RAGGI E APPENDINO TESTIMONIAL PERFETTE CHE “L’UNO VALE UNO” E’ UNA BOIATA PAZZESCA
SE NON “FUNZIONI” COME CANDIDATO INTERCETTI SOLO LO ZOCCOLO DURO DEGLI ELETTORI CINQUESTELLE E NON VINCERAI MAI
Il Movimento 5 stelle ha vinto il primo turno delle elezioni comunali del 2016.
Ci sono luci e ombre, la lettura del voto è stratificata e complessa, ma a livello globale ha vinto.
Un’affermazione conquistata dove c’era una trincea da conquistare, un campo da sminare. Ma soprattutto ottenuta asfaltando, spazzando via, uno dei capisaldi dell’armamentario di slogan a 5 stelle: quello del “Uno vale uno”.
I candidati stellati che hanno ottenuto buone, se non ottime affermazioni sono stati quelli che hanno funzionato come candidato.
Virginia Raggi e Chiara Appendino, ciascuna a suo modo, hanno bucato lo schermo, hanno anche rassicurato l’elettorato che volevano motivare, hanno toccato le corde dell’empatia e dell’immedesimazione di coloro a cui hanno chiesto il voto.
Nel suo modesto risultato, anche Massimo Bugani a Bologna ha elevato la modesta asticella riscontrata a livello nazionale, grazie ad un radicamento sul territorio e a un lavoro che hanno permesso l’identificabilità del suo volto con una storia, un tessuto di connessioni.
Ovunque i 5 stelle abbiano optato per un frontman fiacco, inefficace, se non proprio per un carneade, si sono limitati a intercettare quel misto tra zoccolo duro e quel generico senso di protesta che ancora alberga in alcune fasce d’elettorato.
La cui somma non va comunque oltre un fisiologico 9-11%.
Non si confonda “L’uno vale uno” a 5 stelle con il sacrosanto principio di una testa un voto, riconosciuto come principio fondante della democrazia, a prescindere dal grado di disintermediazione del contesto.
Il principio stellato è quello per cui ognuno è intercambiabile nell’assolvimento di qualunque tipo di incarico e di funzione.
Perchè contano le idee e la rete solidale che ti sostiene, non il tuo livello di competenza e capacità personale.
C’è un video del 2011 nel quale, alla presenza di Beppe Grillo, Filippo Pittarello, strettissimo collaboratore dei due co-fondatori e oggi gran tessitore del gruppo a Bruxelles, spiega la filosofia alla base del principio a 5 stelle.
L’eletto grillino deve avere “una faccia pulita e attitudini, più che competenze”.
Poi spiega quel che faceva Giovanni Favia (sappiamo tutti come è andata a finire) quando sedeva in consiglio comunale a Bologna:
“Prendeva il testo di legge, lo mandava ai ragazzi che erano in riunione, dove c’erano due o tre esperti che gli scrivevano in tempo reale l’intervento che doveva fare”. Quindi Pittarello passa ad elencare i criteri per la scelta del perfetto candidato: “Una faccia pulita, un’attitudine a muoversi con destrezza sulla rete, quella a chiedere consigli e la capacità di parlare in pubblico”.
Insomma, un’eterodirezione quasi completa, rispetto alla quale è praticamente ininfluente chi sia il terminale del voto.
Ecco, Virginia Raggi e Chiara Appendino sono le perfette testimonial del fatto che questo assunto sia una boiata pazzesca.
Prendiamo il caso Roma. Appena tre anni fa la città usciva dal disastroso quinquennio di Alemanno, travolto dagli scandali dell’Ama, di parentopoli, di anni di mala gestione e esasperazione della città . E il Pd candidava un Ignazio Marino che ai blocchi di partenza era considerato un debole ripiego.
In quella condizione Marcello De Vito, bravissima persona ma non un condottiero, si fermò a un terzo dei voti di quella che poi diventò sua collega in consiglio Comunale.
A Napoli, città di Roberto Fico e territorio di caccia di Luigi Di Maio, l’aver candidato un Brambilla milanese tifoso dichiarato della Juventus ha portato l’asticella al 9%.
A Milano, città di Gianroberto Casaleggio e terra d’elezione di Mattia Calise, primo consigliere comunale in una grande metropoli, silurata la designata Bedori e avendo spinto avanti in tutta fretta il freddino Corrado non si è andati oltre il 10%.
Male a Cagliari, appena meglio a Trieste, i carneadi al voto non hanno raggiunto il ballottaggio in nessuno degli altri principali comuni, se si esclude Carbonia, dove su 16mila votanti circa 150 gli hanno aperto le porte del secondo turno a scapito di un raggruppamento di liste civiche.
I 5 stelle fanno finta di non saperlo, ma hanno compreso benissimo una regola semplice della politica.
Quella per cui chi vota si identifica, si sente motivato e/o rassicurato da chi in prima persona gli chiede il voto.
E aderisce a un’idea, a una filosofia della politica e infine ad un programma anche, forse soprattutto, per come gli viene veicolato e comunicato. Lo sanno talmente bene che hanno puntato le proprie fiches laddove sapevano di avere buone chance di vittoria, marginalizzando gli altri contesti.
Sapendo anche che il corollario dell’uno vale uno, e cioè che “l’unico candidato premier del Movimento è il Movimento”, è anch’essa una sciocchezza.
Chiedere a Luigi Di Maio. E a chi ha allestito il set fotografico di Vanity Fair.
(da “Huffingtonpost“)
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