PER LA SERIE “FACCIAMOCI SEMPRE RICONOSCERE”: “VUOI MANGIARE? DEVI ALMENO ORDINARE DUE PORTATE”
SCOPPIA LA POLEMICA SUI SOCIAL PER LA DECISIONE DEL RISTORANTE DI CAMOGLI… LA GIUSTIFICAZIONE LUNARE DELLA TITOLARE: “SCELTA FATTA PER MANTENERE LA QUALITA’ SENZA TAGLIARE SUI PRODOTTI E SUL PERSONALE”
Almeno due portate a testa. Questo è l’obbligo imposto dal ristorante “Sâ” di Camogli, nella città metropolitana di Genova, a chiunque voglia gustare le prelibatezze offerte in menu.
La decisione del locale poteva rimanere tra le sue quattro mura, ma è finita sui social dove è stato criticato da alcuni avventori.
La titolare dell’attività, Valentina Mura, si è difesa su Il Secolo XIX.
Per lei non è di certo stata una scelta facile ma era necessaria «per riuscire a mantenere un livello di qualità senza dover tagliare sui prodotti o sul personale». Il locale iconta solo 18 coperti in tutto e non fa neanche il doppio turno. Un “obbligo” del genere non è insolito, già a Ostuni (Puglia) un ristorante nel Brindisino era stato colpito da una pioggia di recensioni negative per una decisione simile.
(da agenzie)
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SI CHIAMAVA HESHAM MOUSTAFA KAMEL GABER E HA OTTENUTO IL PRMESSO UMANITARIO DUE GIORNI DOPO ESSERE MORTO SUL LAVORO
LA STORIA DELL’OPERAIO DI 22 ANI CHE VENIVA DALL’EGITTO
Hesham Moustafa Kamel Gaber è morto in un incidente sul lavoro mercoledì 21 agosto in un’azienda di Monza: era rimasto incastrato nel nastro trasportatore per la compattazione dei rifiuti. Due giorni dopo arriva una notifica: era stato convocato perché aveva ottenuto la Protezione umanitaria che aspettava da un anno. Aveva ottenuto un permesso umanitario, ma era già deceduto da due giorni.
Chi era Hesham
Hesham, di origini egiziane, era arrivato dalla Tunisia a Savona dove per un anno e mezzo aveva fatto parte della comunità locale ed era stato ospite di un centro di accoglienza che rientrava in un progetto gestito dalla cooperativa sociale Arcimedia. Un programma per accogliere e sostenere da un punto di vista sociale i migranti. Lo ricorda il presidente della cooperativa Giovanni Durante, sentito da La Stampa: «Hesham Gaber era stato da noi per più di un anno, prima parte di un progetto di accoglienza di Albisola e poi a Savona; era arrivato in Italia come molti, sui barconi provenienti dalla Tunisia ed era in attesa della convocazione della commissione per la sua richiesta di protezione internazionale. Era un ragazzo intelligente, curioso: aveva imparato l’italiano e aveva tanta voglia di fare, di lavorare». Poi era andato a Milano, per lavoro: «A luglio aveva trovato un lavoro a Milano, inizialmente faceva avanti e indietro perché lavorava a chiamata, poi ci ha detto che lo avrebbero assunto in regola ed era uscito volontariamente dal progetto. Eravamo contenti per lui e per questa novità». Infine, la tragedia: «Siamo stati avvisati in via ufficiale, ci hanno anche chiesto qualche informazione – continua il presidente di Arcimedia – era un ragazzo molto riservato sulla sua famiglia d’origine, non sappiamo se e quando ci sarà un eventuale rimpatrio». Durante poi spiega la trafila burocratica della notifica di conferimento del permesso che ha dato vita alla triste “beffa” per Hesham: «È stata fissata la data della commissione, la aspettava. È burocrazia, nessuno lo fa apposta, ma rende ancora più amaro tutto quello che è accaduto». Il presidente poi denuncia il silenzio della stampa sulla morte del giovane operaio egiziano, derubricata a un semplice numero: «Non sappiamo come sia accaduto lo chiarirà la magistratura. Ma voglio sottolineare che non abbiamo letto il suo nome da nessuna parte, quasi fossero numeri, considerati solo forza lavoro come se poi dovessero scomparire. Sono persone con un nome, un volto e una storia».
(da La Stampa)
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