pronto a scommetterci: il renzismo è entrato in una terra di mezzo anche nebbiosa.
Per tutti questi motivi, il premier sceglie di non attaccare frontalmente la decisione di Fassina.
Il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini si dice “dispiaciuto personalmente”. E si limita ad aggiungere: “Credo sia una scelta sbagliata anche se la giudico con rispetto, perchè il nostro è un grande partito in cui tutte le voci possono farsi sentire: tutti possono contribuire a definire la linea politica di un grande partito riformista come il Partito democratico. Altre avventure mi sembrano avventure velleitarie cui guardiamo con rispetto ma che non condividiamo”.
David Ermini, responsabile Giustizia del Pd, ultrà renziano, si limita ad un sarcastico “Auguri!” a Fassina.
“La sua scelta dispiace — dice il presidente del Pd, Matteo Orfini — perchè dovrebbe continuare a fare le battaglie nel Pd dove il pluralismo non manca. Anche perchè non mi pare che fuori ci siano prospettive di cambiamento”.
Ma sotto sotto, nella cerchia stretta del premier si cominciano a fare due calcoli sul futuro e non solo sul voto di domani al Senato.
La premessa è che l’Italicum “non verrà modificato”.
“E’ una partita chiusa”, ci dice il renziano Dario Parrini, deputato e segretario regionale Pd in Toscana. Fuori discussione la possibilità di acconsentire al pressing di Silvio Berlusconi che da giorni manda i suoi emissari in casa Pd — per esempio il capogruppo di Forza Italia al Senato Paolo Romani — a dire che bisogna trasformare il premio di lista dell’Italicum in un premio alla coalizione.
Renzi non ne vuole sapere. Anche se sa che la legge elettorale che fortemente ha voluto, approvata con voto di fiducia e grandi tensioni nel Pd, probabilmente non lo garantisce dalla concorrenza del M5s e magari anche del centrodestra.
Ed è qui che ritorna il ragionamento su Fassina.
“Ragionando in prospettiva — confida una fonte renziana — è solo positivo che nasca una forza a sinistra del Pd. Un domani, alle elezioni, sarebbero tutti nella lista unica del Pd candidata con l’Italicum”.
Ammesso che ci si riesca a convincere chi è appena uscito dal Pd – come Fassina, Civati e Cofferati – a rientrarci.
“In fondo, è lo stesso problema che Berlusconi ha con Alfano…”, ragionano i parlamentari più vicini al premier.
“Con Fassina oggi è il giorno della rottura, poi ci sarà la ricostruzione… Fino al 2018 c’è tempo”.
Sempre ammesso che si voti nel 2018 e non prima.
(da “Huffingtonpost”)
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