SCISSIONE DEM, IL CATINO ROSSO DI TESTACCIO E’ GIA’ UN ALTRO MONDO RISPETTO AL PD
AL NETTO DEI RITUALI DI ATTRIBUIRE ALL’ALTRO LA ROTTURA, ORMAI LA DISTANZA CON RENZI E’ ANTROPOLOGICA… DOMANI LA PRESENTAZIONE DEL DOCUMENTO: “LO BOCCERANNO E USCIAMO”
C’è vita sul pianeta sinistra. Le immagini di Guerre stellari, dietro il palco, mostrano un’astronave e Yoda, simbolo della saggezza di un mondo lontano: “Devi sentire la forza intorno a te”.
Sul palco Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità e presentatore della kermesse, spiega: “Quell’astronave è la sinistra, dobbiamo tirarla fuori”.
Poco prima, sulle note di Bandiera rossa, versione riadattata (“evviva il socialismo e la libertà ”) aveva così salutato i presenti: “Spero che questo canto vi aiuti a togliere le rughe dal cuore”.
Teatro Vittoria a Testaccio, core di Roma: la scissione, nella sua sostanza politica, è irreversibile, prima che si consumino gli ultimi rituali.
L’ultimo prevede la presentazione di un documento all’assemblea di domenica, in cui saranno messi nero su bianco i punti della “svolta”, stra-ripetuti in questi giorni, rifiutata la quale “l’inizio di una nuova storia” è inevitabile: 1) l’impegno a far durare il governo fino al 2018; 2) l’impegno del governo a una inversione di rotta su scuola e lavoro 3) congresso a scadenza naturale, ovvero ottobre.
In serata sarà messo a punto da Speranza, Rossi e Emiliano. E sarà chiesto di metterlo ai voti all’assemblea di domani: “Lo bocceranno e a quel punto usciamo” spiegano fonti informate.
Al netto del rituale, conta il cuore, che è già oltre l’ostacolo. E oltre il Pd.
Il Vittoria è un catino, nient’affatto nostalgico, molto di sinistra.
Enrico Rossi parla di “inquietudine verso il presente”, di “riforma del capitalismo”, di “sfruttamento del lavoro”, “Abbiamo accettato troppo supinamente il mondo così com’è”: “Se hai troppa vicinanza coi potenti, se esalti Marchionne, non meravigliarti se i precari ti sentono distante”.
Fortiter in re, suaviter in modo, toni moderati, sostanza tosta, come insegnavano i partiti di una volta, senza effetti speciali, e senza personalizzazione.
Certo toni di sinistra, che dentro il Pd non si sentono da tempo: “Abbiamo bisogno di un partito partigiano che in modo netto sta dalla parte dei lavoratori e del lavoro. Troppa contiguità coi potenti rende difficile parlare coi lavoratori”.
In prima fila ci sono Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema, al suo fianco Francesco Boccia. Due file dietro Antonio Misiani e Elisa Simoni, due giovani turchi di Andrea Orlando mandati come osservatori.
Presenza che significa anche volontà di dialogo, perchè col proporzionale e due partiti è chiaro che il guardasigilli avrà un ruolo naturale di interlocutore del Pd verso la sinistra. C’è un passaggio in cui viene giù la sala.
Ed è quando Michele Emiliano, nomina Pier Luigi Bersani: “Di fronte a una situazione molto meno grave di quella in cui si trova oggi Matteo Renzi, Pier Luigi Bersani si è dimesso e ha consentito al partito di superare le difficoltà . Se quel partito è sopravvissuto ed ha dato la possibilità a Renzi di diventare presidente del consiglio è perchè il suo segretario è stato capace di vincere il personalismo e di vivere la politica come comunità . Come comunità !”.
Applausi, lunghi lunghissimi. L’ex segretario si alza un po’ dalla sedia e fa un cenno a ringraziare la sala. Comunità , appunto.
Ci sono le bandiere del Pd in sala. Dirigenti, militanti, assediati da microfoni per i “pezzi di clima” raccontano che vorrebbero stare nel Pd, ma il Pd è diventato un’altra cosa.
Non è odio verso Renzi, è distanza quasi antropologica.
“Non è una scelta che facciamo a cuor leggero”, “sono momenti che fanno tremare le vene ai polsi” ripetono.
Una signora di Testaccio, una vita nel Pci: “Io domani Renzi lo aspetto fuori all’assemblea. E gli vado a dire che Bersani lo deve trattare bene perchè noi gli vogliamo bene ci vuole rispetto”.
È quello che Roberto Speranza, nel suo intervento, il più “politico” dei tre chiama il “nostro mondo”, o meglio una parte, nell’ambito di quella che chiama scissione tra un pezzo del popolo del centrosinistra e Pd.
Fa effetto sentire Speranza, che scandisce le parole come accade negli interventi solenni, parlare dell’esperienza del Pd al passato. Parla di “sinistra muta”, “incapace di leggere il nostro tempo”, di un “gruppo dirigente subalterno” che non vede che la rottura sentimentale con un popolo c’è già stata: “Se il congresso si riduce a un plebiscito-rivincita per il capo arrabbiato perchè ha perso il plebiscito vero, allora un nuovo inizio sarà scontato”.
La foto dei tre, sul palco, sancisce un punto di non ritorno.
Un fatto politico, al netto delle differenze di sfumature e di approcci, con Emiliano che appare più trattativista e gli altri meno.
In verità proprio i toni non ultimativi di tutti, assai poco ringhiosi, indicano che la rottura, nella sostanza, appare irreversibile.
Non c’è trattativa, ma, come si dice in questi casi, bisogna far ricadere la responsabilità sull’altro. “Non costringete questa comunità ad uscire” urla Emiliano dal palco, “Non rinuncio al sogno per l’arroganza di uno”.
Intanto già piovono tweet dei fedelissimi dell’ex premier che parlano di “insulti e intolleranza” nella manifestazione di Testaccio.
Ormai, due pianeti.
(da “Huffingtonpost”)
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