PIE ILLUSIONI: LA STABILITA’, IL MODELLO TEDESCO DI RENZI
L’IDEA E’ FAR CALARE IL COSTO DEL LAVORO IN MODO CHE LE IMPRESE ESPORTATRICI ASSUMANO
Il ddl Stabilità ora è legge dello Stato: l’intervento economico pubblico sul 2015 è insomma in gran parte definito.
È il momento, dunque, di tracciare un bilancio di quale idea di paese traccia il governo Renzi nella sua legge fondamentale.
Qual è l’obiettivo della legge di Stabilità firmata da Pier Carlo Padoan?
Intanto una premessa: i governi nazionali, specialmente di paesi con alto debito, hanno pochi margini di manovra visto che non hanno in mano la politica monetaria e quella fiscale solo in parte visti i vincoli Ue.
Per uscire dalla recessione/stagnazione in cui affonda l’economia italiana, quindi, l’esecutivo s’affida al privato. Le direzioni sono due: stimolare i consumi individuali e spingere le imprese a investire.
In che modo pensa di riuscirci?
L’intervento sui consumi è abbastanza debole: si tratta della conferma strutturale degli 80 euro di bonus Irpef (che hanno inciso poco nel 2014) e della possibilità di avere il Tfr in busta paga per tre anni.
Questa scelta, peraltro, non è indolore visto che la tassazione è più alta rispetto al normale.
Per “incentivarla”, comunque, il governo Renzi ha anche deciso di alzare le tasse tanto sul Tfr che resta in azienda che su quello devoluto ai fondi pensione.
Non proprio un atto amichevole verso il risparmio. Nel quadro di incentivi ai consumi può essere inserito anche il bonus per chi fa figli nel 2015 o l’ecobonus sulle ristrutturazioni edilizie. E per gli investimenti delle imprese?
Questo è il vero core business della manovra e s’intreccia col Jobs Act. Renzi e Padoan hanno deciso che è la grande impresa — e in particolare quella che punta sull’export — che ci porterà fuori dalla palude.
L’idea è far calare il costo del lavoro: a suo modo, è il modello tedesco . E allora il governo dà alle imprese lo sgravio completo della componente lavoro dell’Irap e la detassazione delle assunzioni per tre anni.
Il Cdm cancella l’articolo 18 e crea il contratto unico a tutele crescenti.
“A questo punto gli imprenditori non hanno più alibi”, ha detto Renzi.
Nessuno però produce per riempire il magazzino: per assumere l’imprenditore deve avere mercato.
È vero che c’è stato un taglio delle tasse da 18 miliardi? Non proprio.
Il saldo tra maggiori e minori entrate dice che la detassazione all’ingrosso vale meno di 8 miliardi, il resto sono partite di giro o meglio spostamenti di tasse da un settore all’altro.
Roba che per i comuni cittadini sarà comunque ampiamente controbilanciata dall’aumento della tassazione locale (o dal taglio dei servizi come la sanità o il welfare di prossimità , che poi andranno acquistati sul mercato) dovuto ai tagli lineari sugli enti locali.
E la spending review? Poca roba.
A parte le sforbiciate su Regioni, Province e Comuni — che sono lineari alla Tremonti — il conto per i ministeri non arriva ai 2 miliardi.
Chi ci perde da questa manovra? Sicuramente il Mezzogiorno non è stato trattato bene da questa legge di Stabilità .
Una parte di quelli che Renzi chiama “risparmi di spesa” infatti — all’ingrosso 4 miliardi — sono soldi sottratti ai fondi destinati agli investimenti pubblici nel Sud.
In generale, il governo Renzi ha scritto nei suoi conti che gli investimenti pubblici continueranno a calare nei prossimi tre anni. Un grave errore.
Quali sono i problemi più grossi?
Come hanno scritto i Servizi bilancio di Camera e Senato il quadro macroeconomico non è del tutto credibile: le nuove entrate, ad esempio, sono in parte aleatorie (vedi la “lotta all’evasione”) e pure i dati su cui è disegnato il bilancio (crescita del Pil, inflazione, domanda interna e esterna) non paiono solidissimi.
La cosa non è tranquillizzante perchè a coprire il tutto ci sono le clausole di salvaguardia… Cioè gli aumenti di Iva e accise.
Sono un eredità addirittura del governo Berlusconi (che però aveva piazzato la mina sotto forma di taglio delle deduzioni fiscali), ma sono ancora lì: si tratta di possibili aumenti di tasse e accise per 12,8 miliardi nel 2016, 19,2 miliardi l’anno dopo e 21,2 miliardi dal 2018.
Almeno la manovra è espansiva. A stare ai numeri di Renzi nient’affatto: il deficit in rapporto al Pil oggi è al 3 per cento e a fine 2015 sarà al 2,9 per cento.
Tradotto: il bilancio pubblico si contrae, non si espande.
Si parla di “marchette”. Qualcuna ce n’è, le abbiamo elencate nei giorni scorsi.
Una sembra particolarmente sgradevole: la sanatoria per le sale scommesse illegali senza neanche pagare per il passato, come pure il favore alla Sisal per rilanciare il Superenalotto. Nella stessa legge in cui si dice di voler combattere la ludopatia.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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