QUEI 40 ITALIANI TRA I MUJAHEDDIN
COSI LA JIHAD ARRUOLA NEL MONDO
Sono almeno quaranta i jihadisti partiti dall’Italia verso i fronti siriano e iracheno.
È allarme rosso, secondo i servizi segreti. I mujaheddin italiani vengono monitorati nel timore che nel futuro, radicalizzati e addestrati di ritorno dal Medio Oriente, organizzino attività ostili contro il nostro Paese.
In più, con il sì delle Camere alle armi ai curdi, l’Italia è nel mirino dei terroristi.
La probabilità di un attentato è altissima, avvisa l’intelligence. S’è già visto nel caso di Jarraya Khalil, di stanza a Zenica, arrestato a Bologna con l’accusa di guidare una cellula integralista islamica.
O del genovese convertito all’Islam Ibrahim Giuliano Delnovo, ucciso mentre combatteva ad Aleppo con la “Brigata dei Difensori e dei Migranti” diretta dal ceceno Abu Omar.
Per tutto questo le intelligence sono prese a studiare il ritratto del jihadista della porta accanto: l’europeo infervorato dalla guerra santa, dal delirio di un Califfato in cui frontiere e identità nazionali d’incanto svaporino.
Ha il profilo di un maschio (ma le femmine sono il 16 per cento) fra i 16 e i 28 anni d’età , musulmano (però si arruolano anche cattolici) spesso convertito, mosso da un ardente idealismo o da un profondo malessere esistenziale.
In francese è il “Mal de vivre”, molto citato oggi da sociologi e servizi segreti persuasi che si tratti d’una epidemia, viste le formidabili schiere reclutate in Francia più che altrove in Occidente: almeno 700, indottrinati su Internet dai predicatori dell’Islam jihadista.
Giovani poco integrati, molti della seconda o terza generazione di immigrati, finiscono accalappiati dai sulfurei messaggi di emiri intenti a diffondere la “buona novella” del combattimento e della “morte santa”.
Sono almeno 400 in Gran Bretagna e in Turchia, più di 250 in Germania e Belgio, oltre un centinaio in Olanda e Danimarca, quasi la stessa cifra in America, e tutti quanti, sommati ai combattenti stranieri affluiti nel Vicino Oriente dai quattro capi del mondo (da 83 Paesi in totale) costituiscono qualcosa come un terzo dell’esercito jihadista addestrato alla violenza estrema.
Se si ascoltano le intelligence, questi numeri offrono soltanto uno scorcio parziale, destinati a moltiplicarsi in misura esponenziale.
Ad esempio: in aprile di quest’anno Gilles de Kerchove, coordinatore dell’antiterrorismo Ue, ha stimato che almeno 2000 combattenti si siano recati in Siria dai 28 Stati Ue: una cifra quadrupla rispetto ai 500 dell’anno precedente.
E ancora: i servizi americani calcolano ben oltre 7000 jihadisti in partenza, cifra che fa impallidire gli 800-1000 di appena un anno fa.
Capita così che emerga un gran numero di europei nei video più cruenti del nichilismo jihadista.
I “Baadiya Boys”, inglesi radicalizzati in Siria, sono stati ripresi a massacrare e stuprare Yazidi in fuga nel Nord Iraq.
Su Twitter un ventenne di Londra, Abdel-Majed Abdel Bary, ride della testa mozza che ha in mano: “Vado a zonzo col mio amico, o con quel che di lui rimane”.
Facebook e Twitter sono i grandi reclutatori di un pubblico “universale” – un solo filone è stato seguito in 75 lingue diverse, in primis l’inglese e l’olandese.
E a dividersi i neofiti stranieri sono tre epigoni di al Qaeda: Ahrar al-Sham, Jabhat al-Nusra, con l’Is (lo Stato islamico) a fare man bassa.
«Sei soddisfatto della tua vita?», sorride un americano con la figlioletta in braccio nei video di arruolamento dell’Is. «Qui troverai amore, fratellanza, giustizia, sharia». Immagini confezionate apposta a suggerire fratellanza, solidarietà , benessere, con un sottinteso senso di eroismo e d’avventura.
Per un “jihadologo” quotato come Aymenn Jawad al-Tamimi, l’attrativa dell’Is non risiede soltanto nella ricchezza finanziaria, la scaltrezza persuasiva, la potenza dell’arsenale.
«È il concetto del Califfato, la costruzione dello Stato, l’enfasi sulla jihad globale ad attirare reclute », dice al-Tamimi.
«I criteri d’ammissione dell’Is sono meno rigorosi rispetto ad altri gruppi. L’addestramento avviene dopo l’ammissione».
E la presenza costante dei figli al seguito? «Questi rappresentano la futura generazione di jihadisti, devono perpetuare l’esistenza del gruppo. Perciò vengono indottrinati anche i bambini siriani e iracheni ».
Gli stranieri sono tenuti in gran conto per l’efficacia nel proselitismo – fa già letteratura l’olandese Yilmaz, animatore di una “posta jihadista” via Kik, Tumblr e ask. fm. Soprattutto, sono potenziali pedine del progetto terrorista internazionale: motivati e addestrati in Siria e in Iraq, rappresentano cellule attivabili di ritorno nei Paesi d’origine.
Sono i “returnees”, la minaccia globale. Come fermare l’Is? «I raid americani ne argineranno l’avanzata. Ma per sradicarli, servono forze a terra. Nessuno vuole impegnarle».
Questo fa dire ad al-Tamimi che «il declino dell’Is non è questione di mesi. Serviranno molti, molti anni».
Custodero e Van Burer
(da “La Repubblica“)
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