PONTE MORANDI, GENOVA PAGA IL CONTO DEI RITARDI DEL GOVERNO
CALANO AFFARI IN PORTO, INCASSI ESERCENTI MENO 60% , DIMEZZATI GLI INGRESSI ALL’ACQUARIO
La prima boccata d’ossigeno è arrivata giovedì, grazie a un treno merci proveniente da Dinazzano (Reggio Emilia) e diretto al porto. N
on accadeva dal 14 agosto, che un convoglio dal Nord Italia alimentasse le banchine, adesso sono state riaperte due delle tre linee finora bloccate dalle macerie e insomma: «Non è come tornare agli standard antecedenti lo scempio – spiega Paolo Emilio Signorini, che guida l’autorità portuale Genova-Savona – ma si tratta d’un passo avanti dopo un trauma che ci stava rispedendo indietro, nonostante sette mesi di crescita costante, al 7%, nella movimentazione container».
La principale industria cittadina è lo specchio dei troppi segni «meno» che l’economia del capoluogo ligure, e non solo, ha inanellato dal crollo del Ponte Morandi; distribuiti in primis fra i moli e il commercio al dettaglio, senza tralasciare le industrie della zona rossa e alcuni luoghi simbolo come l’Acquario.
L’unica voce di conforto viene dal turismo dei «pacchetti», tant’è che i transiti di agosto e settembre all’aeroporto sono aumentati del 15% sul 2017. E però non basta a placare l’insofferenza d’una comunità che lunedì, per la prima volta dal giorno del massacro, si è data appuntamento per una manifestazione di piazza, nella stessa mattina in cui sarà presente con ogni probabilità il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli.
Posti a rischio
Tre numeri fotografano le difficoltà del principale scalo marittimo italiano insieme a Gioia Tauro, dodicesimo d’Europa: -24% di tasse portuali incamerate a settembre 2018 sullo stesso mese dell’anno precedente; -16% il traffico contenitori dell’agosto 2018 sul 2017; -10% le chiamate di «camalli», gli addetti allo scarico delle merci. Spiega Signorini: «Il porto vive dello scambio pieni-vuoti fra il bacino dell’estremo ponente (Pra’, che perde meno degli altri ovvero il 3,5%, ndr) dove ha sede uno dei principali terminal merci, e quello più centrale (Sampierdarena, ndr). L’unica arteria a disposizione dei camion per fare avanti e indietro in fretta su questa direttrice era fornita dal Ponte Morandi. Tagliando quella, a cascata rallenta il resto».
E va ricordato che uno studio Isfort-Confcommercio fissa in 600 mila euro i costi aggiuntivi giornalieri nel comparto delle imprese d’autotrasporto costrette ad aggirare il blocco, mentre sempre sul fronte logistico-occupazionale aleggia lo spauracchio dello stop ai finanziamenti per il Terzo valico, la nuova linea ferroviaria che dal mare dovrebbe proiettare al resto del settentrione e all’Europa centrale: 150 posti a rischio nell’immediato, 2.000 in prospettiva.
Dal medio-ponente al primo entroterra, il circondario di ciò che resta del viadotto è sinonimo di maxi-spese supplementari per una ventina d’insediamenti industriali, che hanno dovuto fare i conti con un’onerosa e imprevedibile riorganizzazione.
Lo spiega Giuseppe Zampini, amministratore delegato di Ansaldo Energia, principale gruppo presente in quest’area oltre che presidente di Confindustria Liguria: «Confermo le stime abbozzate nei primi giorni: le attività di carattere industriale presenti sotto il viadotto pagano nel complesso 300 mila euro in più ogni ventiquattr’ore, per drenare i disagi generati dalla tragedia. Riattivare le strade avrà benefici persino psicologici».
Negozietti in crisi
A gettare per primi la spugna rischiano d’essere i più piccoli, e addentrarsi nel commercio è un incubo: -50/60% gli introiti dei negozi sistemati a Nord del ponte, in uno spicchio dove vivono almeno 70 mila persone, con riflessi sulle vendite al dettaglio un po’ ovunque: «Genova – spiega Alessandro Cavo, numero due della Camera di commercio — è allungata sia sulla costa sia nell’hinterland. E gli acquisti restano proporzionali alle facoltà di spostamento, poichè gli spazi a buona densità commerciale sono limitati».
Gli stessi dati valgono per la superficie creata in passato appena a Sud dell’autostrada caduta, un bacino dove s’era deciso di concentrare le declinazioni genovesi d’Ikea, Leroy Merlin, Decathlon, Maison du monde, Unieuro e Arcaplanet.
Lo sfacelo del Morandi è un deterrente urbi et orbi e lo certifica il flop forzato d’una delle attrazioni simbolo, sebbene disti sei chilometri e mezzo.
Si tratta dell’Acquario di Genova, inserito martedì da TripAdvisor nella top 5 mondiale: «Nelle due settimane successive al disastro – spiega Giuseppe Costa, al vertice di Costa Edutainment che gestisce la struttura – i visitatori sono diminuiti del 50% sul 2017, dal 14 agosto a oggi del 25%. L’Acquario è spesso meta di turisti che puntano la Liguria per un giorno singolo di svago e lo spauracchio dell’ingorgo inibisce».
Considerato che la città deve fare i conti pure con il rumoroso crac del colosso dei ticket-restaurant Qui! Group (320 milioni di buco, 200 con bar e ristoranti medio-piccoli, 125 posti di lavoro in bilico) e che si gioisce ormai semplicemente perchè è nero su bianco l’assenza di esuberi all’acciaieria Ilva passata sotto Arcelor Mittal, non è difficile intuire quanto si debbano stringere i tempi della ricostruzione.
(da “Il Secolo XIX”)
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