REFERENDUM, LA GRANDE ASSENZA DEL M5S
NIENTE PIAZZE E NIENTE DIBATTITI IN TV, IN FONDO GLI VA BENE COSI’
C’è un buco vistoso nella campagna referendaria del No, un’assenza che pesa perchè non riguarda un partitino dello schieramento politico o un’associazione che rappresenta solo se stessa.
Il Movimento 5 Stelle è dato dai sondaggi testa a testa con il Partito democratico, vincente in un ipotetico ballottaggio con la legge elettorale Italicum, è considerato il punto di riferimento naturale di tutti gli oppositori del governo guidato da Matteo Renzi.
E dunque dovrebbe essere scontata la leadership grillina del fronte che vuole sconfiggere il premier il 4 dicembre. E invece no.
È come se questo scontro M5S non lo sentisse suo. Il Movimento lotta, si batte, ma senza troppo clamore.
Resta in un ruolo laterale, se non marginale. Sorprendente, per un soggetto politico ormai abituato in tre anni di vita a occupare il centro del ring.
Sul sito beppegrillo.it negli ultimi giorni l’unico voto che davvero ha occupato i pensieri dei capi del Movimento Beppe Grillo e Davide Casaleggio è stato quello per il regolamento e per il “non statuto” di M5S, per cui era previsto un quorum di votanti elevatissimo, il 75 per cento degli aventi diritto su 130mila iscritti.
E poi la proposta parlamentare per dimezzare l’indennità dei deputati, portata dai dal gruppo M5S nell’aula di Montecitorio e rispedita in commissione fino a data da destinarsi. Per assistere allo spettacolo, martedì 25 ottobre, si è scomodato Beppe Grillo, in tribuna sopra i seggi del Pd, meno di trenta minuti per assistere a schermaglie regolamentari, fischi, applausi e infine il rinvio scontato.
Il Comico lì, incuriosito, divertito, le mani giunte, composto, docile alle severe regole che imbrigliano gli invitati ad assistere alle sedute della Camera, se n’è andato in punta di piedi, senza nessuna concessione alla piazza, anche perchè la folla dei militanti convocata per l’occasione era ridotta a pochi intimi .
L’immagine di un Movimento non più extra-parlamentare, quasi istituzionale, con Grillo in tribuna e Luigi Di Maio a presiedere l’aula.
Anche in questo caso, il riferimento al No referendario è stato ridotto al minimo sindacale.
Più preoccupati i deputati del Pd, che temevano la trappola. Inseguire i grillini sulla strada dei tagli allo stipendio dei parlamentari? Oppure schierarsi contro, con il rischio però di indebolire l’argomento più forte con cui Renzi sta girando l’Italia per chiedere un voto favorevole al referendum: il taglio delle poltrone e la cancellazione dell’indennità per i futuri senatori-consiglieri regionali?
Tutto rinviato al dopo 4 dicembre. Fino a quella data l’agenda di Renzi e del Pd è piena.
Quella di Grillo e di M5S è vuota. Al momento non è in programma nessuna grande manifestazione di M5S a favore del No referendario, o almeno qualcosa di paragonabile allo Tsunami Tour di Grillo che nel 2013 cambiò il corso delle cose, trascinando il Movimento al risultato di otto milioni di voti alle elezioni politiche (da zero).
L’unica iniziativa resta finora il giro in moto coast-to-coast, tra spiagge, stabilimenti, bagnini e ombrelloni del deputato romano Alessandro Di Battista, modello Che Guevara: ma appartiene a una stagione finita, un’altra canzone, «un’estate fa».
Nella versione autunnale, il Movimento ha abbandonato le strade e i mercati, ha dovuto affrontare le spine del governo, lo psicrodramma di Roma con Virginia Raggi, l’addio di Federico Pizzarotti a Parma, il misto di ammirazione e sospetto che nel Movimento circonda la sindaca di Torino Chiara Appendino.
E rifiuta di farsi trascinare troppo nella battaglia referendaria. Anche nei match in tv sul referendum finora gli esponenti del Movimento spiccano per assenza.
Al punto che Renzi ha provato a sfidare Grillo al duello nel salotto di Bruno Vespa a “Porta a Porta”. Un invito speculare a quello arrivato dal fronte opposto, dal capo leghista Matteo Salvini, che ha provato a coinvolgere i grillini in una giornata del No, con tutti i leader in campo senza distinzione di partito o di schieramento. Nessuna risposta.
