RECOVERY, RISTORI, NOMINE, RAI: GLI INTERESSI DEI MANDANTI DI RENZI PER SOSTITUIRE GUALTIERI
DIETRO IL PRESSING RENZIANO CONTRO IL MINISTRO DELL’ECONOMIA INTERESSI MILIARDARI DEI GRUPPI ECONOMICI
L’ultimo a fare quadrato intorno al suo nome è il segretario del Pd Nicola Zingaretti: “Queste sono proprio cose che non vanno neanche ripetute perchè diventano una notizia”.
Le “cose” sono le voci, sempre più insistenti, che vogliono Roberto Gualtieri fuori dal ministero dell’Economia. Per volontà dei renziani.
Ettore Rosato, il presidente di Italia Viva, prova a spostare l’asse della questione e usa il metodo già adottato per Giuseppe Conte: “Nessun veto nei confronti di nessuno”, il tema è la “discontinuità nella linea politica rispetto al passato”.
Ma il recinto costruito intorno a Gualtieri (appena domenica dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi) e il toto-nomi del successore (in testa Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo della Bce) sono lì a dire che la questione c’è ed è caldissima.
Il Tesoro è custode di un bottino, anche politico, molto ambito. Dentro ci sono le nomine e il Recovery Fund.
Prescindendo dal ruolo strutturale che il ministero dell’Economia ha assunto con maggior vigore negli ultimi anni – tenere a freno ministri e partiti da impeti di spesa ingenti – la poltrona di via XX settembre è cruciale anche per la gestione della pandemia.
Un extra deficit di 108 miliardi nel 2020 e un nuovo scostamento di bilancio da 32 miliardi a gennaio di quest’anno hanno allargato a dismisura il perimetro dei soldi da iniettare nel Paese. Passano da queste risorse e dalle misure che le contengono passaggi cruciali della gestione economia e politica della crisi che è scoppiata con il virus.
Misure come la cassa integrazione, gli aiuti alle imprese, il potenziamento degli ospedali, ancora i soldi per la scuola e per i trasporti, hanno nel Tesoro un passaggio obbligato e determinante.
Se una fetta degli interventi del Governo è finita sotto il cappello della struttura commissariale guidata da Domenico Arcuri, un’altra altrettanto decisiva è in capo al Mef. Politicamente parlando. Perchè a livello economico non si muove soldo senza il via libera della Ragioneria generale dello Stato, il controllore dei conti.
La strategia economica anti Covid va ora aggiornata. Bisogna capire fino a quando allungare la cassa integrazione, come prorogare lo sblocco dei licenziamenti, più in generale settare la macchina degli aiuti.
E poi ci sono questioni che il virus ha portato alla luce e che hanno bisogno di risposte altrettanto pesanti: il destino del reddito di cittadinanza, quello di quota 100, la necessità di tirare su una riforma degli ammortizzatori sociali e delle pensioni. Un mix tra misure ancora emergenziali e interventi strutturali che mette il Mef al centro della partita.
Ma essere ministro dell’Economia oggi, con una pandemia che impone di pensare già al dopo, non è solo questo. Si apre qui un’altra finestra, che allarga ancora di più il perimetro delle competenze e delle responsabilità (quindi anche del peso politico): il Recovery plan.
È al Tesoro che sono arrivati i contenuti e i numeri dai diversi ministeri per tirare su il piano italiano da 209 miliardi (poi cresciuto a 222 miliardi con l’aggiunta dei soldi del Fondo per lo sviluppo e la coesione).
È qui che è stato fatto un lavoro di incastro e di aggiustamento che è risultato determinante per far corrispondere le sei missioni, con annessi contenuti, ai parametri europei. E qui, soprattutto, che si sono rifatti i conti quando Matteo Renzi ha di fatto aperto la crisi, proprio sul Recovery, lamentando carenze – anche di risorse – sulla sanità e su altri temi.
Fu Gualtieri, insieme al ministro per il Sud Giuseppe Provenzano e a quello per gli Affari europei Enzo Amendola, a tirare dentro i soldi del Fondo per il Mezzogiorno in modo da ampliare la torta delle risorse e dare spazio alle richieste dei renziani.
Come l’aumento della quota degli investimenti e il taglio di quella destinata ai bonus, ma anche più soldi per la sanità e per l’agricoltura.
