RIMINI, SOLO STAND DEL PARTITO AZIENDA, ADDIO BATTAGLIE PER L’ACQUA PUBBLICA, CONTRO IL RISCALDAMENTO GLOBALE E I NO TAV
QUELLO CHE ORMAI CONTA E’ SOLO IL POTERE, COME A SINISTRA E A DESTRA… E CI SONO PERSINO I BODYGUARD INTORNO A DI MAIO: “AOH, MA CHE SE CREDE D’ESSE, BRUCE SPRINGSTEEN?”
Anche il fumo delle salsicce arrosto, appeni entri a destra, è meno biologico di prima. Più normale. Come il profumo, o semplicemente, la voglia di governo.
“Ci siamo” è la scritta sulle magliette più vendute. “Ci siamo” è lo slogan dietro l’imponente palco.
In questa kermesse dell’incoronazione di Luigi Di Maio, nulla è più come prima, incasinato e con la fantasia dell’opposizione.
“Questi ragazzi studiano, siamo pronti. Ora o mai più” dice la ragazza del sud. Annuisce Marcello, di Cecina: “Io votavo Pannella perchè avevo fiutato già trent’anni fa l’inciucio Coop bianche-Coop rosse. Ora i Cinque stelle sono l’unica strada”. “Governo”, “dobbiamo andare al governo”: la spianata del grande raduno è piena di gente, cinquemila già sotto la canicola di Mezzogiorno, ansiosi per l’appuntamento con la storia, del tutto indifferenti rispetto alle beghe interne:
“Ma dai — dice Diego da Torino — sono tutte cose costruite ad arte anche da alcuni giornali per seminare zizzania. Ma la via è segnata”.
I big, fino al tardo pomeriggio, restano in albergo, un pauperistico tre stelle, circondato da una selva di suv e di bodyguard che allontanano i fotografi: “Aho, ma ‘sto Di Maio me pare Bruce Springsteen”, dice il disincantato fotografo romano, dopo ore sotto il sole per uno scatto.
Il predestinato gioca con l’attesa, ma non è il solo, in questa vicenda in cui l’alternativa è un po’ nella coreografia, ma la sostanza è la politica normale.
Roberto Fico, novello Amleto senza tanto pathos, quello del “mi candido o non mi candido”, poi “parlo o non parlo”: alle ore 17,30, quando arriva, il dilemma non è ancora sciolto in questo caso di dissenso taciturno, valorizzato da titoli a nove colonne come neanche Pietro Ingrao all’undicesimo congresso.
Il motivo lo spiega Nicola Morra, altro “ortodosso”, ai microfoni di Rainews: “C’è un tentativo di mediazione in corso. Vedremo come andrà , altrimenti ognuno tirerà le sue conseguenze”. Nel backstage il vicepresidente della Vigilanza Rai è stato visto parlare fitto fitto con Casaleggio.
A colpo d’occhio nella distesa a due passi dalla Fiera d Rimini, l’azienda domina il partito, o meglio un movimento che somiglia poco a se stesso.
L’azienda è Rousseau, presente ovunque. E si vede.
“Info point Rousseau”, “Villaggio Rousseau”, “Merchandising Rousseau”. Gli stand del partito azienda hanno preso il posto dei rumorosi stand di una volta: quelli contro il riscaldamento globale, per l’acqua pubblica, e no-tav.
Per vedere una bandiera contro l’alta velocità occorre andare nello spazio degli amministratori piemontesi. Poca roba.
La tensione e la sostanza politica di questa investitura annunciata si consumano dietro le quinte, lontano dall’odore delle salsicce arrosto, un po’ sagra, un po’ festa dell’Unità di una volta. Popolo, insomma. E riguarda, in definitiva, le “poltrone”.
Perchè l’investitura di Di Maio a capo-politico, amministratore delegato di una azienda “normale”, significa liste elettorali. Potere sui posti e sui seggi. I più attenti hanno già notato come in parecchi si siano riallineati, in modo prudente, da Paola Taverna a Roberta Lombardi, possibile candidata alla regione Lazio.
Eccola questa kermesse.
Lo sforzo di sembrare quelli di sempre, non essendolo più, nell’attesa di quel che sarà (e nel sogno del governo) e nella consapevolezza di ciò che è stato e di ciò che è. Nell’opuscolo distribuito sui risultati delle varie amministrazioni a Cinque Stelle, vengono lodati i risultati sui rifiuti e sulla raccolta differenziata su Bagheria, evidentemente stampato prima che il sindaco fosse costretto all’obbligo di firma, proprio su un’inchiesta, ironia della sorte, che riguarda gli appalti sui rifiuti.
Alle 17,30 arriva Virginia Raggi. Un anno fa attraversò gli stand a ritmo di danza, con la musica a tutto volume.
Un ballo forse inconsapevole, ma anche sfacciato, sicuro. Dodici mesi e dodici assessori dopo, a Rimini il codazzo non c’è più, e con esso la sicurezza, la sfacciataggine.
Ma anche la creatività , le idee, la politica che si riduce all’attesa di un vincitore annunciato.
(da “Huffingtonpost”)
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