SE CONTE SI DIMETTE, RESPONSABILI E FORZA ITALIA PRONTI A ENTRARE IN GIOCO
FORZA ITALIA RISCHIA DI SPACCARSI, BERLUSCONI CERCA DI EVITARE LA FUGA E MEDIA… OBIETTIVO DI CONTE: ARRIVARE A 161 AL SENATO, COSI’ RENZI NON SARA’ PIU’ DETERMINANTE
“Oggi sono più ottimista. Le cose prendono corpo, la situazione si sta sbloccando. La strada per un’ampia maggioranza che arrivi fino al 2023 si può imboccare”.
Il sottosegretario Ricardo Merlo è uno dei traghettatori di “responsabili” in Senato grazie al nuovo gruppo esplicitamente contiano “Maie-Italia 23”.
Sa bene che c’è un pezzo di Parlamento pronto a dare il “soccorso centrista” al premier, ma a condizioni date.
Da giorni Paola Binetti, professoressa e anima più governista del trio Udc, lancia messaggi in bottiglia: “Conte si deve dimettere, deve nascere un governo nuovo con un’operazione politica. Sostenerlo? Sì, ma il premier ci dia dignità ”.
E’ quest’ultima la parola magica. Significa che, in linea con i desiderata del Quirinale e poi a scendere, la “discontinuità ” deve essere incarnata da una quarta gamba della coalizione visibile, ben delineata e non da “un’accozzaglia di voti raccogliticci” come spiega un pontiere.
Palazzo Chigi tra ieri e oggi sta cercando di stringere le maglie della rete in cui potrebbero finire due Udc (con Binetti, Saccone, mentre De Poli resiste al corteggiamento), un paio di senatori di Forza Italia (che smentiscono), e i tre “totiani”, anch’essi però molto alla finestra in attesa di vedere composizione dell’eventuale squadra, tasso di discontinuità , varie ed eventuali.
Paolo Romani e Gaetano Quagliariello si dicono pronti a un esecutivo di salvezza nazionale, ma scettici sul potenziale innovatore e riformatore di un Conte Ter. Si intravvede, dunque, con Sandra Lonardo e i due azzurri già acquisiti (Mariarosaria Rossi e Andrea Causin), una pattuglia che potrebbe scavallare votazioni urgenti o fiducie, ma non in grado di garantire una navigazione tranquilla per oltre due anni di legislatura.
E, soprattutto, che non si manifesterà prima del voto di questa settimana sulla giustizia: gli ultimi calcoli fissavano a 146-148 i Sì della maggioranza (che sulla fiducia a Conte si erano attestati a 156, comunque sotto la maggioranza assoluta di 161), con l’obiettivo psicologico di “quota 150” ma con il rischio sulla carta di finire sotto per colpa della saldatura di centrodestra e “garantisti” contro il Guardasigilli, Alfonso Bonafede. Prospettiva che tanti disinnescano chiamando in causa l’incrocio di assenze e astensioni, ma che terrorizza l’esecutivo.
Ecco perchè a Conte è arrivato forte e chiaro il segnale di Pierferdinando Casini, colomba governista: dimettersi e riaprire il canale con Matteo Renzi non è una scelta, è l’unica via per restare in sella. Trattare con Italia Viva, accogliere i segnali di “disponibilità ” che da Ettore Rosato a Teresa Bellanova si susseguono.
Un cedimento che Conte ancora non digerisce, e che i pontieri più avveduti come Bruno Tabacci cercano di portare avanti da una posizione di forza. A Palazzo Madama i reclutatori si muovono lungo due direttrici: “Bisogna portare la maggioranza del Conte Ter a 161 senza i renziani. In modo che quando si aggiungeranno, una parte o tutti, non saranno comunque determinanti”. Al “Conte dimezzato”, pronunciato da Renzi, il premier vuole rispondere — alla peggio – azzoppando il potere negoziale dell’avversario. Le quarantott’ore si consumano e la guerra di nervi continua.
Le dimissioni di Conte sono il nastro di partenza, ma il traguardo è tutt’altro che unitario. “Il premier si dimetta e apra una fase nuova” ha ribadito la capogruppo a Montecitorio Mariastella Gelmini. Quale però? Lo scenario del Conte Ter con innesti centristi e rientri renziani o il sospirato governissimo con tutte le forze responsabili dentro?
Dall’inizio della crisi Forza Italia è il partito più bersagliato da sospetti, illazioni e tentazioni. Le voci di uno smottamento dei gruppi azzurri sono ormai un sottofondo della trattative sui “responsabili”.
Al punto che per chiudere ogni spiraglio di “soccorso azzurro” a eventuali Conte Ter oggi è intervenuto direttamente Silvio Berlusconi (irritato per le telefonate arrivate a diversi singoli parlamentari). Anche per “scagionare” Gianni Letta, capo delle colombe insieme a Renato Brunetta: “Nè io nè miei collaboratori o parlamentari abbiamo in corso trattative di qualsiasi tipo per sostenere il governo in carica. Ci rimettiamo a Mattarella: o governo di unità nazionale o voto”. Spingendosi oltre: “Garantisco io l’assoluta unità del partito”.
Un impegno che ha ribadito a chi lo ragguagliava sulle correnti che agitano Forza Italia: un terzo dei novanta deputati e una decina di senatori sono in agitazione.
La mossa di presentarsi al Colle per chiedere le elezioni, sull’onda delle istanze leghiste e FdI, è stata letta da molti come “un harakiri”. Sterzare sul governissimo “se ce lo chiederanno, ma finora hanno detto loro di no” non ha calmato gli animi. Le perplessità restano.
Eppure, Forza Italia è un barilotto di dinamite a cui manca l’innesco. Le smentite di defezioni (per ora) fioccano. Anche malpancisti più a disagio per l’Opa salviniana, come Osvaldo Napoli o Daniela Ruffino, si chiamano fuori da avventure spericolate. Mara Carfagna, data in partenza per lidi centristi insieme a Giovanni Toti, non si muoverà prima che Conte cali le sue carte.
A Montecitorio si parla molto di una decina di deputati “anche giovani” con le valige in mano.
(da “Huffingtonpost”)
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