MELONI E QUELL’ELENCO DI NEMICI PER INDEBOLIRE SCHLEIN CHE DIVENTA SEMPRE PIU’ PERICOLOSA
LA CLASSE DIRIGENTE DI FDI NON PUO’ PIU’ GALVANIZZARE LA BASE CON LE VECCHIE PAROLE D’ORDINE
Cinquantamila presenze, 73 ore di dibattiti con 527 interventi, 415 volontari, oltre mille giornalisti accreditati da tutto il mondo e una domanda rimasta in sospeso fino all’ultimo: dopo la pax meloniana con l’Europa di Ursula von der Leyen, la tregua con Emmanuel Macron impantanato nei guai suoi, il recupero del feeling con Donald Trump, sappiamo chi sono i nuovi e vecchi amici della destra italiana, ma chi le è rimasto come nemico?
Le cifre di Atreju 2024 sono un buon punto di partenza per spiegare il problema. Segnano un indubbio successo ma anche una insidiosa differenza col passato. Ieri la difficoltà era trovare ospiti e pubblico, respingere le accuse di autoritarismo o addirittura di fascismo, limitare gli scivoloni dei neofiti del potere.
Oggi il guaio è diventato respingere l’assalto ai panel e misurarsi con un consenso fin troppo ossequioso. Alla festa volevano esserci tutti, e tutti in posizione di massima visibilità, e alla fine tutti ci sono stati nell’inevitabile atto di omaggio a chi comanda, gestisce, nomina, e persino quelli dell’altra parte – Giuseppe Conte, Enrico Letta, Carlo Calenda – hanno usato l’occasione più per lanciare messaggi alla loro area che per offrire il petto al fuoco del nemico.
Pure certe posizioni esagerate sono diventate tabù. Giorgia Meloni ha scelto l’Europa, ha messo un fedelissimo alla vicepresidenza della Commissione, ha pronunciato un fatidico sì al nuovo governo dell’Unione, e insomma: la sua classe dirigente non può più galvanizzare la base con le vecchie parole d’ordine contro gli euroburocrati, la misurazione delle zucchine, gli amici di Soros, gli immigrazionisti e i loro piani di sostituzione etnica.
Ogni singolo dibattito si è dovuto piegare alla logica della responsabilità e della continenza. Persino il round ultra-conflittuale sui famosi valori non negoziabili tra Alessandra Majorino del M5S, la moderatrice Bianca Berlinguer e Massimo Gandolfini del Family day, si è concluso all’insegna di un pacioso “ogni opinione è lecita, noi ascoltiamo tutti”.
La Atreju dello scorso anno, Castel Sant’Angelo, era stata la festa dei nuovi innamorati della destra governativa, Elon Musk, Rishi Sunak ed Edi Rama, e ancora qualche nemico c’era perché Meloni restava ferma al bivio tra militanza euroscettica e riconciliazione con l’Unione: le suggestioni del partito di trincea restavano vive, possibili, evocabili dai palchi. In questa Atreju 2024 ogni nodo è stato sciolto, ogni decisione presa, tutto rende evidente che continuerà così per un bel pezzo, e insomma: come rianimare lo spirito combattente dei bei tempi, come tenere in armi un partito diventato enorme dove ognuno ha ormai uno spicchio di potere e connessi doveri d’ufficio? Chi è il nemico ora che si è fatta pace con l’Europa, si dialoga con la grande impresa, si governa la Rai, si ottiene audience e attenzione equilibrata anche dai famosi “giornaloni” e persino le detestate Ong alzano bandiera bianca sul Mediterraneo?
Beh, come al solito ha dovuto pensarci Meloni. Dopo 73 ore di dibattiti e 527 interventi davanti a cinquantamila ospiti, 415 volontari e oltre mille giornalisti accreditati da tutto il mondo, la presidente del Consiglio ha offerto alla platea un lungo elenco di obbiettivi polemici. Elly Schlein non le basta (o forse preferisce non farla svettare come volto principale dell’opposizione), Conte gli ha fatto la cortesia di partecipare al gioco della festa, Matteo Renzi vai a vedere, magari torna utile. E allora meglio i vecchi Voldemort dei bei tempi dell’opposizione, il sindacato (Maurizio Landini) che proclama scioperi solo per aiutare la sinistra, lo scrittore-simbolo dell’intellighenzia progressista (Roberto Saviano) e pure, assolutamente a sorpresa, Romano Prodi: il nome giusto per chiamare il ruggito del popolo di Atreju che lo detesta da sempre e ha ancora con la convinzione che nel 2006 abbia rubato la vittoria al centrodestra di Silvio Berlusconi.
Si faranno molte dietrologie su quell’elenco offerto ai fischi della platea, e già c’è chi attribuisce alla premier un qualche tremore per il ritorno in campo del Professore o addirittura doti di preveggenza per aver capito che “Romano rimane l’avversario più attrezzato del centrodestra” (lo dice Gianfranco Rotondi, deputato FdI). Qui si avanzerà un dubbio opposto, e cioè che Schlein cominci a diventare figura preoccupante e dovendo scegliersi un nemico la premier ritenga più utile intruppare il suo nome in una red list più prevedibile e datata, la lista del “sempre gli stessi” contro cui la destra ha già vinto, e dunque: standing ovation, applausi, boati, sipario, anche stavolta è andata
(da La Stampa)
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