RIFORMA DEL LAVORO E ART. 18: COSA CAMBIA
INDENNITA’ DAI 15 AI 27 MESI SUI LICENZIAMENTI DISCIPLINARI… REINTEGRO POSSIBILE PER I CASI RITENUTI DISCRIMINATORI
Modello tedesco per l’articolo 18. Alla fine il governo è andato per la sua strada sul nodo più caldo della trattativa e le conseguenze sono ancora tutte da scoprire.
Il presidente del Consiglio, Mario Monti, ieri sera è stato perentorio: «Per il governo la questione sull’articolo 18 è chiusa».
Lo schema scelto sui licenziamenti innova per quanto riguarda quelli disciplinari ed economici, lascia invariata la disciplina dei discriminatori.
Le novità riguardano tutti i lavoratori, anche quelli attualmente assunti, con decorso dal momento in cui entrerà in vigore la legge.
Riepilogando, sui licenziamenti ci saranno tre fattispecie diverse.
La prima è quella dei licenziamenti per motivi discriminatori: in qualsiasi tipo di azienda, sotto o sopra i 15 dipendenti, i licenziamenti determinati da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall’appartenenza a un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali già oggi è nullo, indipendentemente dalla motivazione.
In ogni caso c’è il reintegro del lavoratore sul posto di lavoro.
Questa fattispecie non è stata modificata.
Oggi poi, un lavoratore può essere licenziato anche per motivi disciplinari o economici. In questi casi alle imprese che occupano alle proprie dipendenze più di 15 lavoratori si applica l’articolo 18 della legge 300/1970, meglio nota come Statuto dei Lavoratori, marginalmente modificata dalla legge 108 /1990, che assicura la tutela della stabilità del posto di lavoro
Il giudice allorquando ritenga che il licenziamento non è assistito da giusta causa o giustificato motivo, deve ordinare la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro senza la possibilità di un’alternativa di tipo risarcitorio ovvero senza alcuna possibilità di monetizzare la stabilità del rapporto.
Non solo.
Oltre alla reintegrazione, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, pari alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino alla effettiva reintegrazione (e comunque non inferiore a 5 mensilità di retribuzione).
In sostanza il datore di lavoro potrebbe non reintegrare effettivamente il lavoratore ingiustamente licenziato nel posto di lavoro, ma dovrebbe continuare a pagargli ininterrottamente un’indennità pari alle retribuzioni correnti.
Solo il lavoratore può liberare il datore di lavoro dalla prosecuzione di tale obbligo risarcitorio chiedendo (in base alla legge 108 /1990) un’indennità pari a 15 mensilità .
La sentenza di reintegrazione comporta anche l’obbligo di pagare le contribuzioni previdenziali e assistenziali sulla retribuzione globale dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione.
Se il lavoratore, invece, non riprende servizio entro 30 giorni dall’invito del datore di lavoro, o entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, non richiede il pagamento dell’indennità sostitutiva del reintegro, il rapporto si intende risolto alla scadenza dei termini sopra indicati e i contributi sono dovuti fino a quella data.
Fin qui i licenziamenti individuali.
E’ noto che le imprese che occupano più di 15 lavoratori possono anche licenziare per riduzione o trasformazione di attività .
Se il provvedimento riguarda da 5 lavoratori in su, si applica un’altra normativa, quella dei licenziamenti collettivi «per riduzione di personale», regolata dalla legge 223/1991, che dalla riforma non viene toccata.
Tornando ai licenziamenti individuali, la novità introdotta dal governo Monti prevede che, in caso di licenziamenti disciplinari, per il lavoratore che vada dal giudice, il reintegro è previsto solo se il motivo è inesistente perchè il fatto non è stato commesso o se il motivo non è riconducibile al novero delle ipotesi punibili ai sensi dei contratti collettivi nazionali.
In tutti gli altri casi di inesistenza dei motivi addotti dal datore di lavoro, il giudice dispone soltanto un indennizzo da 15 a 27 mensilità e mai il reintegro.
L’altra novità riguarda i licenziamenti per motivi economici.
Una volta finiti in tribunale, il giudice non potrà vagliare le motivazioni economiche alla base del provvedimento e non avrà la possibilità di reintegrare il lavoratore ma potrà soltanto stabilire un indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità .
Il ministro del Lavoro, Elsa Fornero ha poi spiegato che ci saranno anche altre novità per «accorciare la durata del processo», la cui attuale, eccessiva lunghezza viene considerata penalizzante dalle aziende.
Antonella Baccaro
(da “la Stampa“)
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