NO MES E NON SI TOGLIE IL REDDITO DI CITTADINANZA: I PALETTI M5S A DRAGHI
GRILLO GUIDERA’ LA DELEGAZIONE… CONTE GUARDA A UN INCARICO ALLA NATO
Nessuna condizione capestro, non una pura e semplice provocazione per farsi dire no. I leader del Movimento 5 stelle si sono riuniti fino a notte fonda per uscire dal difficilissimo rebus su come appoggiare il governo di Mario Draghi senza che questo significhi distruggere il Movimento 5 stelle.
“Non ci si può presentare con una lista della spesa come se fosse un nostro monocolore, non sarebbe rispettoso nè verso il presidente del Consiglio nè verso il Quirinale”, spiega un ministro. Ma su due punti tutti hanno convenuto che non si può transigere: la salvaguardia del reddito di cittadinanza e il no al Mes.
“Ma Draghi ha detto di essere contrario al Fondo salva stati?” Si chiede a metà pomeriggio un parlamentare, citando non si sa bene cosa. Speranze che rischiano di rimanere illusioni, ma sulle quali i 5 stelle che non vogliono andare a casa si danno la forza l’un l’altro. Nelle chat grilline si rincorrono le dichiarazioni della delegazione di Leu appena uscita dall’incontro con l’ex presidente della Bce: “Sul Mes in Parlamento non c’è una maggioranza”
Alessandro Di Battista continua il suo fuoco di fila nel cercare di sbarrare la strada dell’appoggio al governo, la maggioranza plebiscitaria delle prime ore si trasforma in un gruppo di irriducibili, non tale da prefigurare problemi di numeri al costituendo governo ma abbastanza da far temere una scissione robusta, soprattutto al Senato, dove tra i pentastellati la linea del no ha una considerevole diffusione. Per questo riuscire a ottenere un’apertura almeno sui due temi qualificanti per l’unità del mondo 5 stelle è cruciale per la tenuta di un gruppo sull’orlo della crisi di nervi.
A Luigi Di Maio e a chi con lui è convinto che un no aprioristico sia sbagliato e che si debba almeno andare a vedere le carte hanno dato una bella mano Giuseppe Conte e Beppe Grillo.
Raccontano che il telefono del fondatore sia rovente: “Credo abbia sentito Goffredo Bettini e un po’ di quel mondo della sinistra con il quale è già stato in contatto quando è nato il governo giallorosso”, racconta chi lo conosce bene.
La sua guida della delegazione che domani incontrerà Draghi è tutt’altro che simbolica: “Se ci va Beppe e ci mette la faccia anche chi fra di noi è più scettico riceve una bella spinta in quella direzione, tiene unito il Movimento in una fase delicatissima”, spiegano dalla war room pentastellata.
Non è un ritorno in scena stabile, ma una chiamata alla corresponsabilità in una fase di passaggio, come fu due anni fa.
Diversa la situazione che coinvolge il presidente del Consiglio uscente. Conte è in mezzo al guado. Ha declinato la proposta di un ministero di peso, per non rimanere intrappolato nella narrazione di chi non ce l’ha fatta e ha dovuto mettersi sotto l’ombrello di chi gli è succeduto.
Ma l’orizzonte di legislatura sul quale sta nascendo il governo rischia di farlo finire in un cono d’ombra. La sua popolarità al momento è ancora alle stelle, ma il consenso è volubile, e due anni lontano dal palcoscenico possono essergli fatali nell’ambizione di proporsi come federatore dell’alleanza tra progressisti e pentastellati.
I suoi fedelissimi hanno coltivato per qualche ora un progetto: fermare la modifica dello Statuto M5s che prevede la costituzione di una segreteria a cinque e issarlo alla guida del Movimento sulla scorta dell’apprezzamento che riscuote in quel mondo.
Un piano che è stato accolto con la massima freddezza da tutta la dirigenza pentastellata, da Di Maio a Di Battista passando per Roberto Fico. “Abbiamo fatto mesi e mesi di Stati generali per arrivare a una soluzione condivisa, ma ti sembra che potevamo smontarla così?”, dice un componente dell’esecutivo, mentre gran parte della truppa parlamentare considerata a lui fedele si sta già riposizionando internamente in vista delle prossime decisive mosse.
Un piano al quale lo stesso Conte si sarebbe sottratto, non ritenendolo che entrare a gamba tesa nelle dinamiche di un partito già sfibrato dal braccio di ferro interno fosse opportuno e funzionale. Raccontano che l’avvocato coltiverebbe ben altre ambizioni.
Il particolar modo guarderebbe alla Nato, i cui vertici sono in scadenza da qui a qualche mese, un incarico di prestigio che non lo esporrebbe al continuo dibattito interno e gli permetterebbe di rimanere sulla scena. Movimenti che vengono osservati con attenzione da tutta la dirigenza 5 stelle. Perchè la partita per il futuro è appena iniziata.
(da “Huffingtonpost”)
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