NON BASTA SOSTITUIRE GALLERA: LA CAPORETTO DELLA REGIONE LOMBARDIA SI CHIAMA SANITA’
DAI VACCINI ALL’INCHIESTA SU FONTANA.. LA MORATTI NON HA COMPETENZE SPECIFICHE
L’avvocato, berlusconiano di ferro, sostituito dalla manager Letizia Moratti. Entrambi non hanno competenze in ambito medico, e tutto fa pensare che i problemi cronici della salute pubblica in Lombardia non saranno risolti con un semplice cambio di assessore
Giulio Gallera se ne va dalla giunta lombarda. Ma non basterà rimuovere l’assessore alla Sanità per cancellare i problemi del sistema sanitario della Regione italiana più colpita dal Coronavirus.
La Lombardia ha vissuto una Caporetto etica, politica e amministrativa, con inchieste giudiziarie e giornalistiche che hanno rivelato una gestione poco limpida della salute pubblica, voce di bilancio che assorbe 20 dei 25 miliardi di euro annuali delle casse regionali.
Ma se l’attacco a sorpresa della pandemia può giustificare il caos dello scorso febbraio, è da marzo che i generali del centrodestra lombardo non riescono a impartire l’ordine della ritirata. La linea del Piave, dietro la quale il modello sanitario lombardo potrà rifondarsi, questa volta prestando attenzione agli ospedali pubblici, alla medicina territoriale, all’organizzazione preventiva e non di emergenza, appare ancora lontanissima.
La nomina di Letizia Moratti come successore dell’avvocato Gallera (oltre che come vicepresidente) è una foglia di fico che non può coprire le criticità che il Covid ha scoperchiato nel 2020, ma che derivano da anni di politiche sanitarie poco oculate. L’ultima di una lunga serie di gaffe di Gallera, «Abbiamo medici e infermieri che hanno 50 giorni di ferie arretrate. Non li faccio rientrare in servizio per un vaccino nei giorni di festa», è soltanto l’ennesimo errore comunicativo. Che, in realtà , è stato utilizzato a mo’ di barricata per distogliere le attenzioni dalle inefficienze del modello lombardo.
«Non era questo il momento di cercare il capro espiatorio e fare speculazioni politiche», dichiara Lidia Decembrino, dottoressa e membro della segreteria regionale di Forza Italia con delega alla Sanità . «Gallera si è impegnato molto. Come in tutte le situazioni di emergenza, ci può essere qualche sbavatura. Ma la sanità lombarda resta un’eccellenza proprio perchè ha resistito all’urto della pandemia, riorganizzandosi rapidamente, mentre sui media e nell’agone politico il Covid è diventato il pretesto di un attacco ingiusto». Decembrino rimarca «l’esperienza straordinaria» dell’ospedale in Fiera, «che ha garantito nuovi posti letto. E siamo una delle regioni che hanno avuto il numero di morti inferiori nella sanità ».
Sulla riorganizzazione della sanità lombarda in tempi di emergenza, invece, non appare affatto convinta Paola Pedrini, medico e segretario regionale di Fimmg Lombardia: «La realtà è che mancano le persone in assessorato. Sono d’accordo quando si dice che non è solo colpa di Gallera, perchè è tutto il Welfare a essere carente di personale in Regione».
Pedrini fa un confronto con l’Emilia-Romagna: «Lì ci sono quasi 40 persone che si occupano di cure primarie nell’assessorato, mentre in Regione Lombardia sono appena quattro». La scarsità di personale sembrerebbe uno dei principali problemi che costringe la giunta ad agire sempre in ritardo, «comportandosi come se l’emergenza fosse costante, cronica».
Il primo tassello di un rapporto insalubre tra politica e sanità lo svela la vicenda di Alzano Lombardo e Nembro. I due piccoli comuni della provincia di Bergamo nei quali, a inizio marzo, il Coronavirus si diffondeva e diffondeva morte a velocità inaudite. Alla stregua di quanto fatto con i dieci paesi del Lodigiano e con Vo’ Euganeo, il Comitato tecnico scientifico propose la zona rossa la sera dello scorso tre marzo. Il governatore Attilio Fontana e Gallera rimisero la scelta nelle mani dell’esecutivo, che optò, dopo alcuni giorni, l’8 marzo, per una zona arancione estesa a tutta la Lombardia.
