NON E’ STATA UN’ESECUZIONE, MA UN CONFLITTO A FUOCO A SEGUITO DEL RAPIMENTO DELL’AMBASCIATORE ATTANASIO
IL CARABINIERE IACOVACCI AVREBBE CERCATO DI FARGLI SCUDO… I COLPI POTREBBERO ESSERE PARTITI DALLA POLIZIA CONGOLESE… ANCORA TROPPE ANOMALIE
Non hanno sparato a bruciapelo. Non è stata un’esecuzione. E sono stati in tutto quattro spari d’Ak-47, di kalashnikov, a uccidere l’ambasciatore Luca Attanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci.
Due colpi per ciascuno, tutti dal lato sinistro. Il diplomatico è stato centrato all’addome: le cinque ore d’autopsia hanno individuato sia i fori d’entrata, sia quelli d’uscita, perchè nessuno dei due proiettili è stato trattenuto.
Il militare invece, colpito anche su un fianco, ne aveva in corpo ancora uno, alla base del collo.
Gli esiti dei primi accertamenti – svolti dai professori Vincenzo Pascali, Cesare Colosimo e Antonio Oliva, dell’Università Cattolica di Roma – hanno fornito altri dettagli. Uno è che Iacovacci è morto sul momento, o quasi, mentre l’emorragia di Attanasio è stata molto lenta, facendo durare più a lungo l’agonia.
Inoltre, sul corpo del carabiniere sono state trovate fratture multiple all’avambraccio sinistro: questo potrebbe significare che uno dei proiettili ha prima rotto altre ossa, oppure che l’uomo abbia tentato di proteggere se stesso o forse l’ambasciatore, facendogli scudo.
Altri dettagli potranno venire dagli esami balistici, disposti dai pm Sergio Colaiocco e Alberto Pioletti. In ogni caso, il lavoro dei medici ha spinto i magistrati romani a trarre una prima, provvisoria conclusione: Attanasio e Iacovacci non sono stati vittime di un’esecuzione. Li hanno sequestrati e poi sono stati ammazzati nel conflitto a fuoco che è seguito al rapimento, una sparatoria che forse è stata provocata dall’intervento dell’esercito e dei ranger.
A questo punto, bisogna capire di chi fossero gli Ak-47 che hanno ucciso. E verificare se siano gli stessi in dotazione ai militari congolesi. I due italiani sono stati colpiti a distanza, dai sequestratori o dal fuoco amico, probabilmente in un concitato tentativo di fuga.
I carabinieri del Ros, volati in Congo per recuperare le salme, non solo sono tornati senza aver interrogato l’italiano superstite, Rocco Leone, il capomissione del World Food Programme: non hanno potuto nemmeno vederlo. Sarebbe stato detto loro che è ricoverato in ospedale e che al momento è inavvicinabile. La sua testimonianza è fondamentale, per ricostruire quel che è accaduto, capire chi autorizzò il convoglio a percorrere la Rn2 senza una vera scorta, accertare se l’agguato fosse mirato.
Sembra ormai certa la pista del tentato rapimento, tanto che il governo di Kinshasa ha deciso di vietare i viaggi di qualsiasi ambasciatore al di fuori della capitale, se non autorizzato.
Ma una domanda resta: perchè la banda avrebbe dovuto eliminare gli ostaggi dopo averli presi, come sostiene la polizia congolese? E che cos’è accaduto nella breve trattativa, prima della sparatoria? E come mai l’agguato è stato organizzato proprio alle «3 antenne», un luogo che da sempre è presidiato da militari?
(da “Il Corriere della Sera”)
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