ROMA, BUCO DA 350 MILIONI, ILLEGITTIMO IL SALARIO ACCESSORIO VERSATO DA ALEMANNO AI DIPENDENTI
UN NUOVO COLPO PER LA CAPITALE: PER IL TESORO IL COMUNE DEVE RIENTRARE DI QUELLA CIFRA
Dopo le parole, i fatti. Non fossero bastate le frasi di Matteo Renzi («Marino si guardi allo specchio, oltre che onesti bisogna essere capaci»), dal governo piovono sul Campidoglio due tegole.
La prima dal Mef, ministero Economia e finanze, la seconda dal Consiglio dei ministri.
Secondo la Ragioneria generale, infatti, il salario accessorio pagato dal Comune di Roma ai suoi dipendenti (circa 24 mila) era illegittimo e le controdeduzioni fornite dagli uffici di Palazzo Senatorio «non sono idonee a giustificare l’esistenza del fondo» per quella voce della retribuzione.
Morale della favola, visto che tutto il carteggio tra Mef e Comune viene sempre girato alla Corte dei conti, i magistrati contabili potrebbero chiedere al Campidoglio di «rientrare» di quella cifra erogata tra il 2008 e 2013 (giunta Alemanno), che si aggira intorno ai 350 milioni di euro, senza però poter entrare nelle tasche dei dipendenti, salvaguardati da una recente sentenza.
Per le casse del Comune, già «stressate» dal piano di rientro imposto da Palazzo Chigi dopo il decreto salva Roma e dalla pulizia contabile operata sui crediti inesigibili (altra partita da circa 850 milioni), sarebbe l’ennesimo «buco» da coprire.
Una missione impossibile per Silvia Scozzese, assessora al Bilancio, cooptata dall’Anci nella primavera del 2014 proprio per garantire il Piano di rientro.
La «signora dei conti», ora, è nel mirino dei suoi colleghi di giunta, in particolare – si dice – della «fedelissima» del sindaco Alessandra Cattoi.
È, anche questo, un termometro dei rapporti col governo.
Perchè la vicenda del Mef viene da lontano (Marino, appena insediato, chiamò gli ispettori che fecero il loro rapporto, il Comune ha controdedotto e il ministero prima ha chiesto nuovi chiarimenti senza ottenere risposta, poi è andato avanti) ma il fatto che emerga adesso, dopo le frasi di Renzi, magari non è casuale.
In Campidoglio l’hanno presa male: «La linea del ministero è troppo intransigente», dice il vicesindaco Luigi Nieri.
Nello staff di Marino aggiungono: «Siamo gli unici ad aver riformato il salario accessorio e dovremmo essere gli unici a pagare? Se la Corte dei conti ci chiede i soldi, ci opporremo».
E ancora: «Uno degli ispettori del Mef è lo stesso che, da commissario di Venezia, non è riuscito a toglierlo».
Marino capisce che intorno a sè l’aria è cambiata. E, al di là delle parole di sfida a Renzi («Resto fino al 2023, non ho cambiato idea: un chirurgo va giudicato quando il malato esce dalla sala operatoria, va a casa e riabbraccia la famiglia») comincia a preoccuparsi.
Il sindaco, ieri, è uscito dal bunker a Palazzo Senatorio per incontrare (al riparo da sguardi indiscreti) il commissario del Pd romano Matteo Orfini, l’unica sponda che gli è rimasta.
Ma la seconda tegola gli arriva dal Consiglio dei ministri, che non si terrà più oggi ma all’inizio della settimana prossima.
Lì dovrebbe essere definito il ruolo del prefetto Franco Gabrielli, al quale Palazzo Chigi (al di là delle sfumature lessicali tra «coordinatore» o «commissario») dovrebbe affidare gran parte dei poteri sul Giubileo.
Ma è probabile che dei soldi promessi (500 milioni) ancora non ci sia traccia.
Perchè, filtra da ambienti governativi, dopo Mafia Capitale 2 ci si vuole vedere chiaro prima di stanziare fondi.
Nei confronti di Marino, prende le distanze persino l’amico Graziano Delrio, ministro dei Trasporti: «Non gli sto dicendo di stare tranquillo, valuti da solo il da farsi. Ascolti i romani e verifichi cosa pensano».
E Rosy Bindi torna all’attacco: «Fossi in lui mi interrogherei sulle dimissioni».
Ernesto Menicucci
(da “il Corriere della Sera”)
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