PD IN FIBRILLAZIONE, PARTE LA CORSA AL LISTONE BLOCCATO
PRESSING SU BERSANI PER ENTRARE TRA I 120 GARANTITI
A Bersani la lettura dei giornali della mattina è andata di traverso e come a lui anche a tutto il vertice del partito: e il motivo di tutta questa irritazione è la mancanza di par condicio. «Siamo gli unici a fare una cosa che non si è mai fatta nè in Italia nè in Europa», fa notare stizzito il leader Pd.
«Gradiremmo essere seguiti con un po’ di simpatia, visto che stiamo facendo democrazia. Si chiedesse agli altri cosa intendono fare».
Ma a logorare la pazienza del vertice del partito in realtà è l’assalto al «listone bloccato» di 120 persone, che sarà deciso dal segretario in tandem con le direzioni provinciali e con i capicorrente.
Un buon numero di candidati sicuri saranno personalità della società civile e già impazza il toto-nomi: spunta quello di Josefa Idem, la canoista olimpionica, dal 2009 responsabile sport del Pd emiliano; di economisti come Massimo D’Antoni, Paolo Guerrieri, Emilio Barucci, il figlio dell’ex ministro Piero.
Quotazioni alte per lo storico Miguel Gotor, stretto collaboratore del leader e il politologo Carlo Galli.
Ma la rosa lieviterà di ora in ora e Bersani è pressato da più fronti.
Il listone ospiterà una ventina di capilista, nomi in grado di trainare consensi nelle regioni, da Franceschini, a Letta e via dicendo.
Questi verranno decisi entro sabato e non correranno alle primarie; gli altri 27 capilista saranno scelti tra i primi vincitori delle primarie nei vari territori.
Fatto sta che molti degli uscenti vanno in pressing sui maggiorenti sperando di esser infilati nel recinto protetto.
Perfino un ambientalista noto come Ermete Realacci non farà le primarie «perchè con questi tempi ristretti vince chi controlla partito e preferenze: se avessi un mese mi cimenterei ovunque. Ma mi auguro di esser inserito nel listone insieme ad altri esponenti renziani».
Ma i posti scarseggiano, l’elenco dei pretendenti si allunga e già c’è chi prevede che in quota Renzi non ne entreranno più di 10, e solo 5 per le altre correnti di minoranza.
Ma sono i peones i più agitati: in camera caritatis un alto dirigente Pd ammette, «meno male che tra dieci giorni è tutto finito perchè sarà un ecatombe».
E basta farsi un giro alla Camera per vedere l’ala sinistra del Transatlantico ridotta ad un’alveare impazzito: drappelli col cellulare all’orecchio, capannelli con voci concitate, calcoli sui numeri di preferenze necessarie in ogni collegio, lotte fratricide obbligate per strappare un posto al sole, che nessuno vuole ingaggiare:
«A Prato – racconta il franceschiniano Antonello Giacomelli – verrà eletto un deputato e siamo in due uscenti, io e Lulli. Ma non ci faremo mai la guerra in casa dove ci conoscono tutti e quindi uno dei due rinuncerà ».
Un altro deputato cinquantenne, il pugliese Gero Grassi, ha la voce roca per le troppe telefonate: «Ecco, ho qui l’elenco, 600 nomi della mia provincia, Bari, li ho chiamati tutti in due giorni e non è finita. A ognuno devi spiegare il perchè dell’Imu, cosa intendi fare per il figlio disoccupato e via dicendo. Per me che ho sempre curato il rapporto con il collegio è una prassi normale, ma li dovrò richiamare tutti a Natale».
E non è chiaro se i veterani che hanno avuto la deroga dovranno davvero cimentarsi con le primarie: probabile che alcuni di loro finiranno nel listone come capilista, creando altri malumori…
Carlo Bertini
(da “la Stampa“)
Leave a Reply