NON BASTA NEMMENO ZIO GIANNI, BERLUSCONI BARCOLLA TRA LITI E MALORI
QUASI SVIENE, IN ROTTA CON LA PASCALE. E COME AL SOLITO ALFANO DA LETTA NON OTTIENE NULLA
La ciotola per doppia portata di Dudù è l’unico oggetto o notizia che fa sorridere il Cavaliere.
Il viso scavato di Angelino Alfano, ambasciatore di segnali funesti, lo rende nervoso. E l’incolpevole Alfano subisce.
E anche l’annoiata Francesca Pascale patisce.
Quando il segretario rincasa dal faccia a faccia con Enrico Letta (“Non muovo un dito per B.”), Silvio Berlusconi, intenzionato a rompere subito, spedisce zio Gianni Letta a palazzo Chigi: tra parenti ci s’intende.
Ma la famiglia provoca soltanto dolori al Cavaliere, che non andrà al battesimo di un nipotino di Francesca (rivela Linkiesta) e ancora non ha smaltito lo spavento per il malore di giovedì pomeriggio, stava quasi per collassare.
Tra una telefonata e una riunione con i ministri indecisi e i senatori riottosi, Berlusconi s’è arreso a se stesso.
Non s’arrende al buon senso di Gianni Letta e Fedele Confalonieri, che vogliono evitare le elezioni anticipate, perchè non riesce a reperire una via di fuga: non si fida di Enrico Letta, non si fida di Giorgio Napolitano e, ingoiata la sceneggiata “dimissioni di massa”, non si fida dei parlamentari che ha inserito in lista e fatto eleggere.
Ripete con lo sguardo perso: “Mi sbattono in prigione e non ne esco più. Perchè dovrei far vivere questo governo che mi è contro?”.
Istruito per benino, in serata, Alfano agiterà i pugni con Enrico Letta: “Senza trattare la giustizia il chiarimento che vuoi è soltanto un’ipocrisia”.
Il vicepremier ha assorbito perfettamente la lezione perchè, adesso, per pressare Palazzo Chigi e Quirinale, Berlusconi s’aspetta un’apertura: “Se mi danno una mano, se non mi mandano a casa, Enrico può andare avanti. Ma se stanno fermi, li caccio io”.
B. procede un passo avanti e un passo indietro, barcolla, di fisico e d’umore: domani non vuole festeggiare il 78esimo compleanno come Francesca (e Daniela Santanchè) avrebbero desiderato.
Ripensa, terrorizzato, a Sergio De Gregorio a Servizio Pubblico: “Questo mi vuole inguaiare. Che disgusto”.
Osserva, stupefatto, le analisi di coscienza dei vari Antonio Razzi e Carlo Giovanardi.
L’ex Italia dei Valori è preoccupato: “Ho firmato, però non saprò come pagare il mutuo”.
B. ha persino scoperto che i cosiddetti senatori siciliani esistono davvero e resistono, non mollano la poltrona nemmeno per finta: si chiamano Giuseppe Castiglione e Salvatore Torrisi. Facce non familiari per il Cavaliere, ma numeri concreti che, se spostati da destra a sinistra, possono creare una nuova maggioranza per un governo di qualche mese, mentre B. s’immagina ai domiciliari o in carcere, vedovo di un partito che possa contare.
Senza dimenticare i dissidenti col rango di ministri: Maurizio Lupi e Gaetano Quagliariello, pronti a seguire il Quirinale.
E così Renato Brunetta e Renato Schifani, ormai due corpi per una sola voce, rassicurano Enrico Letta, non escludono, anzi auspicano il sì per la fiducia in Parlamento, per un tagliando di governo: potrebbe valere un paio di giorni.
Perchè la manifestazione del 4 ottobre “siamo tutti decaduti”, che rientra nella strategia tensione e distruzione di Daniela Santanchè, è ufficialmente in programma, in piazza Farnese a Roma. Dovrà coincidere con l’ultima e pubblica seduta in giunta per le elezioni, che avvierà il conto alla rovescia a Palazzo Madama per Berlusconi.
Il Cavaliere è rinchiuso in villa San Martino ad Arcore mentre Alfano, intorno alle 21, espelle un pezzo di quid. Rimprovera Enrico Letta, difende il Capo perseguitato (e condannato), lascia il governo in sospeso e pretende che l’esecutivo si occupi di giustizia, in senso berlusconiano ovviamente: “La crisi non va scaricata sul Pdl”.
Alfano ha l’espressione incattivita di chi, ben dotato di pazienza, s’è bevuto una predica infinita di Berlusconi: “Angelino, che significa arrivare qui e dirmi ‘Enrico non vuole muovere un dito per te’?”.
Alfano voleva scomparire, nascondersi, anche dietro la ciotola di Dudù.
Il Cavaliere l’ha bocciato per direttissima e s’è affidato al vecchio Gianni Letta, che in questi giorni non ha trattenuto la sua repulsione per le tattiche d’assalto di Santanchè e Brunetta.
Ma la carovana di Forza Italia è variopinta.
Per un Augusto Minzolini che torna in televisione per recitare, cioè va in una trasmissione a leggere la letterina di dimissioni; ecco un Fabrizio Cicchitto che, sempre più rappresentante di se stesso, garantisce che no, credeteci, i ministri non verranno ritirati.
E qualcuno dovrà informare il povero Berlusconi che Dudù soffre i viaggi in aereo.
Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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