Tra l’altro per blindare Gualtieri, Bonomi ha tirato in ballo proprio il ruolo determinante del ministro nell’aggiustare il tiro del Recovery, in questo caso in favore delle imprese (“Quel che portiamo a casa con il Recovery Fund è merito del ministro Gualtieri”).
E sempre al Tesoro è legato il passaggio successivo e altrettanto cruciale del Recovery: chi gestirà i soldi che arriveranno dall’Europa.
Il tema della governance – anch’esso tra le cause della crisi di Governo – è stato annacquato, meglio cancellato, proprio da Giuseppe Conte per provare a contenere le critiche di Renzi.
Ma l’ultima bozza del piano italiano, depurata dalla questione che ha generato discordia e veleni dentro all’esecutivo, ha solo rimandato il problema. E l’assetto iniziale faceva del Tesoro, insieme a palazzo Chigi e al ministero dello Sviluppo economico, uno dei perni del triumvirato a cui affidare la guida della macchina con i soldi.
L’altro grande bottino del Tesoro sono le nomine. Anche qui Renzi vuole toccare palla e il Mef, azionista di riferimento di molte società , è fondamentale nell’indicazione dei nuovi vertici. A iniziare da quelli della Cassa depositi e prestiti, che scadono in primavera, e quelli della Rai, che andranno rinnovati in estate. Tutte le nomine implicano trattative, accordi, tradimenti, compromessi.
Anche la prossima tornata da circa 500 nomine pubbliche tra posti nei consigli di amministrazione e collegi sindacali non farà eccezione. Non è la tornata della primavera dell’anno scorso, quando toccò alle poltrone più ambite: Eni, Enel, Leonardo e Poste. Ma non per questo, la nuova tranche sarà meno ambita. Il tema – tra l’altro – riguarda tutti, Conte come Renzi.
Nel risiko delle nomine contano palazzo Chigi, il Tesoro e gli equilibri di maggioranza. In questa operazione, Renzi ha potuto giocare in attacco perchè un giro di nomine importanti fu fatto proprio quando era premier. E la scorsa primavera, al netto del suo peso politico più ridotto, riuscì a incassare parecchio. Era il 20 aprile 2020
Scorrendo la lista di quella tornata, Renzi ottenne la conferma di Claudio Descalzi ad Eni, di Francesco Starace ad Enel e di Matteo Del Fante a Poste. E poi altri posti strategici dentro Leonardo e Terna.
Pochi mesi prima, a gennaio, il ritorno di Ernesto Maria Ruffini all’Agenzia delle Entrate. Lo scoppio della pandemia impose un effetto freezer su gran parte delle nomine, ma questo non riduce il ruolo giocato da Renzi nella partita.
Nei mesi a venire si apre un nuovo round. Come si diceva, Cdp e Rai su tutte le altre partite. Alla Cassa scade il mandato di Fabrizio Palermo.
Da settimane si rincorrono voci di un cambio per opera di Conte, che preferirebbe al suo posto Arcuri. Ma il commissario per l’emergenza Covid è impegnato su più fronti, la campagna vaccinale in primavera sarà in pieno fermento. Toto-nomi a parte, è la casella a essere ambitissima.
E il ministro dell’Economia dice eccome la sua dato che l′82,77% di Cdp è proprio del Tesoro. Tra l’altro guidare la Cassa significa guidare la Ferrari del Paese. Ha in mano le partite industriali più calde: Autostrade, Borsa Italiana, la rete unica, Nexi-Sia per i pagamenti digitali. Attraverso il Fondo Patrimonio Rilancio gestirà 44 miliardi di soldi pubblici destinate alle imprese.
L’altra partita clou è la Rai. E poi c’è una miriade di altre partite che impattano su temi altrettanto cruciali. Nel piano 2016-2020 di Anas ci sono 36 miliardi di investimenti: i vertici di questa società rappresentano posti cruciali nel determinare le politiche dei prossimi anni in materie di opere pubbliche stradali.
Altro aspetto, molto importante per i renziani: nella lista dei commissari per la realizzazione o lo sblocco delle opere c’è una sfilza di nomi targati Anas. Ancora le partite di Invimit (la società al 100% del Tesoro che si occupa delle operazoni sul patrimonio immobiliare pubblico), di Sogei, il big dell’informatica, le controllate di Eni tra cui la petrolifera Snam.
Il bottino del Tesoro cresce a dismisura.
(da “Huffingtonpost”)
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