TFR, IN BUSTA PAGA 100 EURO? NO, RENZI HA SBAGLIATO I CONTI COME AL SOLITO, SONO 50 EURO
LE AGENZIE SPECIALIZZATE HANNO GIA’ FATTO I CONTI: SI TRATTA DI 50 EURO IN PIU’ AL MESE
La proposta ufficialmente non esiste ancora. Ma i conti non tornano già .
Secondo Matteo Renzi, l’ipotesi di destinare una parte del Tfr direttamente in busta paga potrebbe portare a chi guadagna 1300 euro netti “un altro centinaio di euro euro che uniti agli 80 euro del bonus — ha detto l’ex sindaco di Firenze a Ballarò – rappresentano una bella dote, circa 180 euro al mese”.
Ma a mettere in fila le simulazioni condotte fino ad ora sulla base dello scenario fino ad ora più accreditato, quello che venga prelevato subito il 50% della propria liquidazione, il beneficio finale potrebbe rivelarsi sensibilmente più basso di quanto annunciato dal premier.
Dei cento euro citati, conti alla mano, per la stessa fascia di reddito menzionata dal presidente del Consiglio, ne entrerebbero poco più della metà .
Abbastanza da far pensare che la proposta allo studio non riguardi solo il 50% ma l’intero importo del Trattamento di fine rapporto.
Stormo di gufi già in azione? Tutt’altro.
Accanto ai conti già fatti da Huffpost la scorsa settimana su cinque diverse categorie di lavoratori, anche l’ex sottosegretario al Welfare Alberto Brambilla, esperto di previdenza, citato dal Corriere della Sera è arrivato a conclusioni distanti da quelle del premier.
Per un lavoratore con uno stipendio da 1500 euro lordi, circa 1100 euro netti, appena sotto la soglia citata dal premier, il beneficio si attesterebbe intorno ai 55 euro.
Molto lontano dai 100 euro citati dal premier.
Come si arrivi alla cifra indicata da Renzi resta un mistero, anche perchè i dettagli della proposta sono ancora tutti da scrivere e lo stesso Pier Carlo Padoan, interpellato sulla questione, è stato più che prudente: “È un argomento in discussione”, si è limitato a rispondere ieri in conferenza stampa.
Avendo sommato il possibile beneficio con il bonus fiscale da 80 euro approvato ad aprile pare evidente che il premier, parlando dei cento euro, si riferisca a una cifra netta.
Musica per le buste paga degli italiani, pur con la dovuta precisazione che a differenza dei primi, i secondi sono già soldi dei lavoratori. Incassarli ora vuol dire non vederli più alla fine del rapporto di lavoro.
Lo scoglio principale ad oggi riguarda proprio il possibile drenaggio di liquidità dalle imprese che si vedrebbero private di preziose risorse. Problema che riguarda le aziende con un numero inferiore ai 49 dipendenti, che tengono “in pancia” le liquidazioni dei propri lavoratori e li usano per auto finanziarsi.
“Se diamo il Tfr in busta paga si crea un problema di liquidità per le piccole imprese, le grandi ce la fanno”, ha detto ieri Renzi.
Le grandi, probabilmente sì. Ma l’Inps forse no. Come ha ricordato oggi il Corriere della Sera il tesoretto di chi decide di mantenere il proprio Tfr in azienda ammonta oggi a circa 6 miliardi.
Somma che finisce direttamente in un Fondo di Tesoreria dell’Inps. Maggiore la percentuale che il governo farebbe confluire in busta paga, maggiore sarebbe il diametro del buco che si aprirebbe nei conti dell’Istituto Nazionale di Previdenza.
Buste paga più ricche, quindi, ma conti da ripianare altrove. Una piccola partita di giro che potrebbe innescare però un piccolo ma consistente effetto positivo anche per le casse pubbliche.
Portare la liquidazione direttamente in busta paga vuol dire anche tassare oggi (ad aliquote anche più alte) quello che si sarebbe tassato alla fine del rapporto di lavoro. Cifre consistenti, secondo uno studio de lavoce.info, che ha elaborato una stima sulla base di quattro diversi scenari di adesione alla proposta del governo.
L’ipotesi intermedia, con un’adesione del 50% dei lavoratori che hanno lasciato il Tfr in azienda e del 25% che lo hanno destinano alla previdenza complementare, lo Stato si porterebbe a casa 2,8 miliardi di euro di gettito fiscale in più.
In tempi di legge di stabilità e di caccia disperata alle coperture, risorse a cui Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan potrebbero far fatica a rinunciare.
(da “Huffingtonpost”)
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