ONG E SALVATAGGI IN MARE: COSA DICE LA LEGGE
LE REGOLE INTERNAZIONALI CHE VANNO RISPETTATE, PENA LA DENUNCIA PER OMISSIONE DI SOCCORSO… SI PUO’ INTERVENIRE ANCHE IN ACQUE LIBICHE
Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha pubblicato nel suo sito in italiano un punto sulla situazione migranti nella forma di 11 domande e risposte per fare chiarezza.
Lo riportiamo per intero:
Si parla molto delle operazioni di salvataggio dei migranti e dei rifugiati in viaggio nel Mediterraneo centrale.
Per fare un po’ di chiarezza su ruolo e dimensioni dei salvataggi in mare, ci siamo fatti qualche domanda e abbiamo provato a rispondere anche attraverso i dati forniti dalla Guardia costiera.
1. Cosa s’intende per “operazioni SAR” nel Mediterraneo?
L’acronimo SAR corrisponde all’inglese “search and rescue” ovvero “ricerca e soccorso” (ma anche “ricerca e salvataggio”). Con questa sigla si indicano tutte le operazioni che hanno come obiettivo quello di salvare persone in difficoltà in vari ambienti (montagna, mare, dopo un terremoto ecc.) effettuate con mezzi navali o aerei.
In particolare negli ultimi anni — con l’aumento del flusso di migranti in arrivo verso l’Europa — questo genere di operazioni hanno messo in salvo decine di migliaia di persone durante la pericolosa traversata del Mar Mediterraneo spesso tentata su imbarcazioni e gommoni fatiscenti.
Alle operazioni SAR partecipano vari attori — non solo militari — coordinati dal Maritime rescue coordination centre (MRCC), rappresentato dal Comando generale della Guardia costiera con base a Roma. Le operazioni di soccorso si svolgono su aree di responsabilità SAR (e non solo su quelle territoriali). L’area di responsabilità italiana coincide con circa un quinto dell’intero Mediterraneo, ovvero 500mila km quadrati
2. Quali sono i mezzi autorizzati al soccorso dei migranti in mare?
Come spiega con chiarezza la Guardia costiera: «I servizi di ricerca e soccorso fanno affidamento su qualsiasi nave per qualsiasi ragione presente nell’area interessata (navi governative, incluse quelle militari, quelle mercantili, ivi compresi i pescherecci, il naviglio da diporto e le navi adibite a servizi speciali — quali sono ad esempio quelle battenti bandiera italiana utilizzate da alcune ong per le loro finalità SAR). In altre parole, su ogni nave che possa utilmente intervenire per il salvataggio delle vite umane in mare».
Chiunque sia in grado di intervenire ha l’obbligo giuridico di farlo e in caso contrario si configurerebbe come omissione di soccorso (secondo gli articoli 1113 e 1158 del codice della navigazione), con le eventuali aggravanti dovute a conseguenze drammatiche, in primo luogo naufragio e omicidio colposi.
3. Perchè le navi italiane possono intervenire fuori dalle acque territoriali?
«Il primo MRCC che riceva notizia di una possibile situazione di emergenza SAR ha la responsabilità di adottare le prime immediate azioni per gestire tale situazione, anche qualora l’evento risulti al di fuori della propria specifica area di responsabilità », che non coincide con le acque territoriali, anzi di norma è ben più ampia. Così ha spiegato il Contrammiraglio Nicola Carlone capo del reparto piani e operazioni della Guardia costiera nell’audizione presso la Commissione parlamentare per l’attuazione dell’accordo di Schengen.
4. Perchè le navi italiane intervengono anche nel Mar Libico?
Libia e Tunisia, malgrado abbiano ratificato la convenzione SAR del 1979, non hanno dichiarato quale sia la loro specifica area di responsabilità SAR.
L’area del Mar Libico a sud di quella maltese e confinante con le acque territoriali della Libia non è posta sotto la responsabilità di alcuno Stato.
È per questa ragione che la prima centrale MRCC contattata dovrà attivarsi per salvare le barche dei migranti e dei rifugiati in pericolo. E, in questo periodo, la stragrande maggioranza di richieste d’aiuto arriva in Italia.
5. Come si definisce “luogo sicuro” dove i migranti devono essere sbarcati dopo il recupero in mare?
Una volta finito il salvataggio in mare, l’operazione SAR non è ancora conclusa. I migranti devono essere condotti in un “luogo sicuro” (dall’inglese place of safety), ovvero un luogo che fornisca le garanzie fondamentali ai naufraghi.
Le persone tratte in salvo devono essere portate dove: 1) la sicurezza e la vita dei naufraghi non è più in pericolo. Per questa ragione, non sono considerati “sicuri” porti di paesi dove vige la pena di morte o dove anche un solo migrante salvato in mare possa essere perseguitato per ragioni politiche, etniche o di religione. Dove 2) le necessità primarie (cibo, alloggio e cure mediche) sono soddisfatte e 3) può essere organizzato il trasporto dei naufraghi verso una destinazione finale.
Un “luogo sicuro” — e questo è un punto importante — deve essere individuato dal MRCC che ha la responsabilità del coordinamento delle operazioni stesse. In altre parole, se è la centrale operativa di Roma a ricevere la richiesta d’aiuto deve anche scegliere il luogo dove portare i naufraghi.
6. È possibile presentare domanda di asilo in mare?
In mare non è possibile una valutazione formale dello status di rifugiato o di richiedente asilo (in virtù del Protocollo di Palermo del 2000 contro la tratta di migranti; Reg. EU 2014/656 per le operazioni Frontex; d.lgs 286/’98 — T.U. immigrazione e discendente DM 14 luglio 2003; ecc.). Tutte le imbarcazioni coinvolte in operazioni SAR hanno come priorità il soccorso e il trasporto in un “luogo sicuro” dei migranti raccolti in mare e le azioni di soccorso prescindono dallo status giuridico delle persone.
(da Globalist)
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