RENZI SCUDO UMANO PER L’ENI
“GLI AVVISI DI GARANZIA DANNEGGIANO LE IMPRESE”, DICE IN AULA… L’ANM: “ILLECITO OMETTERE INDAGINI”
La prima impressione, che si spera l’interessato sia presto in grado di modificare, è che Matteo Renzi parli di cose che non sa.
Il suo attacco alla magistratura e alla stampa, accusate in solido di danneggiare le grandi imprese facendo il loro dovere, non trova fondamento nei fatti.
Durante il suo discorso di ieri, il presidente del Consiglio ha pronunciato sul caso Eni le parole che riportiamo dal resoconto stenografico della Camera: “In queste ore, un’azienda, che è la prima azienda italiana, che è la ventiduesima azienda al mondo, che ha migliaia e decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori, che stanno a dimostrare che un’azienda italiana può fare grandi risultati, è stata raggiunta da unoscoop, da un avviso di garanzia, da un’indagine. Io dico qui, in Parlamento, di fronte a voi, che noi aspettiamo le indagini e rispettiamo le sentenze, ma non consentiamo a nessuno scoop di mettere in difficoltà o in crisi decine di migliaia di posti di lavoro e non consentiamo che avvisi di garanzia, più o meno citofonati sui giornali, consentano di cambiare la politica aziendale in questo Paese! (Applausi dei deputati dei gruppi Partito democratico, Scelta Civica per l’Italia, Nuovo Centrodestra e Per l’Italia). Se per voi questa è una svolta, prendetevi la svolta, ma questo è un dato di fatto per rendere l’Italia un Paese civile! (Applausi dei deputati del gruppo Partito democratico)”.
Secca la replica di Rodolfo Sabelli, presidente del sindacato dei magistrati Anm: “Respingiamo fermamente l’idea che la magistratura intenda interferire nella politica economica di un’azienda. Così come l’idea di una sua responsabilità nell’eventuale strumentalizzazione di atti che sono imposti dalla legge”.
Il riferimento è all’inchiesta per corruzione internazionale che vede indagati l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni, per una storia di tangenti pagate, secondo l’ipotesi investigativa, per giacimenti petroliferi in Nigeria.
Renzi ha fatto sua una vulgata cara agli amanti degli affari opachi dai tempi dei suoi supremi teorici, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi: l’azione di magistrati giustizieri disturba l’ordinato dispiegarsi delle forze del mercato e azzoppa la nostra competitività internazionale.
Il sottinteso è che così fan tutti e solo noi italiani siamo così autolesionisti da non bloccare magistrati e giornalisti impiccioni.
Il giudizio è libero, ma i fatti dicono che è la solita panzana tornata di moda l’anno scorso dopo l’arresto del numero uno di Finmeccanica , Giuseppe Orsi, oggi sotto processo per corruzione internazionale, per la vendita di elicotteri (560 milioni) al governo indiano.
All’analisi di Renzi sfugge la realtà .
Il Paese che colpisce la corruzione internazionale con il maggior tasso di “giustizialismo” (lessico renzusconiano) è la Germania.
Al secondo posto vengono gli Stati Uniti.
Guarda un po’, i due maggiori esportatori mondiali: da loro i magistrati arrestano e gli affari prosperano.
Il premier avrebbe potuto leggerlo sul sito dell’Ocse, che nel 1997 ha promosso una convenzione internazionale, a cui hanno aderito tutti i paesi sviluppati, perfino la Russia, per colpire il vizietto di esportare a colpi di mazzette.
L’Italia, ratificando la convenzione, ha istituito l’articolo 332 bis del codice penale, che punisce appunto la corruzione internazionale.
Piuttosto che accusare i magistrati, Renzi potrebbe abrogarlo con decreto legge, vista l’urgenza di difendere le imprese. E potrebbe far cancellare dal sito del ministero della Giustizia un’indicazione che potrebbe infiammare qualche magistrato testa calda: “La circostanza che tali prassi siano ricorrenti nel Paese del funzionario non fa venire meno il reato”.
L’Ocse controlla l’applicazione della Convenzione.
Dal 1999 al 2012 ha registrato 88 condanne per manager e faccendieri in Germania, 62 negli Stati Uniti, 16 in Corea, 8 in Italia, 5 in Gran Bretagna.
Ci sono sicuramente Paesi più furbi di noi, come la Gran Bretagna.
Nel 2006 il premier Tony Blair, modello di Renzi, ordinò da Downing Street di fermare l’inchiesta sull’azienda aerospaziale Bae Systems, accusata di tangenti in Arabia Saudita.
Il governo arabo aveva infatti minacciato di annullare l’acquisto di 73 caccia Eurofighter, e Blair, travolto dalle polemiche, rivendicò la mossa: “Si sono salvati migliaia di posti di lavoro”. Però si prese le male parole del segretario generale dell’Ocse, M. Angel Gurria, che ammise: “La lotta alla corruzione è nelle mani dei governi”.
In coerenza con la tonitruante dichiarazione di ieri (“Non consentiamo…”), Renzi potrebbe inserire, tra le sue richieste di flessibilità all’Europa, l’uscita dalla Convenzione Ocse: chiudere un occhio sulla corruzione come motore della ripresa economica.
Purtroppo, checchè ne dicano i profeti della “mazzetta così fan tutti”, il bon ton internazionale la considererebbe una cafonata.
Esattamente come il discorso di ieri alla Camera.
Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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