POMPEI CROLLA, MA I FONDI DORMONO AL MINISTERO
SU 105 MILIONI RICEVUTI DALLA UE ME SONO STATI SPESI SOLO 600.000… E 55 MILIONI ASPETTANO ANCORA I BANDI
La retorica della grande bellezza non salva Pompei: è avvenuto il terzo crollo in tre giorni, l’ennesimo muro millenario che si sgretola sotto i secchi d’acqua di un febbraio monsonico.
La procura apre un fascicolo per disastro colposo: ma se il disastro c’è — e c’è — è tutto tranne che colposo
Esattamente come per l’ambiente, anche per il patrimonio non è infatti mai decollata una vera conservazione programmata fondata su metodi e strumenti scientifici: ad essa preferiamo il ‘restauro’ (cioè il recupero a posteriori, spesso solo estetico).
Come ha scritto Bruno Zanardi, Pompei si salva «attraverso un rapido ripristino di tetti, finestre e porte degli edifici antico romani, così come la realizzazione di sistemi di smaltimento delle acque meteoriche a partire dalle fogne … un progetto di ricerca e sviluppo aperto anche a università e industria».
A questo si deve aggiungere il definanziamento degli ultimi anni: tutto il patrimonio italiano agonizza perchè il suo bilancio, già sul livello di galleggiamento, fu ridotto a un terzo ai tempi di Bondi, Tremonti e Berlusconi e non si è più ripreso.
Per Pompei questo si è tradotto, per esempio, nell’interruzione delle catene di professionalità artigianali che si tramandavano il mestiere di generazione in generazione. Senza mosaicisti, nessuno ripristina i mosaici: e così via
Ma nella lunga morte in diretta di Pompei emerge qualcosa in più: la morte dello Stato.
E non solo perchè lì tutto è in mano all’antistato della criminalità organizzata.
Certo, anche per questo: siamo al punto che le buste con le offerte per le gare spariscono nell’ufficio postale di Pompei prima che possano essere recapitate.
Il consiglio comunale di Pompei è stato sciolto nel 2001 e commissariato per tre anni, e ancora nel luglio scorso la Dia ha dovuto chiedere alla Prefettura di conservare i filmati delle videocamere di sorveglianza degli scavi, per poter sapere chi entra e chi esce.
Ma soprattutto perchè lo Stato si è inceppato, non decide e non fa più nulla. La notizia clamorosa, fin qui non uscita, è che in due anni esatti, dei famosi 105 milioni di euro disponibili grazie al cofinanziamento europeo, il Ministero per i Beni Culturali è riuscito a spendere solo 588mila euro!
Che 55,4 milioni di euro sono ancora da bandire, contro soli 18,7 già banditi.
E che sui 55 interventi da realizzare ci sono solo 5 cantieri aperti, e 9 progetti aggiudicati. Perchè? È triste ma necessario rilevare che l’intera catena di comando dell’archeologia — dalla soprintendenza su su fino alla direzione generale romana — si è rivelata del tutto inadeguata : incapace di gestire il personale, inconsapevole di governare non un museo o un sito, ma una vera e propria città .
Un episodio sintomatico: qualche mese fa una troupe della Rai che filmava alcuni turisti stranieri che staccavano, e si mettevano in tasca indisturbati, le tessere dei mosaici è stata accompagnata all’uscita da ben cinque dipendenti con il distintivo del concessionario, Civita.
Ecco un buon esempio di uso delle risorse, oltre che di trasparenza!
A questo disastro endemico si è sommata l’ipertrofia burocratica di strutture che si sommavano le une alle altre: il Comitato di Pilotaggio, il Gruppo di Lavoro, l’Unità Grande Pompei e il Comitato di Gestione. Un’orgia di maiuscole utili solo a frantumare e diluire le responsabilità , insabbiare le decisioni, favorire l’immobilismo.
Quando, nel maggio del 2013, si è trovato di fronte a tutto questo l’allora neoministro Massimo Bray non solo ha imposto una brusca accelerazione al progetto (varando ben 9 dei 14 progetti attivi), ma ha anche deciso di imporre un modello di governo che segnasse una brusca discontinuità : ora tutto è nelle mani di una struttura capace di decidere, e formata da un direttore generale (il generale dei carabinieri, ed ex capo del nucleo di tutela, Giovanni Nistri), un vice (il direttore Mibac Fabrizio Magani, cui si deve l’avvio vero della ricostruzione dell’Aquila monumentale), un soprintendente (l’archeologo di fama internazionale Massimo Osanna).
Un autorevole osservatore terzo (il giurista Lorenzo Casini) ha scritto che la soluzione Bray «ha il pregio di fronteggiare congiuntamente i seri problemi esposti: criminalità organizzata, assenza delle amministrazioni locali, inefficienze amministrative, urgenza Unesco».
Ma ci sono voluti nove mesi di estenuanti battaglie con i poteri forti esterni al Mibac e con la struttura interna: e la macchina non è ancora a regime perchè un’irresponsabile guerriglia burocratica è riuscita finora a impedire la formazione dello staff di Nistri e Magani, e a rinviare la presa di servizio di Osanna.
La partita per Pompei si vince o si perde a Roma:
Dario Franceschini è avvisato.
Tomaso Montanari
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