PICCOLO, LANDINI “IL REAZIONARIO” E LA LOCOMOTIVA DI GUCCINI
L’INTELLETTUALE RENZIANO E L’APOLOGIA DELLA PRESUNTA CONCRETEZZA DEL “FARE” (STRONZATE)
Sulla home page dell’Huffington Post ieri mattina campeggiavano due foto: Maurizio Landini e Francesco Piccolo.
Il leader della Fiom e l’ultimo premio Strega, da molti indicato come l’intellettuale di riferimento del renzismo di lotta, soprattutto di governo.
Nell’intervista al giornale on line diretto da Lucia Annunziata, Piccolo se la prende con Landini. Se la prende storicamente non personalmente, naturalmente: “È un discorso sulla sinistra che si sente pura, il mio giudizio su Landini è storico, non personale. E lo esprimo nel pieno rispetto delle sue idee e di quelli che le condividono”.
Fatta la doverosa premessa, la tesi è: Landini è reazionario.
Il che ha lo stesso effetto comico di quando Peppone tuona contro “la signora reazione che con ignobili insinuazioni tenta speculazioni ai danni del popolo”.
Ma almeno Peppone faceva il meccanico, non l’intellettuale.
Spiega lo scrittore che lo scontro “si apre ogni volta che la sinistra si fa concreta, diventa di governo, e deve mettere in atto le cose. Di fronte a questo appuntamento, in cui ci si espone alla fragilità del non farcela, c’è sempre nella sinistra un risveglio di purezza. Contrapporre alla fragilità della concretezza la purezza degli ideali è una strada seducente, irresistibile. Stavolta tocca a Landini incarnarla”.
La sinistra concreta sarebbe quella di governo.
La sinistra del Jobs Act, dell’articolo 18, del superpreside nella buona scuola.
La sinistra delle riforme, il pateracchio del Senato dei nominati e dell’Italicum fotocopia del Porcellum.
La sinistra del fare che vuol governare a suon di premi di maggioranza e listini bloccati.
La sinistra del decreto legge.
È questa la sinistra che, dice Piccolo, è diventata adulta. Perchè ripeness is all, la maturità è tutto e dunque non si può restare ostaggio delle idee, non diciamo ideologie che sono morte e sepolte da decenni.
Il governo del fare mette le mani nelle cose. E questo sarebbe di per sè un bene?
Che senso ha l’apologia dell’agire se le azioni sono quelle, molto discutibili, viste in questi mesi? Agire, ma per fare cosa?
Sembra una domanda inutile, senza importanza, in quest’orgia laudante del premier facitore.
È tutto un elogio della velocità , del piglio, dell’energia.
Ma è sul cosa e sul come, che Landini vuol portare l’attenzione e il segretario della Fiom ha ragione quando rivendica come politica la sua iniziativa.
Dice lo scrittore che le persone hanno un’irresistibile attrazione verso lo scatafascismo. Ma il mito del progresso (chissà se Piccolo se lo ricorda ancora il treno della Locomotiva gucciniana) è un mito smentito dai fatti: basta guardare la classe dirigente dei tuìt e delle slide.
Gente che non risponde mai sul punto, mai nel merito alle obiezioni.
Quelle rare volte che le obiezioni vengono considerate e non rispedite al mittente con gentilezze tipo ”tutti gufi e rosiconi”.
Prima non andava tutto meglio? È più convincente il “non c’è limite al peggio”.
Da “l’ottimismo della volontà ”, passando per “l’ottimismo è il sale della vita” della pubblicità , era un fatale arrivare al “preferisco avere il mito del futuro che quello del passato”.
Per questo il pessimismo della ragione è più che mai una risorsa.
Da ultimo: chi si autodefinisce intellettuale suscita sempre una certa diffidenza.
Non solo perchè spesso l’uso del cervello viene confuso con l’uso di mondo, o perchè a intellettuale seguono aggettivi come “libero” o “cosmopolita” oppure, perchè no, “organico”. Soprattutto per la presunzione di intelligere.
Silvia Truzzi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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