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PRIMO TEMPO ALLA MERKEL, RENZI OTTIENE SOLO UN VAGO DOCUMENTO CHE LEGA LA FLESSIBILITA’ ALLE RIFORME, MA SALTANO LE CLAUSOLE VOLUTE DALL’ITALIA

NOMINATO JUNKER CON L’OK ITALIANO… MA LE RIFORME TROVANO OSTACOLI ANCHE NEL PD

L’Agenda Strategica che segnerà  il cammino dell’Unione Europea per i prossimi 5 anni ufficialmente soddisfa il governo italiano. Ma Matteo Renzi torna a casa dal Consiglio Europeo senza aver ottenuto riferimenti espliciti alla possibilità  di escludere dal patto di stabilità  due questioni cruciali: il cofinanziamento nazionale dei fondi Ue e il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione.
Sono due voci di spesa che pesano moltissimo sul bilancio pubblico.
Per ottenere margini di manovra su questi due punti, l’Italia dovrà  dimostrare di saperci fare su un campo altrettanto cruciale: le riforme.
E’ per questo che a Bruxelles il premier decide la linea dura con la minoranza del Pd che frena il cammino delle riforme costituzionali in Parlamento.
Ne va della credibilità  del suo governo all’estero, specialmente nei confronti di Angela Merkel, che ancora una volta si conferma decisiva nei rapporti di forza dell’Ue.
Merkel
Di fatto, con la Merkel, che vede anche in mattinata prima del Consiglio Ue, Renzi non la spunta sui due punti chiave che lui stesso indica in conferenza stampa da Bruxelles.
“Sui pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione — dice il premier — la procedura Ue è giusta perchè bisogna pagare entro 30 giorni. Contemporaneamente però l’Italia fa una riforma strutturale per pagare e recuperare anche l’evasione: dall’8 giugno tutte le amministrazioni centrali hanno il dovere di lavorare sulla fatturazione elettronica. Però nel mezzo di vuole una soluzione tampone…”.
Il ragionamento è lo stesso sul cofinanziamento nazionale dei fondi Ue, cui gli Stati sono obbligati a contribuire. Renzi non mette in discussione la regola, ma a Bruxelles ha messo in chiaro che “se la procedura è bloccata perchè il Patto di stabilità  e crescita mi blocca, allora il meccanismo è kafkiano”. Su questo il governo presenterà  un pacchetto di proposte specifiche da settembre, nel cosiddetto programma per “i mille giorni di governo”.
Ma fino ad allora l’Italia dovrà  dimostrare di saper andare avanti nel cammino riformatore.
E’ questo che ha ottenuto Renzi dalla Merkel: sì alla flessibilità  del Patto di stabilità  e crescita a condizione che l’Italia faccia le riforme. Ed è per questo che a Bruxelles il premier non ha gradito per niente gli attacchi della minoranza Pd sulle riforme costituzionali e nemmeno quel tentativo di Pierluigi Bersani di sostenere Enrico Letta alla presidenza del Consiglio Europeo, contro il parere del governo italiano.
Non è un caso che, prima della conferenza stampa di Renzi a Bruxelles, i suoi in Italia hanno messo subito in relazione le parole di Bersani con la posizione del gruppo Dem che si oppone alla riforma costituzionale del governo in Senato.
“Bersani come Chiti”, dicevano. E anche il premier da Bruxelles approfitta per inviare un messaggio, quasi un ultimatum, alla minoranza interna. Sebbene sia convinto che alla fine i dissensi rientreranno. “E’ sorprendente che tutte le volte che c’è da fare battaglia in Europa, c’è una parte del partito, ancorchè minoritaria, che apre discussioni che sembravano chiuse: mi riferisco alle riforme costituzionali…”.
“Ora è il momento di fare le cose in Italia — sottolinea Renzi – non chiediamo giustificazione all’Ue, siamo preparati a tutto, ma per primi dobbiamo fare le riforme che abbiamo promesso. Bisogna fare le riforme e inserire una marcia più rapida anche rispetto a quello che si sta verificando in queste settimane…”.
Perchè ciò che “cambierà  per l’Italia dipende dal grado di forza e persuasione che metteremo in campo”.
