“SONO UNA MADRE, SONO CATTOLICA, SONO UNA MOGLIE”: SILVIA SALIS FA IL VERSO A MELONI. LA SINDACA DI GENOVA È LA POSSIBILE CONCORRENTE DI SCHLEIN COME CANDIDATA PREMIER DEL CAMPO LARGO
TOSTA, AMBIZIOSA, FURBA, PREPARATA, NEL 2023, INTERVISTATA DAL “FATTO” DISSE: “QUAL È L’ACCUSA CHE MI RIVOLGONO MAGGIORMENTE? “CHE SONO UNA STRONZA…”. GRANDE COMUNICATRICE, RIBATTE COLPO SU COLPO, A GENOVA DOVE VA ORMAI SONO APPLAUSI E STRETTE DI MANO… NOSTRA OPINIONE DA MESI: SILVIA IN UN CONFRONTO LA MELONI LA ASFALTA
I neuroni di Giorgia Meloni ed Elly Schlein, per ragioni diverse, sono al lavoro sulla
stessa segnalazione di pericolo imminente: tenere d’occhio questa Silvia Salis. Controllare cosa dice, come lo dice. E dove va. Quando, perché. Curiosità strazianti. Dentro una domanda ad alto potenziale drammaturgico: sul serio la tipa ha già messo nel mirino l’ambita poltrona da premier a Palazzo Chigi?
Retroscena: Salis sarebbe stata individuata come ideale federatrice di un nuovo «centro» che guardi a sinistra, riformista, con attenzioni specifiche alle esigenze del mondo cattolico e a quello delle imprese, attento a contrastare certe campagne destrorse del governo . A dirigere i lavori per la costruzione di questo soggetto politico, come si sa, c’è Matteo Renzi. Che «per la Silvia», letteralmente, stravede. La immagina dentro un percorso identico al suo: da primo cittadino a presidente del Consiglio, bruciando tappe e avversari. Nel caso specifico: avversarie. Dario Franceschini, che pure lavora allo stesso progetto nella penombra dell’officina trasformata in ufficio, quartiere Esquilino, Chinatown romana, approva l’identikit della prescelta, ma suggerisce: «Prima, però, facciamole almeno fare per un po’ il sindaco».
Lei, di solito, reagisce così: «Preferisco essere chiamata sindaca. Se comunque sindaco vi piace di più, tranquilli: mi volto lo stesso».
Comprensibili, le preoccupate suggestioni diffuse tra chi siede a Palazzo Chigi (Meloni) e chi lavora per andarci (Schlein): Salis
tosta e ambiziosa, testardamente ambiziosa e fresca, nuova, sicura, brillante, furba, bella, bionda, spregiudicata, spavalda e competitiva (dieci titoli italiani, due Olimpiadi e tre mondiali: lanciava con il martello, sport di una noia mortale, tutta fatica e forza bruta, ma — appunto — ci sarà un motivo se non ha scelto danza). In più: è consapevole d’essere diventata subito personaggio.
Il dettaglio non sfugge a Elly (che ha da poco cominciato ad essere più disinvolta in tv). E nemmeno a Giorgia, già fuoriclasse del palco. Ricordate? «Sono donna, sono cristiana, sono madre!». Uno slogan che divenne tormentone rap, gospel politico. Ma adesso c’è lei, la Salis, che — addirittura — le fa il verso: «Sono madre, sono cattolica, sono moglie!».
Di Fausto Brizzi, regista famoso e suo fan scatenato («Il consiglio che mi ha dato Fausto? Essere chiara nei messaggi»). Hanno un figlio: Eugenio, 23 mesi, che porta il cognome della madre. Scelta non banale. Come un po’ tutto il Wikipedia di Silvia: che inizia con la mamma Tamara, impiegata comunale, e il padre Eugenio, storico militante comunista e custode dell’impianto d’atletica Villa Gentile, nel quartiere genovese di Sturla («Una sera, da neopatentata, rimasi senza benzina. Lui arrivò in soccorso con una tanica e mi disse: «Ricordati che sei figlia di un operaio, nella vita non puoi permetterti di essere imbecille»). Consigli. E destino.
Quando lascia l’attività agonistica, Silvia diventa vicepresidente vicario del Coni. Un’intuizione di Giovanni Malagò.
«Sono la dimostrazione vivente — ammette — che lo sport è il primo ascensore sociale del Paese».
Marco Bucci, da sindaco di Genova per il centrodestra, la premia come «ambasciatrice della città». Lei, a Rep, dice: «Prima ero la candidata perfetta per la destra, poi sono diventata una pericolosa estremista con falce e martello». Silvia 2 Sovranisti 0.
Nel 2023, il Fatto la intervistò: qual è l’accusa che le rivolgono maggiormente? «Che sono una stronza». In realtà ha capito che in politica conta solo arrivare primi. La medaglia d’argento non esiste.
«Mi sveglio alle 6,30 e resto sul tapis roulant un’ora: corro per 10 chilometri e leggo i giornali». In forma smagliante, capelli sciolti, un’eleganza banale e rassicurante, distante dai tailleur Armani di Meloni e dalle giacche sui toni pastello che l’armocromista sceglie per Schlein: finora non ha sbagliato mezza mossa. Un colpo a sinistra, uno al centro. E ogni volta che parla e si gira (ovunque, tra gli applausi): come se spiegasse il personale programma politico.
A Sant’Anna di Stazzema («Il fascismo è un mutaforma»). Nelle Marche da Matteo Ricci («I moderati devono consolidare il loro campo»). Poi accoglie Roberto Saviano al teatro Politeama. Sfila al Gay pride. Allestisce una giunta rosa: 7 donne su 12. La sua amministrazione registra 11 figli da coppie di donne
Quindi va alla Festa dell’Unità di Reggio Emilia e parla di «sicurezza» (argomento caro a Matteo Salvini) e urla che bisogna «vincere!» (verbo dal rimbombo fascista che, a sinistra, è impronunciabile). Rende omaggio alla Flotilla diretta a Gaza. Aprirà la prossima Leopolda renziana.
Non è un underdog. E l’abbiamo vista arrivare. Così torniamo alla domanda iniziale: che cos’ha in mente? Sensazione precisa: la sua partita è di prospettiva. Tradotto: la sfida è con Giorgia Meloni. Le eventuali primarie di coalizione del centrosinistra (con dentro lei, Schlein, Conte, uno di Avs e lo Scalfarotto di turno) qualora dovesse cambiare la legge elettorale, e fosse necessario indicare il nome del candidato premier prima delle elezioni, possono essere un passaggio importante. Forse. Chissà.
Fabrizio Roncone
per corriere.it
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