«In effetti la zona rossa potevamo farla anche noi» ammise un mese più tardi lo stesso Gallera, messo a tacere da Fontana così: «È un ottimo assessore, ma come giurista un po’ meno». Il problema è che sia governo centrale che Regione, in quel momento, non risposero al principio costituzionale della leale collaborazione tra le istituzioni dello Stato. E per non perdere l’appoggio del tessuto economico, «un cinismo imbarazzante per ottenere i voti di Confindustria» afferma il consigliere di opposizione in Lombardia Michele Usuelli, non è stata data priorità alla salute dei cittadini. «C’è sempre solo il calcolo del beneficio elettorale».
I vaccini antinfluenzali e le gare deserte
Risale a quei primi mesi dell’anno un’altra criticità che si riverbera tutt’oggi sulla risposta lombarda alla pandemia. La carenza di vaccini antinfluenzali. In quest’anno, la Regione ha fatto dieci gare d’appalto, alcune andate deserte per le ragioni più svariate, altre indette erroneamente e cancellate dalla stessa centrale unica d’acquisto. Nel frattempo, gli enti sanitari di tutto il mondo si accaparravano le dosi dei vaccini presenti sul mercato. E questo lo sa anche uno studente di economia del primo anno: diminuendo le quantità disponibili di un bene, aumenta anche il prezzo.
Così, per acquistare le dosi del farmaco biologico contro l’influenza, necessario per evitare che i malati influenzali si sommino a quelli di Covid-19 e intasino gli ospedali, la Regione si è rivolta ad aziende che non avevano tutte le certificazioni necessarie per poter vendere i vaccini nel mercato italiano ed europeo. «La mancanza di pianificazione fa si che si decida in deroga, in emergenza, e quindi si arriva a contattare la casa farmaceutica indiana», denota Usuelli. La Lombardia è arrivata a pagare gli stessi vaccini acquistati dal Veneto, ambedue le Regioni amministrate dalla Lega, al triplo del prezzo.
Per la dottoressa Pedrini, «c’è stata una sottovalutazione dell’importanza della vaccinazione antinfluenzale e si è ignorato che la domanda di vaccini sarebbe aumentata a livello europeo». Su questo punto, anche Decembrino, Forza Italia, ammette che «qualcosa nella macchina burocratica si è inceppato». Ma attribuisce le responsabilità al contesto emergenziale che «comunque non ha impedito che la copertura fosse garantita a tutti, soprattutto in età pediatrica». Dalla scarsità di antinfluenzali, tuttavia, si è ingenerato un panico organizzativo, dimenticato solo per un’altra incombente campagna vaccinale: quella per il Sars-CoV-2.
Il ritardo sui vaccini anti-Covid
È per una — finale — dichiarazione sulla vaccinazione anti-Covid, partita a rilento in Lombardia, che Gallera è stato scaricato dal centrodestra lombardo. Un ritardo che si palesa nei numeri pubblicati sul sito di presidenza del Consiglio, ministero della Salute e Commissario per l’emergenza. Alle 18 del 6 gennaio, la regione più colpita di Italia, la Lombardia, è quintultima per percentuale di dosi inoculate: il 17,8% di quelle ricevute in totale. In questo caso, il medico Usuelli difende Gallera, diventato il capro espiatorio «della mancata organizzazione che coinvolge tutti i membri della giunta».
Mentre da Palazzo Lombardia provano a scaricare le responsabilità del ritardo sul piano di vaccinazione nazionale, il viceministro dell’Economia Antonio Misiani sostiene che «se la Regione a guida leghista, che aveva già combinato disastri con la vaccinazione antinfluenzale, non è in grado di attuare quella contro il Coronavirus, è giusto che subentri lo Stato esercitando i poteri sostitutivi. La salute dei lombardi è troppo importante per continuare a lasciarla in mano a chi ha fallito».