L’Agenda Strategica, frutto della mediazione di Herman Van Rompuy e curata per l’Italia dal sottosegretario agli Affari Europei Sandro Gozi, apre la strada. Nel senso che, sottolinea il premier, “per la prima volta in un documento ufficiale c’è un esplicito riferimento al ‘best use’”, cioè uso pieno, “della flessibilità . Significa che parlare di crescita non è un optional ma un elemento costitutivo dell’Ue. Chi parla solo di patto di stabilità  viola lo spirito del trattato”.
Però l’Italia resta in qualche modo ‘sorvegliata speciale’. Non che Renzi non se lo aspettasse. “Io rappresento il partito che ha avuto più voti in assoluto in Ue, il Pd tutto ha, tranne che preoccupazione di venire in questi consessi”. Ma questo non basta. Il premier sa che ora deve dimostrare a Merkel e gli altri partner di saper esercitare la forza elettorale conquistata alle europee su un terreno concreto.
Juncker
“La partita adesso è in Italia”, insiste Renzi che lega il sì italiano a Jean Claude Juncker presidente della Commissione Europea all’attuazione dell’Agenda Strategica. “Altrimenti non lo avremmo accettato a scatola chiusa”, anche perchè — e il premier ci tiene a sottolinearlo — Juncker non ha nulla a che spartire con il nuovo corso: “Sono l’unico che non conosce Juncker”, per dire che il lussemburghese effettivamente non è segnale di cambiamento, appartiene ad un’altra stagione: “Siede in Ue da 20 anni…”. Ma almeno, con la sua nomina, viene rispettato il principio democratico: “Juncker è il candidato alla presidenza della commissione indicato dal Ppe, il partito più votato alle elezioni…”.
Mogherini
Ma a Bruxelles Renzi non riesce nemmeno a ottenere decisioni anche informali sul resto del pacchetto delle nomine Ue.
Il Consiglio si occupa solo della designazione di Juncker. Gli altri ‘top jobs’ vengono toccati soltanto negli incontri bilaterali, nulla di ufficiale. Sarà  un altro vertice europeo a metà  luglio ad affrontare la questione.
Da parte sua, il premier continua a puntare sulla titolare della Farnesina Federica Mogherini come Mrs Pesc, Alto rappresentante della politica estera dell’Unione. Però “la questione non è chiusa…”, dice, pur ammettendo che l’incarico dovrebbe andare a un socialista. Ma per il premier italiano non esistono altri candidati, benchè nella famiglia del Pse il nome di Massimo D’Alema giri molto. “Ma nessuno può o vuole imporre all’Italia un nome diverso da quello indicato dal governo”, assicurano i suoi. Renzi adotta una linea di cautela, a lui generalmente estranea. “Se ci chiedono di indicare un nome per la Commissione, ci prenderemo le nostre responsabilità . Ma non per mettere uno dei nostri contro i loro, bensì per vedere riconosciuta la nostra autorevolezza ai tavoli, per suggellare l’autorevolezza ottenuta dall’Italia”.
Tajani
Intanto, lunedì il consiglio dei ministri affronterà  la questione della sostituzione di Antonio Tajani, commissario Ue all’Industria in scadenza.
Tre sono le possibilità , indica Renzi: “La prima è non nominare nessuno, essendo una carica che decade il 30 ottobre. La seconda è dare da subito il nome su cui si scommetterà  nei prossimi cinque anni. Nel qual caso, si porrà  la questione del portafoglio che il commissario può avere, portafoglio che può cambiare al cambio di presidente della Commissione”. Oppure c’è una terza via: quella di nominare “qualcuno che conosca Bruxelles e che abbia un profilo tecnico”.
In quest’ultimo caso, il nome che circola è quello di Ferdinando Nelli Feroci, fino all’anno scorso rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione europea e attualmente a capo dello Istituto affari internazionali (Iai) e di Simest, società  italiana per le imprese all’estero.

(da “il Fatto Quotidiano“)

This entry was posted on venerdì, Giugno 27th, 2014 at 22:45 and is filed under Renzi. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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