TRUMP DALL’ISOLAZIONISMO AL RITORNO A “GENDARME DEL MONDO”
AVEVA PROMESSO “AMERICA FIRST”, MA PER RECUPERARE CONSENSI DOVEVA DIMOSTRARE DI ESSERE UN UOMO D’AZIONE, RINNEGANDO IL SUO PROGRAMMA
E’ tornato il “gendarme del mondo”, nella figura di quel Presidente Trump che aveva promesso di porre “America First” e il resto del mondo ben dietro il suo ritrovato super nazionalismo,
E ora la domanda è: come risponderà Vladimir Putin al salvo di 59 missili Cruise “mirati”, ha detto Trump, sulla base aerea della Siria dalla quale partì l’attacco con armi chimiche contro il suo protetto e principale cliente in Medio Oriente, Bashar al-Assad?
Accetterà Mosca, che continua a negare che quelle armi chimiche siano state impiegate da Assad, di permettere che il suo cliente siriano sia preso a schiaffi dagli americani senza reagire?
Per spiegare la sua repentina conversione da isolazionista e gendarme che punisce chi viola la legge, Trump ha detto, in un breve, e molto ansimante discorso, che la rappresaglia missilistica era “nell’interesse nazionale degli Stati Uniti” anche se nessun soldato o civile americano, nessuna installazione americana è stata colpita in quel massacro, ma la vera ragione era punire chi si era macchiato di “orriibili crimini”.
Di fatto, dopo avere predicato la religione del neo isolazionismo anche Trump torna a recitare la parte del “gendarme del mondo” che muove per fermare o per punire chi viola sfacciatamente i minimi standard delle norme internazionali, come già Clinton fece in Serbia e Bush pretese di fare in Iraq, contro il “macellaio di Baghdad” e il suo inesistente arsenale chimico e nucleare, Saddam.
Ma lo stormo di Tomahawk con testate da mezza tonnellate di esplosivo convenzionale ciascuna non è la guerra, non è la spallata militare che potrà far cadere Assad, non è — ancora — una riedizione della sciagurata strategia del “Cambio di Regime” che tanto bene ha fatto al mondo arabo dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003. È un “segnale”, come stanno dicendo dalla serata di Washington, gli specialisti, ma un “segnale” a chi?
Quei missili, che volano a volocità subsonica e a quote relativamente modeste, hanno sorvolato, partendo dalle unità della US Navy nel Mediterraneo che li hanno lanciati , le aree della Siria controllate dall’Armata Russa, come la base aerenavale di Lantaka e sicuramente i radar russi li hanno visti e tracciati.
Mosca e i suoi militari in Siria erano stati preavvertiti, per evitare equivoci e per chiarire da subito che quei missili non erano diretti contro installazioni o personale loro.
Ma se gli obiettivi militari non erano le forze di Putin, l’obiettivo politico diventa sicuramente lui, il Lord Protettore senza il quale Bashar al-Assad sarebbe forse già caduto, sotto la spinta congiunta dei ribelli assortiti e delle milizie dell’Isis.
Se questa azione, più spettacolare che militarmente devastante, più diretta a dimostrare agli americani che Trump è uomo d’azione e non un guerriero riluttante come Obama, sarà letta da Putin per quello che è, una pura dimostrazione di forza e di decisionismo di un Presidente americano disperatamente alla ricerca di un colpo di scena per risollevare il proprio prestigio cadente, non ci saranno reazioni più che retoriche da Mosca.
Ma il gioco nel qale Trump si è gettato, sperando che questa azione largamente dimostrativa e molto “chirurgicica” come sempre si dice, sia conclusa in se stessa, è, come tutte le azioni di forza, non una porta che si chiude, ma una porta che si apre.
Riprendendo le armi che Obama non aveva voluto usare, se non con occasionali attacchi di droni, Trump ha voluto dire di essere pronto alle azioni militari almeno a distanza e l’ha fatto nella sera nella quale era a cena con il Presidente Cinese Xi, a sua volta protettore di un altro sinistro desposta, il coreano Kim.
Si vuole sperare, contro le lezioni del passato, che questa porta aperta non lasci passare nuove escalation e azioni simili, magari allargandosi contro la Corea del Nord protetta dall’ospite a cena di Trump, perchè ogni conflitto, dimostrativo o punitivo che sia, è sempre molto più difficile da chiudere che da aprire.
E la parola, oggi, è a Putin
(da “La Repubblica”)
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