SALVINI, L’EX COMUNISTA PADANO ALL’ATTACCO DELLE “ZECCHE ROSSE”
LA SUA CAPACITA’ DI PRODURRE CAZZATE, UNITA AL TALENTO DI NON AVERE MAI TALENTO
Ah, Salvini. Parlandone da (politicamente) vivo, se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. La sua capacità di produrre bischerate, unita a quel suo squisito talento nel non avere mai talento (e men che meno ragione), commuovono davvero. Da sempre allergico a qualsivoglia forma di coerenza, il fu cazzaro verde si impone ossessivamente di sparare ogni giorno belinate monumentali. E in questo, va detto, è abile come pochi.
L’ultima (per ora) derapata riguarda un video in cui se l’è presa con le “zecche rosse” dei centri sociali, e già qui – anche solo a livello meramente semantico – si sogna come se non ci fosse un domani: “zecca rossa” è infatti uno dei tre o quattro cavalli (morti) di battaglia degli hater fascioleghisti più neuronalmente vuoti (a differenza di Salvini, come noto intellettualmente prossimo a Kierkegaard).
Bella come sempre anche la location: nel video pubblicato in quel che resta dei suoi profili social, spoglie mortali dei fasti della “Bestia” virtuale che fu, Salvini è immortalato mentre deambula plasticamente (?) in un immaginifico contesto, tra chiese antiche e cactus messi a casaccio sopra un pozzo. Golf blu e viso un po’ stropicciato/gonfio, a parlarci – non lo dimenticate – è il cosiddetto vicepresidente del Consiglio e ancor più cosiddetto ministro delle Infrastrutture e Trasporti (mai messi mali come adesso: dove passa Salvini non cresce più neanche una rotaia).
Il Dux della Lega, in quel video già leggendario, gesticola a caso e ancor più a caso commenta i fatti di Bologna. Le sue parole si rivelano lucide come Bukowski alle cinque del mattino e profonde come una pozzanghera minore del Vingone.
Ascoltiamolo: “Zecche rosse, comunisti, delinquenti, criminali da centro sociale”. Si vola. “Non lo so, definiteli come volete voi, però quello che abbiamo visto ieri a Bologna e a Milano è qualcosa di indegno, di vergognoso che non si deve più ripetere”. Poi: “La caccia al poliziotto dei delinquenti rossi a Bologna o la caccia all’ebreo dei delinquenti rossi a Milano sono scene vergognose per il 2024”. Quindi: “Chiudere i centri sociali occupati abusivamente dai comunisti che sono ritrovi di criminali. Questo dobbiamo fare, perché un conto è manifestare, altro conto è prendere a sassate i poliziotti o dar la caccia all’ebreo”.
Ora: di fronte a simili vette del pensiero, così pregne di spunti filosofici e per nulla appesantite da preconcetti beceri, è per noi miseri plebei impossibile anche solo tentare un’analisi del testo. Con Salvini si può solo sognare. Sognare e ricordare. E se non ci resta nulla se non rimembrare, la memoria torna subito ai tempi in cui il fiero scudisciatore dei centri sociali era – lui stesso – un garrulo frequentatore fricchettone del Leoncavallo. Di più: Salvini era il leader dei “comunisti padani”, così convinto di quella posizione iper-alternativa da andare a inizio carriera ospite di Santoro, in veste di orgoglioso giovin leghista ecoattivista e antisistema. Si nasce incendiari e si muore pompieri, ma si nasce pure comunisti padani e si invecchia ruota di scorta della Meloni. Se Salvini non fosse quel che è, e se non arrecasse danni ogni dì alle nostre vite, verrebbe quasi il ghiribizzo – la perversione – di provare pietà per la triste fine che gli è toccata. Oscurato da Donna Giorgia e financo da Vannacci. Peggior ministro dei Trasporti degli ultimi sei millenni. Privo di qualsivoglia coerenza e credibilità. Politicamente postumo di se stesso. Ieri comunista padano e oggi quasi (quasi?) più a destra della Le Pen. Ancora intento a parlar di zecche rosse, come una miserrima marionetta qualsiasi di Forza Nuova. Che disastro totale. Salvini sta alla politica come Fabris ai compagni di scuola: “Guardate com’eri, guardete come sei… Me pari tu zio!”. O se preferite: “Tu c’hai avuto un crollo dall’ottavo grado della scala Mercalli”. Daje Matte’!
(da Il Fatto Quotidiano)
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