TRAFFICO DI ORGANI, AFFARE DA 1,4 MILIARDI
PROFUGHI UCCISI PER OTTENERE I LORO RENI, FEGATI E CUORI… IL MERCATO DEI TRAPIANTI HA LA SUA BASE IN EGITTO, UN BUSINESS DI UN MILIARDO E MEZZO DI DOLLARI ALIMENTATO DA OMICIDI E SEQUESTRI
Omdurman. Zona est della grande area urbana di Khartoum, Sudan.
Oltre due milioni di persone in un reticolo di strade: baracche, mercati variopinti e imponenti minareti, a pochi metri dalla confluenza tra il Nilo Bianco e il Nilo Azzurro.
“È qui che i rapiti vengono caricati sui camion. E una volta che sono sui camion non ne escono più”. A rivelarlo è una fonte della diplomazia internazionale, uno dei testimoni che hanno deciso di parlare, di raccontare a Repubblica il viaggio dei disperati verso la morte, e di far luce sulla reale dimensione della pratica più barbara: le uccisioni mirate all’espianto di organi.
“Le intelligence dei paesi coinvolti sono già al lavoro — prosegue la fonte — perchè il fenomeno che vede il Sudan come paese di passaggio, coinvolge soprattutto l’Egitto. Qui sono allestiti presidi ospedalieri illegali, gestiti da organizzazioni criminali internazionali.
E il fenomeno non è marginale perchè riguarda sia eritrei e sudanesi che volontariamente scelgono di farsi espiantare un organo; sia chi ha famiglia nei territori del Nord o in Europa e diventa oggetto di riscatto; sia le categorie più deboli, a partire da donne e bambini”.
I sospetti sul ruolo svolto dall’Egitto vengono coltivati da tempo dalle istituzioni italiane, anche se in questo momento di forte tensione con il paese africano nessuno se la sente di confermare ufficialmente per non creare ulteriori fronti di scontro dopo la vicenda Regeni.
L’attenzione internazionale sul fenomeno si è riaccesa il 4 luglio scorso quando gli uomini della Mobile di Palermo e di Agrigento, coordinati dal Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, eseguono un mandato di fermo per 38 persone ritenute appartenenti ad un’organizzazione internazionale dedita al traffico di esseri umani.
All’interno del decreto della Procura di Palermo sono contenuti i verbali dell’interrogatorio rilasciato l’11 maggio del 2015 dallo “scafista pentito” Atta Wehabrebi.
“Talvolta — confessa il testimone — i migranti non hanno i soldi per pagare il viaggio e allora mi è stato raccontato che queste persone vengono consegnate a degli egiziani che li uccidono per prelevarne gli organi e rivenderli in Egitto per una somma di circa 15.000 dollari. In particolare questi egiziani vengono attrezzati per espiantare l’organo e trasportarlo in borse termiche”.
“Traffico d’organi, migranti possibili vittime, ma in Italia controlli severi
Parole che aggiungono dettagli alla “leggenda”, perchè la verità è un’altra, ben più complessa e dolorosa, e permette oggi di ricostruire forse la coda più drammatica di un business globale che vale 1,4 miliardi di dollari l’anno.
La stima — finora inedita — è contenuta in un rapporto che sarà presto reso pubblico realizzato dalla Global Financial Integrity, la fondazione con base a Washington considerata uno dei massimi centri mondiali di analisi sui flussi finanziari illeciti. Secondo i calcoli della GFI, il 10% dei 118.000 trapianti che ogni anno si praticano globalmente è illegale. In media 12.000 trapianti che fruttano al mercato nero e alle organizzazioni criminali internazionali fino a 1,4 miliardi di dollari.
La questione sudanese.
Il 4 giugno del 2015 un convoglio organizzato dal Commissariato per i rifugiati sudanese sta trasportando 49 migranti eritrei dal centro di Wad Sharifey, vicino la città di Kassala, al campo per i rifugiati di Shagarab, quando viene aggredito da un gruppo organizzato dotato di una massiccia potenza di fuoco.
Nell’assalto 14 persone vengono rapite. Tra loro ci sono anche sette bambini. La ricostruzione dell’imboscata è ricca di dettagli e raccolta all’interno di un rapporto dell’Unchr (l’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite) inviato alle autorità sudanesi che hanno aperto un’inchiesta
L’11 giugno, appena sette giorni dopo, viene attaccato un altro convoglio umanitario che trasporta 19 eritrei, tutti sotto i 29 anni. L’agguato si consuma nei pressi di Khartoum, capitale del Sudan. Il pickup dei rapitori sperona il pullman che porta i profughi, facendolo ribaltare.
Nell’Africa dei conflitti insanabili e delle migrazioni epocali, il Sudan è oggi il Mar Rosso del popolo eritreo ed etiope che sogna una nuova vita nella ricca Europa. Nel corso del 2015 — calcola un Report realizzato da Unhcr e dall’International Organization for Migration — ogni mese oltre mille persone hanno attraversato i suoi confini bivaccando nei campi profughi intorno alla capitale. Alcune di loro ce l’hanno fatta, altre no.
I dati riservati delle Nazioni Unite parlano di almeno 66 casi accertati di rapimenti nei primi sei mesi del 2015 operati da gruppi criminali ben organizzati e con ramificazioni internazionali.
Questi i numeri verificati, ma in realtà le persone che spariscono sono molte di più. Per loro il primo passo è la richiesta di un riscatto ai parenti: 14.000 dollari per chi ha la famiglia a Khartoum, 30.000 per chi ha i parenti in Europa.