«Attenderei la fine della campagna vaccinale per vedere i risultati definitivi», replica Decembrino, «siamo vittime dell’ennesimo tiro a bersaglio e a pagarne le conseguenze sono proprio i cittadini lombardi. Certo, ci sono stati errori e ritardi anche qui da noi, ma sono figli dell’emergenza: anche a livello nazionale, ad esempio, si è scoperta la mancanza del piano pandemico preteso dall’Oms».
Per Pedrini, invece, il problema non è tanto la partenza in ritardo, quanto «l’ammontare di dosi disponibili: sono insufficienti per vaccinare nei tempi giusti e raggiungere un’immunità significativa nella popolazione lombarda»
Le debolezze strutturali: gli ospedali piccoli e non collegati
Le Regioni giustificano la loro esistenza — almeno dal punto di vista del bilancio — perchè devono amministrare la sanità . «Ma gli ospedali funzionano come pacchetti di voti», denuncia Usuelli. «Abbiamo più reparti ospedalieri che campanili in Lombardia». Le parole del consigliere trovano una manifestazione nel caso di Varese, dove ci sono tre pronto soccorso in nove chilometri quadrati, «tutti e tre piccoli e che, per questo, lavorano male». Il consigliere regionale fa un parallelismo con la sanità in Calabria, dove si trovano 18 ospedali pubblici chiusi «perchè i decisori politici dovevano costruirli vicino a casa. Nel corso degli anni si sono costruiti presidi ospedalieri seguendo logiche di collegio elettorale, non di necessità del territorio».
La Lombardia, ad esempio, abbonda di reparti di cardiochirurgia: «Sono 24. È la stessa dinamica di Crotone, dove l’ospedale ha 800 posti letto, ma meno di 250 in funzione. Milano e Reggio Calabria sono meno distanti di quanto una certa politica voglia far credere». In Lombardia scarseggiano reparti grandi che, generalmente funzionano bene perchè accumulano più know how sulle malattie meno comuni. Sono svilite le reti di connessione tra i grandi e i piccoli centri territoriali, che dovrebbero gestire i casi meno gravi o ricevere i pazienti per la fase di recupero dopo le cure intensive negli ospedali maggiori.
La proliferazione dei privati
Una delle questioni più controverse del modello lombardo riguarda il moltiplicarsi di presidi ospedalieri privati che, di fatto, costituiscono in molti casi l’unica alternativa possibile per curare determinate patologie o evitare liste di attesa lunghissime. Il meccanismo che si è reiterato negli ultimi anni è estremamente semplice: un privato decide di aprire una struttura ospedaliera, si fa accreditare dal sistema sanitario nazionale i reparti più remunerativi senza rispondere, invece, all’esigenza di diversificazione di cui necessità la sanità su un territorio. Così proliferano posti letto in oncologia, più redditizia, e scarseggiano posti letto in geriatria, meno soddisfacente dal punto di vista economico.
«Anche l’accreditamento delle strutture private risponde spesso a una logica di voti di scambio», incalza Usuelli. «Abbiamo tutti gli strumenti scientifici per sapere quanti posti letto servono per ogni patologia al fine di assicurare la cura a tutti i lombardi. Invece, accreditiamo ai privati i posti di oncologia, senza verificare che ce ne siano di sufficienti per altri tipi di malattie». Quanti medici e operatori sanitari servono in Lombardia? Quanto deve essere grande un reparto per funzionare bene? «Sono domande per le quali abbiamo una risposta scientifica. Ma non è corrisposta negli ultimi decenni un’azione politica. E se le Regioni, che spendono la maggior parte del bilancio per la sanità , non rispondono a queste domande, allora ha senso abolirle».
