TRUMP PUO’ GRAZIARE SE STESSO?
ORA TEME DI ESSERE INCRIMINATO PER ISTIGAZIONE ALLA RIVOLTA E STUDIA LA GRAZIA PREVENTIVA MA I COSTITUZIONALISTI DICONO CHE NON PUO’
Il presidente-re Lear, sempre più isolato nei suoi ultimi giorni alla Casa Bianca, sarebbe tornato a parlare di auto-graziarsi.
Lo scrive il New York Times, citando le solite «persone a conoscenza della discussione». Trump è convinto di poterlo fare, e da tempo va ventilando anche pubblicamente l’ipotesi.
Ma non ci sono precedenti, e i costituzionalisti sono estremamente scettici sulla legalità di una simile mossa.
Nelle scorse settimane qualcuno aveva ipotizzato che Trump avrebbe potuto dimettersi in modo che gli subentrasse il vicepresidente Pence e fosse lui a graziarlo come fece Ford con Nixon.
Ma i rapporti tra il commander in chief e il suo vice, dopo l’assalto di mercoledì sei gennaio al Congresso, sembrano irrimediabilmente compromessi.
Cosa rischia per i fatti di Washington
Il mezzo passo indietro di Trump con le dichiarazioni sulla necessità di una pacifica transizione sarebbe stato dettato dalle pressioni dei pochi uomini rimasti al suo fianco, in particolare dal consigliere legale della Casa Bianca Pat Cipollone, il quale gli avrebbe fatto presente che rischia l’incriminazione per istigazione alla rivolta.
È vero che Trump non era fisicamente con gli uomini e le donne che hanno fatto irruzione al Congresso, ma le sue parole nel comizio di pochi minuti prima dell’assalto – «Marceremo fino al Campidoglio» suonano come delle istruzioni precise.
Più grave ancora sarebbe se si provasse che l’intera operazione era stata pensata e pianificata. Il procuratore federale di Washington D.C., Michael R. Sherwin, in una conferenza stampa giovedì ha detto che la procura «sta esaminando tutti gli attori, non solo le persone che sono entrate nell’edificio».
A rischio processo Trump lo è anche per la telefonata, pubblicata per primo dal Washington Post, in cui insiste con il segretario di Stato della Georgia affinchè trovi gli 11.780 voti «che ci mancano per vincere le elezioni in Georgia».
L’autoperdono, se arrivasse e se fosse giudicato costituzionale, lo salverebbe da queste eventuali incriminazioni ed altre che potrebbero aprirsi seguendo i filoni lasciati aperti dal superprocuratore Robert Mueller durante il Russiagate.
Non lo metterebbero al riparo invece – nè lui nè i figli Ivanka (e il marito Jared Kushner), Donald Jr. ed Eric che pure vorrebbe graziare preventivamente – dalle molte inchieste statali che pendono sulla sua testa e sulla Trump organization.
I «perdoni» concessi finora
Amici e sodali, parenti e contractor condannati per una strage di civili in Iraq. Finora Donald Trump ha concesso il «presidential pardon» una settantina di volte: 60 dei beneficiari sono persone che hanno contatti personali con lui o l’hanno aiutato a perseguire i suoi obiettivi politici, secondo una ricerca di Jack Goldsmith, professore della Harvard Law School. Non è certo la prima volta nella Storia che l’utilizzo di questo delicato potere concesso al presidente dalla Costituzione solleva aspre polemiche: era successo con la grazia concessa da Bill Clinton al finanziere fuggitivo Marc Rich e a Gerald Ford che aveva «perdonato» il suo predecessore Richard Nixon, ma la quantità di amici con gravi condanne lasciati liberi da Trump alza il livello di allarme.
Da dove deriva e cosa prevede questo potere?
È inscritto nella Costituzione e deriva dal potere dei re inglesi di compiere degli atti di clemenza nei confronti di condannati. Una grazia presidenziale significa che reati federali (non statali quindi) commessi o che il soggetto potrebbe aver commesso vengono condonati. Non cancella il reato dalla fedina penale, ma, oltre alla pena, elimina le conseguenze che comporta, come i limiti al diritto di voto o all’acquisto di armi. George Washington usò questo diritto presidenziale con un gruppo di contadini che avevano guidato la cosiddetta «Whiskey Rebellion». Oltre alla grazia il presidente può commutare la sentenza, come fece per esempio Barack Obama con Chelsea Manning, accusata di aver passato documenti riservati a Wikileaks e condannata a 35 anni di carcere.
Come si riceve un «presidential pardon»
Solitamente una grazia la si chiede, facendo domanda attraverso il dipartimento di Giustizia, ma un presidente può anche concederla a proprio piacimento, e pare sia questo che sta facendo Trump nelle ultime settimane della sua presidenza (Joe Biden, dichiarato presidente eletto dai grandi elettori il 14 dicembre scorso, si insedierà il 20 gennaio).
Come si sono comportati gli altri presidenti?
Tra grazie e commutazioni della pena Trump ha esercitato il suo potere meno di cento volte, il numero più basso dalla presidenza McKinley (1897-1901). Obama, nell’arco però di otto anni, aveva concesso 212 grazie e 1715 commutazioni della pena. La differenza, oltre che nel numero, sta nel fatto che Obama come la maggior parte dei presidenti prima di lui, aveva interpretato questo potere presidenziale non in modo personale ma per cancellare sentenze discusse o che rappresentavano alcune delle ingiustizie endemiche del sistema giudiziario americano, come quelle eccessivamente severe per possesso di droga nei confronti di imputati afroamericani o latini.
Un altro modo di usare la grazia in passato è stato per sanare alcune delle ferite del Paese, come quando Jimmy Carter decise di perdonare i giovani che erano scappati dagli Stati Uniti per evitare il servizio militare in Vietnam.
Tempo di una riforma
È ora per il presidente eletto Joe Biden –ha scritto dopo l’ultima tornata di perdoni di Trump il comitato editoriale del New York Times, di «re-immaginare questo importantissimo e lungamente abusato potere e farlo funzionare per come i padri fondatori lo avevano inteso: come contrappeso a procedimenti giudiziari ingiusti e sentenze eccessive. Se c’è mai stato un momento per riformare il sistema, è adesso. La decennale crisi carceraria americana ha gettato milioni di persone dietro le sbarre, molte delle quali scontano pene enormemente sproporzionate».
Il dilemma di Biden
Un auto-perdono di Trump metterebbe ulteriore pressione su Biden, che forse preferirebbe evitare processi al predecessore nella speranza di guarire le ferite del Paese, affinchè indaghi su eventuali abusi di potere commessi dal suo predecessore. «Solo un tribunale può invalidare un self-pardon, e può farlo solo se l’amministrazione Biden cita in giudizio Trump», ha spiegato Goldsmith al New York Times .
Altri abusi di potere commessi da Trump riguardano le azioni degli legali del presidente, che secondo alcune ricostruzioni allusero alla possibilità di una grazia con gli avvocati di Paul Manafort quando l’ex responsabile della campagna del presidente, «perdonato» alla vigilia di Natale, stava valutando se collaborare o no con i procuratori (cosa che poi non fece).
(da il Corriere della Sera)
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