‘NDRANGHETA, MAXIOPERAZIONE IN LOMBARDIA: ARRESTATO IL SINDACO DI SEREGNO PER CORRUZIONE
EDOARDO MAZZA (FORZA ITALIA): IL SINDACO CONTRARIO A CHI CHIEDEVA L’ELEMOSINA
Dal traffico internazionale di droga alla corruzione, dalla Calabria alla Lombardia, fino a una cittadina della Brianza, quella di Seregno, dove nell’ultimo blitz contro le infiltrazione della ‘ndrangheta al nord, ai domiciliari finisce anche il sindaco.
E’ accusato di corruzione per aver favorito gli affari di un noto costruttore ritenuto legato alle cosche, interessato in particolare alla costruzione di un supermercato, in cambio di voti.
In un rapporto tra criminalità organizzata e politica, che secondo gli inquirenti, è stato determinante per la sua stessa elezione.
Il blitz.
I carabinieri del Comando provinciale di Milano hanno eseguito dalle prime luci dell’alba una serie di arresti nelle province di Monza, Milano, Pavia, Como e Reggio Calabria nell’ambito di un’inchiesta su infiltrazioni della ‘ndrangheta nel mondo dell’imprenditoria e della politica in Lombardia.
Tra gli arrestati anche il sindaco di Seregno (Monza) Edoardo Mazza, di Forza Italia. È accusato di corruzione: avrebbe favorito gli affari (in particolare la realizzazione di un supermercato) di un noto imprenditore legato alle cosche, Antonio Lugarà , che a sua volta si sarebbe doperato per procurargli voti.
Le misure cautelari.
L’inchiesta è coordinata dalla Procura di Monza e dalla Procura distrettuale Antimafia di Milano. In tutto, 27 misure cautelari: 21 in carcere, 3 ai domiciliari e 3 interdittive, firmate dai Gip Pierangela Renda e Marco Del Vecchio.
Nell’inchiesta, tra l’altro, sono coinvolti anche altri due politici locali di Seregno: un consigliere comunale è agli arresti domiciliari, mentre per un assessore, Gianfranco Ciafrone, è stata disposta l’interdizione dai pubblici uffici.
Le accuse.
Le 27 persone sono accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, detenzione e porto abusivo di armi, lesioni, danneggiamento (tutti aggravati dal metodo mafioso), associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, abuso d’ufficio, rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale.
L’inchiesta.
L’inchiesta dei carabinieri, partita nel 2015, e che porta la firma dei Pm monzesi Salvatore Bellomo, Giulia Rizzo e del Procuratore della Repubblica di Monza Luisa Zanetti e dei Pm della DIA Alessandra Dolci, Sara Ombra e Ilda Boccasini, rappresenta una costola dell’indagine “Infinito”, che nel 2010, sempre coordinata dalle procure di Monza e Milano, aveva inferto un duro colpo alle “Locali” ‘ndranghetiste in Lombardia.
Cosche e politica.
A legare a “doppio filo” politica e ‘ndrangheta, sarebbe stato l’imprenditore edile di Seregno il quale avrebbe intrattenuto rapporti con politici del territorio, e coltivato frequentazioni e rapporti fatti di reciproci scambi di favori con esponenti della criminalità organizzata. Il suo ruolo sarebbe stato “determinante” per l’elezione del sindaco arrestato, secondo le ricostruzioni degli inquirenti. Il suo interesse era quello di ottenere dai politici una convenzione per realizzare un supermercato nel monzese.
Droga ed estorsioni.
Secondo le indagini, i presunti esponenti della ‘ndrangheta arrestati stamane erano dediti al traffico di droga e alle estorsioni. Le indagini hanno portato all’identificazione del sodalizio legato alla Locale della ‘ndrangheta di Limbiate (Monza) composto da soggetti prevalentemente originari di San Luca (Reggio Calabria), che secondo l’accusa aveva avviato in provincia di Como un ingente traffico di cocaina, ed è ritenuto responsabile di alcuni episodi di violente estorsioni nella zona di Cantù.
Le intercettazioni.
“Vogliono mettere in piedi San Luca (…) San Luca a Milano … al nord”. Così uno degli arrestati parlava delle mire espansionistiche (il riferimento è a San Luca, piccolo comune in provincia di Reggio Calabria) delle cosche in relazione ad un grosso traffico di cocaina nel Comasco. In altre telefonate captate dagli investigatori i presunti affiliati alla ‘ndrangheta parlavano anche di “mitra” e “kalashnikov”.
(da agenzie)
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