Per Decembrino, invece, «la coesistenza di pubblico e privato non fa altro che aumentare l’offerta. Tant’è che non vengono curati solo i lombardi nei nostri ospedali, ma attiriamo pazienti da tutta Italia. Nelle altre Regioni questa attrattività non c’è, e per la sanità lombarda deve essere un vanto». La dottoressa, direttrice in pediatria a Vigevano, sottolinea che «l’eccellenza della sanità lombarda si basa proprio sulla forte collaborazione tra pubblico e privato. Per me, il presupposto essenziale di ogni sistema sanitario, dev’essere il diritto di scelta del paziente. Ognuno deve poter decidere da chi farsi curare e in quale struttura».
La medicina territoriale
In Lombardia ci sono nove Ats e ognuna agisce a modo suo. Manca un’unica agenzia regionale che sia responsabile della pianificazione e della gestione della sanità su tutto il territorio. Molti ospedali, anzichè essere pensati per servire il proprio territorio di riferimento, sono strutture monospecialistiche, a vocazione verticale. Si è impoverita, invece, la rete di ospedali generalisti referenti dei singoli territorio. Il professor Giuseppe Remuzzi dell’istituto Mario Negri propone per la Lombardia il recupero del concetto dei distretti, unità ospedaliere a cui fanno riferimento nuclei di 60 mila abitanti. Ogni distretto dovrebbe avere un suo manager che si occupa di far funzionare la sanità territoriale e di fare da collegamento con l’hub centrale. Secondo l’idea del professore, tot distretti dovrebbero afferire a grandi ospedali.
I distretti, poi, dovrebbero sviluppare al proprio interno poliambulatori che riuniscono i medici di medicina generale del territorio, così da farli lavorare in èquipe. «Il concetto del medico di base, solo nel suo studiolo, che è il pontefice massimo della salute dei suoi pazienti, è un concetto arcaico», sottolinea Usuelli. «I medici di base dovrebbero lavorare in consorzio nelle cosiddette case della salute: si offre ai cittadini un servizio spalmato su una fascia oraria più ampia, con team di infermieri e segretari che aiutano i medici a gestire il lavoro. E, nei poliambulatori, si potrebbero sfruttare macchinari rx, laboratori di analisi, strumenti che un singolo medico di famiglia non può possedere».
Decembrino considera che le difficoltà della medicina di base sono un tema nazionale, non imputabili alla sola Lombardia. «L’attenzione al territorio, effettivamente, non è stata sufficiente: la pandemia ci ha colti di sorpresa», e auspica che le prossime riforme in ambito sanitario potenzino questo aspetto della sanità pubblica. Più dura Pedrini, che ravvisa proprio nei pochi investimenti e nella scarsa attenzione alla medicina territoriale «il più grande errore che ci ha esposto agli effetti devastanti del Covid». Pedrini ritiene ricorda che «all’inizio della pandemia, i medici di base hanno dovuto faticare per avere i Dpi necessari, adesso non è cambiato nulla con i vaccini: sono medici di serie B rispetto a quelli degli ospedali». In sintesi, lo sbaglio è stato aver puntato troppo sugli ospedali, quando il vero filtro era il territorio.
Le debolezze politiche: la parabola di Gallera
Doveva essere schierato come candidato sindaco di Milano: l’avvocato di 51 anni, assessore al Welfare della Lombardia, aveva raggiunto l’acme della popolarità durante la prima fase della pandemia. Tutti vedevano il berlusconiano di ferro come pedina ideale del centrodestra da schierare nel 2021 contro il sindaco uscente Beppe Sala. Nel caos iniziale della pandemia, era il volto onnipresente che rappresentava la risposta lombarda all’emergenza sanitaria. La sua ubiquità , in tv e sui social, si è rivelata però un’arma a doppio taglio: con l’affievolirsi della frenesia delle prime settimane, sono venute a galla tutte le dèfaillance di un amministratore che, a prescindere dalle competenze politiche, nella comunicazione e nella gestione della sanità ha fallito.
Si è detto delle problematiche strutturali della salute pubblica lombarda, imputabili a decenni di decisioni scellerate. Se Gallera non fosse stato così predisposto ed esposto all’attenzione mediatica, sarebbe stato più complicato per i suoi detrattori imputargli i disastri relativi alla sanità .
