ROMA ALLO SBANDO TRA CHIUSURE ESTIVE, SICCITA’, INCENDI, TRASPORTI INADEGUATI E AZIENDE IN CRISI
CITTADINI DIVISI TRA INDIGNAZIONE E RASSEGNAZIONE
Nel giorno in cui tutto sembra congiurare a favore della chiusura dei rubinetti, lo sgomento e l’indignazione dei cittadini romani di fronte all’annuncio di un’altra chiusura estiva (quella di metà linea della metro A) è stato di per sè una notizia.
Una reazione che forse i vertici dell’Atac non avevano preventivato, affidando l’informazione a un tweet inviato alla chetichella e con poco anticipo, probabilmente confidando in un’assuefazione ai disservizi ormai incapace di generare sussulti di civismo.
E invece, proprio mentre il Dg Rota certificava lo stato comatoso della municipalizzata e l’inadempienza contrattuale di un numero non trascurabile di dipendenti, l’azienda comunale è riuscita a suscitare una reazione, mentre tentava forse con destrezza di spostare ancora più avanti l’asticella della tolleranza degli utenti, già sfiancati da mesi di interruzioni di servizi per mancanza di vetture, di suicidi assistiti per autocombustione dei veicoli più vecchi e, soprattutto, da una miriade di scioperi proclamati spesso da sigle dotate di rappresentanza pari a una famiglia allargata.
Perchè, entrando nel merito della questione, le cose che non quadrano in questa maxi-sospensione estiva del servizio sono più di una, e convergono tutte nella misteriosa entità dei lavori di innesto della nuova linea C nella A, all’altezza di San Giovanni.
Chi ha potuto sbirciare la stazione (aperta fugacemente per due giorni la scorsa primavera con tanto di fiera incursione della sindaca Raggi) non riesce a capacitarsi di quali possano essere lavori che tengono fermi per 35 giorni un tratto pari a dieci stazioni, soprattutto se si tiene contro del fatto che il servizio della linea C è già da tre mesi limitato alle 20.30 (e lo sarà fino addirittura a fine ottobre) proprio per “lavori in vista dell’apertura del prolungamento e dell’intercambio a San Giovanni”.
Tre mesi, che diventeranno sei, e si sovrapporranno al mese di stop totale decretato ieri per la A. Tempi e modi che non hanno riscontro in paesi con reti di metropolitana molto più complesse di quella romana.
La voce di popolo, che spesso è lo stadio ancestrale delle fake news, nel caso in cui attribuisce le sospensioni di servizi alle ferie di massa dei lavoratori comunali, induce a una riflessione seria.
Ogni estate si procede da anni alla sospensione di questo o quel servizio, con motivazioni ogni volta straordinarie ma ricorrenti: basta andare a visitare lo sciatto sito web dell’Atac e andare a ritroso, per quanto possibile nel tempo, constatando che la straordinarietà degli interventi che ha fatto cessare il servizio di metro, tram e bus periferici si è sempre concentrata nel mese di agosto, a scapito di altre categorie di lavoratori, in questo caso evidentemente stakanovisti.
Così come, negli ultimi anni, l’emergenza rifiuti, che pure affonda le radici nel malfunzionamento di tutto il ciclo di smaltimento, ha superato il livello di guardia in corrispondenza dei principali ponti e delle festività pasquali e natalizie, e qualche volta anche in estate, a dispetto del minor consumo dei cittadini.
La vicenda dei vigili urbani che hanno marcato visita in massa nel Capodanno del 2015, in questo senso, è fortemente simbolica.
Ed è il paradosso di una città nella top five del turismo mondiale che nei periodi di maggior afflusso di ospiti invia un segnale di chiusura, esatto opposto di ciò che razionalmente ci si attenderebbe.
Si mandano in black-out servizi già di base scarsi e inefficienti o si mettono in atto misure di prevenzione ingiustificate dai fatti come la draconiana ordinanza anti-alcool estesa a tutto il territorio urbano, contro la quale gli esercenti hanno fatto ricorso al Tar.
Ma soprattutto, la via crucis cui è sottoposta una cittadinanza che ha ormai messo a punto tecniche di sopravvivenza materiale e nervosa, come testimonia l’approccio alla questione del razionamento dell’acqua, che nessun romano in cuor suo ha ancora seriamente considerato un’eventualità concreta (forse vedendo fiumi d’acqua sgorgare dalle tubature colabrodo) preferendo pensare a un’escalation puramente polemica. Quello che una volta, se non si rischiasse di toccare un altro tasto dolentissimo in questa nefasta estate romana, si sarebbe chiamato fuoco di paglia.
(da “Huffingtonpost”)
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