Chi paga ha salva la vita; chi non paga finisce nelle mani degli aguzzini e diventa merce di scambio sul mercato illegale degli organi.
L’odissea dei disperati.
Il viaggio dei rapiti inizia da Omdurman, dove i camion fanno rotta verso l’Egitto.
“A volte i rapimenti avvengono in modo violento — racconta una fonte attiva nella cooperazione internazionale — altre volte intervengono dei mediatori, spesso della stessa nazionalità dei rapiti, che li traggono in inganno promettendo un aiuto per raggiungere le coste libiche”.
Ma è in Egitto che — dalla ricostruzione di più testimoni — si tengono le operazioni per l’espianto di organi.
“Abbiamo foto e documentazione — dichiara Alganesh Fessaha, presidente dell’organizzazione non governativa Ghandi Charity, nata in Costa d’Avorio nel 2003 — e referti medici che ricostruiscono i casi delle tante persone trovate senza organi in Egitto. Si tratta di storie recenti, che risalgono agli ultimi due anni. A volte però non sono i trafficanti a occuparsi dell’espianto. Capita spesso che le persone ferite siano gettate per strada e lì raccolte da poliziotti corrotti che le portano in ospedale dove vengono espiantate. Entrare in alcune camere mortuarie in Egitto è quasi impossibile perchè la polizia non te lo permette”
La ricostruzione di Alganesh si arricchisce delle dichiarazioni di una autorevole fonte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha chiesto di rimanere anonima.
Ecco la sua denuncia: “Non esiste alcun tipo di controllo sugli ospedali militari egiziani. Anche le autorità sanitarie del Paese sanno poco o nulla di quanto accade lì dentro”.
L’Egitto inoltre è molto vicino a paesi come gli Emirati Arabi e Israele, dove la domanda di organi è particolarmente forte, e ha strutture sanitarie e competenze mediche adeguate ad effeturare i trapianti.
Caratteristiche che secondo Global Financial Integrity fanno del paese arabo un centro continentale e mondiale per il traffico illecito di organi e della sua capitale uno dei mercati più importanti.
A differenza dell’Europa e dell’Italia in particolare dove, ricorda Alessandro Nanni Costa, direttore generale del Centro Nazionale Trapianti, “facciamo un attento controllo sulle liste di attesa dei trapianti e verifichiamo se qualcuno scompare all’improvviso”.
Dal Sinai al Sudan. La geopolitica degli stati ha influito pesantemente sulla geografia criminale dei traffici di esseri umani. I ripetuti bombardamenti dell’esercito di Al-Sisi sul Sinai hanno contribuito a liberare la regione dalle organizzazioni criminali che l’avevano trasformata nella loro base operativa, obbligandole a spostare il cuore delle loro attività in Sudan e in Libia.
“Prima dell’intervento dell’esercito — racconta don Moses Zerai, presidente di Habeshia, l’agenzia per la cooperazione allo sviluppo che da anni combatte contro il traffico di uomini — nel deserto del Sinai sono stati ritrovate centinaia di corpi ai quali mancavano organi vitali come reni, fegato e cuore. I profughi ci hanno raccontato che tutto avveniva in strutture mobili, attrezzate come ospedali. Negli ultimi anni sono passati per il Sinai circa 60.000 profughi, per la maggior parte eritrei, etiopi e sudanesi: i rapimenti erano all’ordine del giorno. Poteva infatti capitare che durante uno stesso periodo venissero messe sotto sequestro anche 1.500 persone. E ancora oggi ci sono fosse comuni sparse per tutto il deserto”.
Le denunce internazionali.
Don Moses Zerai ha denunciato il fenomeno dei rapimenti e degli espianti sia al ministero degli Esteri italiano sia all’ambasciata egiziana presso la Santa Sede.
In momenti e con modalità differenti anche Alganesh Fessaha ha tentato di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale intervenendo direttamente presso l’Unione Europea, ma — denuncia oggi — senza ottenere alcun risultato.
L’Unhcr è impegnata nella tutela dei migranti e da marzo a giugno del 2015 ha “istruito”, solo in Sudan, 2.708 profughi sul rischio di rapimenti e del traffico d’organi.
Tutto questo però non basta per frenare il fenomeno: nel febbraio del 2015, a Mosul in Iraq, dodici medici sono stati uccisi perchè — secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite — si sono rifiutati di praticare l’espianto degli organi ad alcuni prigionieri.
Il 4 aprile scorso, nel mare di Alessandria d’Egitto, sono stati ritrovati i corpi senza vita di nove somali. La madre e i suoi due bambini piccoli erano stati privati degli organi vitali.
Tante tracce di un’unica disperazione che chiamano in causa l’altra faccia di questo fenomeno.
“I compratori vengono dai paesi ricchi — ribadisce Alessandro Nanni Costa, direttore generale del Centro Nazionale Trapianti — e sono spesso arabi, turchi, israeliani, perfino statunitensi. Da noi, come detto, ci sono maglie strette dalle quali è difficile passare”.
Qualcuno però ci riesce, soprattutto all’estero.
Lo fa affidandosi a broker internazionali o setacciando il deep web. E alla fine sborsa 100.000 dollari per comprarsi una seconda occasione nella vita.
Daniela Autieri e Roberta Rei
(da “La Repubblica“)
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