SE IN CINA IL PRESIDENTE GUADAGNA 1.600 EURO
XI JINPING ROMPE IL SILENZIO SUL SUO STIPENDIO E LO RITOCCA DEL 62%… MA IL POPOLO LO APPLAUDE
Se un leader politico occidentale si auto-aumentasse lo stipendio del 62%, è comprensibile che per contenere la folla inferocita dovrebbe ricorrere all’esercito.
Se lo fa il presidente della Cina, invece, fa quasi tenerezza e la gente applaude.
Xi Jinping e i sei membri permanenti del Politburo, dopo dodici anni, hanno aggiornato la paga alla realtà della seconda economia mondiale.
Il compenso è passato dall’equivalente di mille euro al mese a 1.580.
Il leader più influente del pianeta guadagnerà così 19.207 euro all’anno, assai meno di quanto percepiscono mensilmente presidenti e primi ministri del G20.
Dettagli sulla retribuzione dei dirigenti comunisti rappresentano un’eccezione.
I media cinesi questa volta ricordano che nel 2007 l’ex presidente Hu Jintao guadagnava 274 euro al mese, arrivati a mille solo a fine mandato.
Il reddito del “nuovo Mao” corrisponde oggi a circa il doppio di quello medio di un residente a Pechino, al quadruplo dello stipendio di un operaio che fa gli straordinari nel Guangdong.
Nulla però in confronto alle indennità d’oro che in Occidente vengono riconosciute per legge anche ad assessori e sindaci di Comuni che non contano i residenti di un solo quartiere della capitale cinese.
I media di Stato sottolineano che il presidente Usa, Barack Obama, percepisce un’indennità annua pari a 345mila euro, oltre venti volte più alta di quella del collega cinese se sommata ai fondi per viaggi e rappresentanza.
Il premier giapponese Shinzo Abe guadagna ancora di più, circa 30mila euro al mese, mentre il presidente russo Vladimir Putin è accreditato ufficiosamente di quasi 17mila euro mensili.
Record imbattibile, quello del primo ministro di Singapore, Lee Hsien Loong, che due anni fa si è ridotto lo stipendio annuo a 1,8 milioni di dollari.
Il proletario “compagno Xi”, nonostante il maxi-aumento, non può certo permettersi il lusso e gli eccessi che stordiscono il nuovo simbolo del capitalismo asiatico.
Una cena, in un ristorante alla moda di Pechino e Shanghai, costa già più del reddito mensile presidenziale.
La propaganda di Stato rompe così il silenzio sul potere solo per annunciare che salari più alti compenseranno milioni di funzionari pubblici, tenuti in cambio a rendere trasparenti i beni propri e dei famigliari.
La battaglia per la trasparenza dei patrimoni accumulati dai dirigenti rossi, spesso miliardari, negli ultimi anni è costata il carcere a decine di attivisti e di avvocati.
I tesori nascosti all’estero dai parenti dell’ex premier Wen Jiabao, ma pure da quelli dello stesso Xi Jinping, sono stati al centro di inchieste, censurate, dei media stranieri
Pubblicando i redditi “low cost” dei nuovi leader, il potere cinese punta ora a confermare l’appartenenza popolare dei dirigenti, a garantire compensi con cui sia possibile vivere onestamente e a rilanciare la guerra dei riformisti contro la corruzione che ha contagiato i falchi della sinistra neo-maoista.
Un burocrate comunista fino a ieri guadagnava quanto un operaio, o un contadino, ossia l’indispensabile per la sopravvivenza.
Difficile da giustificare il boom dei consumi e del lusso in metropoli con un costo della vita ormai pari a quello di Usa e Ue.
L’aumento degli stipendi pubblici, che restano doppi rispetto a quelli del settore privato, per la prima volta permetterà inoltre allo Stato il prelievo dei contributi per la pensione, primo passo verso la costruzione di un welfare cinese.
A Pechino lo slogan è «paghe più alte, furti più bassi».
Tutto da dimostrare: ancorchè vero, miracolo impossibile da esportare.
Giampaolo Visetti
(da “La Repubbica”)
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