Invece, con la sua sconsiderata spiegazione dell’Rt uguale a 0,51, «Questo vuol dire che non è così semplice trovare due persone nello stesso momento infette per infettare me», o con la dichiarazione sulla sanità di classe, «Gli ospedali privati vanno ringraziati perchè hanno aperto le loro terapie intensive e le loro stanze lussuose ai pazienti ordinari», l’avvocato ha reso manifesta la sua inadeguatezza in ambito medico e comunicativo. E non si può non citare l’inosservanza del Dpcm di domenica 6 dicembre, quando l’assessore, senza mascherina, è uscito dal suo Comune di residenza per fare una corsa con alcuni amici, violando due prescrizioni della zona arancione. «Non ho fatto caso ad alcun cartello che segnalasse il confine comunale», si è difeso.
La mancanza di medici in giunta
Un’altra verità all’origine del caos nella sanità lombarda è l’assenza di competenze mediche nella giunta. Non c’è nessuno tra gli assessori a essersi laureato in Medicina, a fronte di una spesa pubblica annuale da investire sulla salute dei cittadini pari a 20 miliardi. Con il Coronavirus, i cittadini hanno capito che Regione vuol dire sanità : è la competenza più importante affidata dalla Costituzione a questa istituzione e, non a caso, i bilanci delle amministrazioni sono assorbiti quasi in toto dal tema salute pubblica. «Le coalizioni che si presentano alle elezioni dovranno raccontare ai cittadini come costruire una sanità che risponda alle esigenze dei cittadini», rimarca Usuelli.
«Dicevano che nella fase, due o tre che sia, nulla sarebbe stato più come prima — aggiunge il medico e consigliere di opposizione -. Invece, con la terza ondata di contagi alle porte, Fontana manda via un avvocato che di sanità non capiva nulla e chiama una manager che di sanità non sa nulla». La percezione della società sull’importanza della sanità pubblica è cambiata, «perchè si sono evolute le richieste dei cittadini con lo scoppiare della pandemia — conclude Usuelli -, ma questa destra legaiola dà priorità a cercare una figura di Forza Italia per non alterare gli equilibri politici piuttosto che pensare ai bisogni dei cittadini».
Le inchieste giudiziarie
Infine, una questione spinosa che accompagnerà il presidente Fontana a prescindere dalla dipartita di Gallera è quella relativa alle inchieste giudiziarie. Se i 5,3 milioni di euro ereditati dalla madre su un conto bancario svizzero non c’entrano nulla con il Coronavirus, per quanto riguarda la pandemia il governatore ha due fronti aperti. Da un lato, anche se non risulta indagato, le chat del suo cellulare sono state acquisite dagli inquirenti che investigano sull’accordo tra la multinazionale farmaceutica Diasorin e l’ospedale San Matteo di Pavia. Dall’altro, il pm che sta lavorando all’inchiesta sui 75mila camici forniti alla Regione dalla Dama Spa, società del cognato di Fontana, ha parlato di «diffuso coinvolgimento del governatore».
La fornitura, trasformata in donazione quando è emerso il conflitto di interessi — la moglie di Fontana possiede il 10% delle quote di Dama Spa -, ha comportato l’inserimento nel registro degli indagati dell presidente, con l’ipotesi di reato di frode nelle pubbliche forniture. Il nodo sta tutto nella mancanza di pianificazione che porta gli amministratori della cosa pubblica ad agire in deroga a causa delle emergenze che si susseguono. «I 20 miliardi spesi per la sanità lombarda — conclude Usuelli — vengono organizzati in una delibera annuale decisa univocamente dalla giunta, senza passaggi democratici e in via emergenziale». Il piano quinquennale socio-sanitario della Regione Lombardia che, tra le altre cose, ha al suo interno le direttive per la fornitura di dispositivi medici agli ospedali, è scaduto dal 2014.
(da Open)
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