Nei prossimi giorni il silenzio finirà . E anche M5S si mobiliterà massicciamente per il No: nessun dubbio.
La prospettiva di far perdere Renzi vale l’impegno di qualche comizio e di qualche uscita televisiva. Ma l’assenza di questi mesi racconta qualcosa di significativo sull’identità attuale del Movimento. E sulla sua sotterranea ma visibile conversione alle tattiche e alle strategie di Palazzo, il calcolo delle convenienze di parte, l’odiato politichese.
Nella vittoria del No c’è qualcosa che conviene al M5S e qualcosa che non conviene. Conviene, naturalmente, la sconfitta di Renzi.
Le cancellerie europee temono il rovescio del premier e del Sì al referendum non tanto per il blocco del cammino delle riforme, con le attuali istituzioni l’Italia è rimasta nel club delle maggiori potenze per decenni, ma perchè la considerano l’anticamera di un possibile governo grillino. Dentro M5S, però, sono molto più prudenti.
Di Battista l’ha già detto in pubblico: se i Sì dovessero perdere, dovrebbe nascere un governo di scopo per fare una nuova legge elettorale che potrebbe contare sulla benevolenza del Movimento.
Di Maio, il vice-presidente della Camera, dato fino a pochi mesi fa come il sicuro candidato premier dei grillini alle prossime elezioni, è altrettanto circospetto. Nessuno, per ora, ha chiesto la fine anticipata della legislatura e nuove elezioni. Conviene non identificarsi totalmente con la campagna del No perchè in ogni discussione di merito l’elettorato e la base di M5S tendono a dividersi: così è stato sulle unioni civili o sull’immigrazione, così potrebbe essere anche sulla riforma della Costituzione, come dimostrano i sondaggi che danno una parte di elettori grillini tentati dal voto favorevole.
Non conviene partecipare alla campagna referendaria mescolandosi agli altri leader del No: Salvini, Renato Brunetta e Massimo D’Alema. Per fedeltà al dogma del Movimento, mai fare alleanze con altri partiti, e perchè non si partecipa a un fronte così trasversale e variegato se la vittoria non è poi così sicura.
Si sa, meglio vincere da soli che perdere insieme ad altri.
Conviene, infine, ma nessun grillino lo confermerà mai, tenere in vita la legge elettorale Italicum, piuttosto che assistere a una modifica che avrebbe l’obiettivo di rendere impossibile una vittoria elettorale di M5S, anzi, di consegnarlo all’irrilevanza parlamentare.
A differenza di Renzi, che è condannato a vincere pena la catastrofe politica, il Movimento ha due risultati a disposizione: vincere, ovviamente, ma anche arrivare secondo, egemonizzando però tutto ciò che sta all’opposizione del premier.
Il successo del Sì spingerebbe Renzi a blindare l’attuale sistema: legge elettorale a doppio turno, premio di seggi al partito che arriva primo, un largo numero di eletti per chi arriva secondo, le elezioni che si trasformano in un duello tra due listoni nazionali. In questo momento ne esistono solo due: il partito di Renzi e i Cinque Stelle.
Per questo, l’atteggiamento di M5S in questa campagna referendaria sembra ripercorrere quello tenuto da Renzi durante le elezioni amministrative. Il premier si fece vedere in campagna elettorale, a Roma e a Torino, per lo spazio di una serata: per non mettere la faccia su un risultato che prevedeva negativo per lui e per il suo partito, certo, ma soprattutto perchè riteneva di giocarsi la partita decisiva sul referendum.
Allo stesso modo i grillini si sono spesi allo stremo in primavera sulle elezioni amministrative e appaiono molto meno appassionati ora che si vota sulla riforma della Costituzione.
Il Movimento che dice no è riluttante ad assumersi la leadership del No, ancora vacante. Il Movimento che è nato nelle piazze e sulla Rete sposta le sue battaglie nelle aule parlamentari e attende il 4 dicembre con apparente noncuranza.
Il Movimento che disprezzava le alchimie della politica si muove con un occhio al No e uno al Sì, per tenere unito il suo elettorato e preparare lo scontro finale, alle elezioni politiche.
In altri tempi, si sarebbe definita posizione agnostica. M5S gioca di attesa. E il fronte del No, privato dell’onda d’urto grillina, teme di scoprirsi più debole.
Marco Damilano
(da “L’Espresso”)
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