PER LE DIMISSIONI DI ROSY MAURO E’ BRACCIO DI FERRO TRA BOSSI E MARONI: MA SPUNTA LO STATUTO CHE IMPEDISCE A MARONI DI FARE IL SEGRETARIO
OGGI RESA DEI CONTI AL CONSIGLIO FEDERALE…IPOTESI SOSPENSIONE PER NOVE MESI CHE IMPEDIREBBE LA CANDIDATURA DELLA ROSY MAURO ALLE PROSSIME ELEZIONI…L’ART 15 DELLO STATUTO VIETA CHE PRESIDENTE E SEGRETARIO SIANO DELLA STESSA REGIONE
Belsito sì, la Rosy chissà . L’unica cosa certa, in questo consiglio federale della Lega che si riunisce oggi in via Bellerio è l’espulsione dell’ex tesoriere, che tra l’altro è già stato costretto alle dimissioni dall’incarico di partito.
Rosy Mauro, invece, non vuole lasciare la poltrona di vicepresidente del Senato, nonostante glielo abbia chiesto Bossi con una telefonata.
E nonostante la terra bruciata che le stanno facendo intorno nell’aula del Senato.
A cominciare dal presidente Renato Schifani, che ieri presiedeva la seduta al posto della Mauro, rimasta nel suo ufficio.
E continuerà a farlo, come ha spiegato alla capogruppo del Pd Anna Finocchiaro, «fino a quando ci sarà l’opportunità di salvaguardare il decoro dello Stato».
Sul fronte interno alla Lega, le cose sono un po’ più complicate.
«Rosy Mauro ha disobbedito a un ordine del presidente federale», è l’accusa dei rinnovatori raccolti attorno a Maroni.
L’ex ministro ne parla anche ospite di Vespa a Porta a Porta dove discute di Bossi, che «si è reso conto di aver sbagliato con me»; di « unità padana: basta gufare: inizia la fase nuova. Ci sono le condizioni per ripartire con l’unità interna. Ho visto un sondaggio, possiamo arrivare al 15%».
Poi liquida la teoria di Bossi sul complotto: «Non credo che ci sia un complotto dei servizi segreti nè della magistratura. L’errore è nostro che non abbiamo controllato. Lo so bene perchè sono stato ministro dell’Interno».
E infine torna su Rosy Mauro rispondendo così a Vespa che gli chiede se la Mauro oggi sarà espulsa: «Al consiglio federale si capirà se la permanenza di alcuni dirigenti è ancora possibile; la mia posizione è che si debba fare pulizia dei traditori e dei comportamenti non da leghisti».
E ancora: «Il partito le chiede di dimettersi e lei si deve sentire obbligata».
Sta di fatto che alla vigilia del federale, sono in pochi a scommettere che per “la badante”, come da anni la chiamano i suoi nemici interni, oggi sarà davvero il giorno dell’addio forzato al Carroccio.
Il fatto è che Bossi, nonostante quella telefonata, appare molto più prudente di Maroni.
Tanto che sulla cacciata della Mauro tra i due sembra profilarsi un braccio di ferro che confermerebbe le riserve dell’ex segretario sulla marcia trionfale di Bobo verso la conquista del partito al congresso federale anticipato a fine giugno.
«La Rosy è brava, non è come la dipingono, vediamo», ha ragionato a voce alta il Senatùr alla fine del suo intervento alla «serata delle scope».
Ma non solo quelle parole a seminare più di un dubbio sullo scenario che ancora ieri Maroni immaginava: il “federale” chiederà formalmente alla Mauro di lasciare la poltronissima del Senato, e se lei dovesse opporre un nuovo rifiuto scatterebbe l’espulsione.
Riserve di Bossi a parte, di sicuro – considerata la composizione del parlamentino leghista – ci sarà qualcuno pronto a frenare sulla proposta della cacciata ignominiosa. Tuttavia qualcosa bisognerà pur fare, ed ecco allora profilarsi una seconda ipotesi: una sospensione di nove mesi, che per statuto è la massima sanzione dopo l’espulsione.
Se così fosse, la Mauro verrebbe pure degradata,in modo automatico, da “militante” a “sostenitore”.
E non sarebbe più ricandidabile alle elezioni politiche dell’anno prossimo.
È solo un’ipotesi, oggi tutto è possibile.
Ma il solo fatto che venga affacciata la dice lunga sulle tensioni che si registrano ai piani alti della Lega.
Intanto, a spulciare lo Statuto, non sembra immaginabile che a giugno il congresso possa confermare il Senatùr nella carica di presidente con Bobo leader.
L’articolo 15, infatti dice in modo chiaro che presidente e segretario non possono appartenere alla stessa “nazione” (vuole dire regione, nel complicato linguaggio dei leghisti).
Un bel problema, anche se Maroni, sempre da Vespa, dice che lo statuto della Lega «si può anche cambiare».
Sarà , ma Bossi ieri è tornato a marcare qualche distanza da Bobo.
Nell’intervista alla Padania oggi in edicola, il vecchio capo così commenta la “visita” dei leghisti ai pm milanesi che indagano sui conti del partito: «Hanno fatto bene ad andare con Maroni per dirsi disponibili ai chiarimenti, manon dimentichiamoci che i tempi della politica non li decide la magistratura ».
Poi la messa in guardia da «eventi esterni che aspettano solo il momento opportuno per cavalcare divisioni e sperare di rompere l’unità della Lega».
Rodolfo Sala
(da “la Repubblica”)
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