NAPOLI, IL RACCONTO DI UN EX BABY CRIMINALE: “CON LA DROGA GUADAGNAVO ANCHE 10MILA EURO AL MESE. LE ARMI TI FANNO SENTIRE GRANDE. ‘TENGO LA PISTOLA, S O’ RUOSS’, PENSANO
“SOLDI E DROGA, ANCH’IO VIVEVO COSÌ GUADAGNAVO DIECIMILA EURO AL MESE MA A TUTTI DICO: NIENTE SCORCIATOIE”
«Appena arrivato a Nisida mi sono detto: “Mi hanno portato in carcere? E allora sono uno buono . Ero pronto a spaccare il mondo». Aveva 15 anni, M. C., napoletano del quartiere Secondigliano, quando fu condotto per la prima volta nell’istituto minorile che ha ispirato la fiction Mare fuori . Aveva commesso reati di droga, era già stato per tre mesi in comunità ed era evaso due volte. Oggi ha cambiato vita, ha 27 anni, si è trasferito in centro Italia e lavora sodo. Assistito dall’avvocata Mariangela Covelli, ha chiuso i conti con la giustizia. E ai ragazzi che, nella sua città d’origine si fanno la guerra a colpi di pistola, dice: «Basta con le armi e con l’illegalità. Trovatevi un lavoro».
Perché secondo lei tanti giovanissimi girano con una pistola in tasca?
«È diventata una tragica moda. Lo fanno per sentirsi grandi. “Tengo la pistola, s o’ ruoss ”, pensano. Sono forte»
Il carcere può aiutare un ragazzo a comprendere i suoi errori?
«Può servire, ma solo se dietro al ragazzo c’è una famiglia. A me non è capitato, non ce l’avevo. Mia madre e mio padre erano detenuti. Ero solo e tutto ciò che mi passava davanti era tutto negativo».
Come si comportò una volta entrato in cella?
«Il primo anno non è stato facile, litigavo con tutti. Mi proponevano corsi di ogni tipo: informatica, pizzeria. Ma io rifiutavo sempre. Un giorno facevo discussioni con gli agenti, l’altro con i ragazzi. E ogni volta finivo in isolamento. Da una cella all’altra. Poi si avvicinò un educatore e le cose cambiarono».
Perché?
«Prese a cuore la mia situazione. Mi diede un obiettivo da raggiungere: se ti comporti bene, disse, ti faccio andare a lavorare e potrai tornare a casa. Mi sono fidato. Così ho cambiato atteggiamento. Ho iniziato a frequentare i corsi, ho conseguito il diploma da elettricista e un attestato per poter lavorare, facevo ceramica. Sono uscito da Nisida a 17 anni con l’affidamento ai servizi sociali».
E ha chiuso con il crimine?
«Non in quel momento. Ho commesso un altro reato. E sono finito a Poggioreale. Il carcere è più duro, celle affollate, caldo».
Il carcere non l’ha aiutata, dunque?
«Recuperare i detenuti è sempre una cosa molto difficile, sia per i minori, sia per gli adulti. Le opportunità, a Nisida, te le danno. La prima cosa è la volontà del ragazzo. Nessuno riesce a farsi un’altra vita solo grazie al carcere
E come è andata?
«Oggi quelli che mi vedono, mi apprezzano. Ci vogliono più attributi per andare a lavorare che per commettere un reato. Non ho niente contro lo Stato, ma non fanno nulla per aiutare il mondo delle carceri. Solo chi ci è stato dentro può capirlo. Guadagnavo anche 10mila euro al mese con la droga. Ma mi sento più ricco oggi perché lavoro».
(da la Repubblica)
Leave a Reply