POLETTI GATTOPARDO: ADDIO CO.CO.PRO? NO, CAMBIA SOLO IL NOME
IL CONTRATTO A PROGETTO SARà€ RIVISTO MA LA SOSTANZA RESTA… SINDACATI DELUSI
Il governo punta al superamento dei Contratti a progetto, i famigerati co.co.pro.
Ma non del tutto. Anzi, per niente.
L’esito dell’incontro avuto ieri al ministero del Lavoro tra Giuliano Poletti e i rappresentanti di sindacati e imprese ha confermato gli schieramenti di partenza.
“La montagna ha partorito il topolino” ha chiosato, ricorrendo al tradizionale proverbio, il segretario della Uil, Carmelo Barbagallo.
“Delusa” la Cgil, contente le imprese anche se qualche distinguo lo hanno voluto rimarcare anch’esse.
L’incontro serviva a illustrare alle parti sociali il terzo decreto attuativo del Jobs Act, dopo i due già approvati dal governo e passati al vaglio delle Commissioni parlamentari (quello sul contratto a tutele crescenti e quello sull’Aspi).
In questo caso si tratta del riordino delle varie tipologie contrattuali, l’occasione, secondo molti, di “disboscare” la precarietà introdotta dalle norme degli ultimi venti anni, dal “pacchetto Treu” alla “legge Biagi”.
Precarietà che il ministro ha puntato a circoscrivere già nella sua introduzione all’incontro.
Non ci sono 45 forme di contratti precari, ha contestato alla Cgil, ma non più di 10-15 secondo la ricognizione del suo ministero.
Di questi, il governo punta ad abolirne solo due: l’associazione in partecipazione e il job sharing.
Un contratto, quest’ultimo, quasi per nulla utilizzato mentre l’associazione è ampiamente usata nel commercio per mascherare il lavoro dipendente con l’associazione all’impresa esercente.
È stata la Cisl a richiedere nei mesi scorsi la soppressione di questa tipologia e non a caso, ieri, il sindacato di Annamaria Furlan si è detto soddisfatto della decisione di Poletti.
Il ministro, però, ha confermato la durata del contratto a tempo determinato in 36 mesi, misura in contraddizione con l’esistenza del contratto a tutele crescenti.
Su questo punto, però, qualsiasi rimodulazione – si era pensato a ridurre la durata a 24 mesi — ha visto la netta contrarietà delle imprese.
Per quanto riguarda l’aspetto simbolicamente più rilevante dell’incontro, i co.co.pro., si è scelto di rinviare il problema puntando a una ridefinizione delle norme.
“Il governo — ha spiegato Poletti — intende bloccare l’utilizzo dei contratti di collaborazione aprogetto”. Ma non li ha aboliti.
Quelli nuovi saranno sospesi “per chiarire meglio i confini tra lavoro subordinato e lavoro autonomo”.
Intenzione questa, vista con sospetto dalle imprese che infatti l’hanno criticata: “Si rischia di reintrodurre forme di lavoro dipendente” ha puntualizzato Rete Imprese.
In ogni caso si tratterà di una riforma della tipologia esistente: “Una manutenzione e non un disboscamento” ha commentato la segretaria Cgil Serena Sorrentino presente all’incontro.
Per i rapporti in essere, invece, ha spiegato ancora Poletti, “occorrerà trovare una modalità di gestione transitoria”.
Sui co.co.co., invece, l’esecutivo procederà valutando “ogni specificità , sia per quelli pubblici che per quelli privati”.
Anche qui, quindi, nessuna abolizione o superamento. Sarà ritoccato anche l’apprendistato, in particolare con la riduzione della quota di formazione a carico delle imprese.
Poletti l’aveva già ridotta al 30% ma si potrebbe scendere ancora al 10. Infine, il ministro ha ventilato una sorta di appendice al decreto in relazione all’ipotesi di demansionamento unilaterale da parte delle aziende.
Una misura vista con molto allarme dai sindacati ma non del tutto chiarita.
I testi si vedranno domani, dopo il Consiglio dei ministri che varerà formalmente i decreti e che approverà definitivamente quelli già emanati.
Se il governo accoglierà o meno le riformulazioni sul licenziamento collettivo stabilite dalle commissioni parlamentari non è ancora chiaro: “Non posso anticipare nulla” ha detto Poletti, “deciderà il Consiglio dei ministri”. Cioè, Matteo Renzi.
Sul fronte sindacale la Cgil ha riunito ieri il suo comitato direttivo per decidere come proseguire la mobilitazione contro il Jobs Act.
L’obiettivo di Susanna Camusso, definito da un documento approvato a larghissima maggioranza, è quello di definire un “nuovo Statuto dei lavoratori” da trasformare poi in una legge di iniziativa popolare su cui avviare la raccolta delle firme a partire dal 19 marzo.
La Cgil, però, “non esclude” il ricorso a un referendum abrogativo.
E per dimostrare che potrebbe fare sul serio prenderà questa decisione dopo una “inedita” consultazione dei suoi iscritti chiamando il corpo della Cgil alla più ampia partecipazione.
Avvertendo, tuttavia, che questa ipotesi non potrà essere utilizzata per ambizioni politiche di vecchi e nuovi partiti.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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