PER VOTARE IN AUTUNNO LEGGE ELETTORALE SUBITO: I PARTITI ORA TRATTANO
LE MOSSE DI PDL, PD, UDC NEL TIMORE DI NON ESSERE PIU’ MAGGIORANZA A PRIMAVERA… I TRE PARTITI INSIEME SONO SCESI DALL’ 85% al 55% DEI CONSENSI
La partita per il voto a novembre è iniziata e verrà giocata in Parlamento, con il capo dello Stato e il presidente del Consiglio nelle vesti di spettatori interessati.
Sarà una partita rapidissima, perchè la finestra temporale per il voto in autunno si chiuderà nei primi giorni di agosto.
Perciò, se questa settimana verrà depositato alle Camere un testo per la riforma del Porcellum, vorrà dire che Pdl Pd e Udc avranno raggiunto un’intesa sul nuovo meccanismo di voto.
E un accordo sulla legge elettorale porterà con sè un accordo sull’apertura della campagna elettorale.
Tocca alle Camere l’ultima parola. Dopo che Monti ha lasciato ai partiti la valutazione sulla gestione dell’ultimo tratto di legislatura, dopo che Napolitano ha posto precise condizioni rispetto all’ipotesi di anticipare di qualche mese il ritorno alle urne, le forze della «strana maggioranza» sono chiamate ora al passo decisivo.
È un passo complicato, e non certo per le divergenze sui meccanismi di voto. Non è un problema tecnico, il nodo è politico, ruota attorno ai futuri assetti di potere.
Decidere di smontare il governo di oggi, significa sapere già come montare il governo di domani. Ecco dove si è incagliata fin dall’inizio la trattativa.
Da una parte c’è Casini, che insiste perchè l’esperienza Monti abbia un seguito, dall’altra c’è Bersani che – pur non escludendo la Grande Coalizione se il voto la determinasse – mira comunque in quel caso a una soluzione «tedesca», con il leader del primo partito che forma una maggioranza e assume l’incarico di guidare l’esecutivo.
Tra i due litiganti c’è poi Berlusconi, pronto a ogni mediazione pur di stare «nel ring», anche se proprio il ritorno in campo del Cavaliere crea un’ulteriore difficoltà nelle trattative, perchè Pd e Udc non sono disposti ad averlo come interlocutore.
Il resto è tattica. Le varianti ai modelli elettorali sono state tutte esaminate, l’ultima mediazione ruoterebbe attorno a un sistema proporzionale fissato su collegi più piccoli che imporrebbero un aumento delle circoscrizioni, tre preferenze, un listino bloccato per il 25% degli eletti e una legge sui tetti di spesa per la campagna elettorale.
Ma finchè non si scioglie il nodo politico non si va avanti. Il punto è che i protagonisti della partita hanno fretta di fare in fretta.
E sono i numeri a spiegarne il motivo: Pdl, Pd e Terzo polo occupano attualmente l’85% dei seggi parlamentari, prima delle Amministrative vantavano il 70% dei consensi, mentre oggi nei sondaggi arrivano appena al 55%.
Il rischio insomma è che «la strana maggioranza» non sia più maggioranza la prossima primavera, ecco perchè si è aperta la finestra elettorale di novembre, ecco cosa ha indotto Monti al gesto, ecco perchè Napolitano ha posto delle condizioni ma non si è opposto.
È vero che la stabilità politica non è condizione sufficiente per bloccare la speculazione dei mercati, ma è senza dubbio una condizione necessaria per rispondere agli eventuali attacchi.
E i partiti che oggi reggono il governo hanno bisogno di rafforzarsi con una legittimazione popolare per poter fare – se necessario – ulteriori scelte difficili in politica economica.
Il leader dei centristi, il più solidale alleato di Monti, l’ha detto: «Un’altra manovra prima del voto nessuno può reggerla».
Più chiaro di così.
Il clima nel Paese per chi si è sobbarcato l’onere di appoggiare in Parlamento le riforme dei tecnici è pessimo.
La scorsa settimana ne hanno avuto un’ulteriore prova Alfano, Casini ed Enrico Letta, che erano stati invitati dai giovani industriali per discutere a porte chiuse di legge elettorale.
In quella sede avevano iniziato a spiegare l’importanza della riforma e la loro determinazione nel volerla portare a compimento.
Ma l’incontro si è trasformato ben presto in un rodeo, dalla platea un gruppo di imprenditori ha iniziato ad apostrofare gli ospiti, con critiche sui provvedimenti del governo e un messaggio finale inequivocabile: «Fatela ‘sta legge elettorale. E metteteci le preferenze, così potremo licenziarvi tutti».
Ecco perchè certe sortite di Monti non sono ben accette dalla «strana maggioranza», stretta tra l’approvazione di provvedimenti impopolari e le reazioni degli elettori. Non è piaciuta, per esempio, la citazione di De Gasperi fatta ieri dal premier: «Un politico guarda alle elezioni, uno statista alle future generazioni». «La retorica è cattiva consigliera», è stato il commento di Cicchitto.
Ed è uno stato d’animo bipartisan. Anche Bersani non manca di raccontare come «ogni giorno mi ritrovo sotto la sede del partito esodati, disoccupati. E mica sto a palazzo Grazioli, io.
La mia porta dà sulla strada». Insomma, se è vero quanto sostiene il Professore, e cioè che «servirà del tempo per raccogliere i frutti delle riforme», è altrettanto vero che più tempo passa, più i partiti di governo si stanno logorando.
E allora, come spiega Quagliariello, l’opzione del voto a novembre si va concretizzando «non per volontà degli attori ma per necessità , impellenza, mancanza di alternativa».
Serve però una nuova legge elettorale, serve un’intesa sugli assetti futuri del sistema. Intanto tutti si preparano al solito lunedì di paura sui mercati, dopo un venerdì nero a cui – secondo Monti – ha contribuito per la sua parte quella dichiarazione «improvvida» del ministro spagnolo Montoro: «In cassa non abbiamo più un soldo».
Come accendere un fiammifero in una polveriera: l’onda d’urto è arrivata in Italia via Londra.
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera“)
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