UN MILIONE DI AMERICANI CON I SIOUX IN LOTTA CONTRO IL MEGA-OLEODOTTO PETROLIFERO SOTTO LE LORE TERRE SACRE
DOPO I BRUTALI ARRESTI DI 141 ATTIVISTI UNA GRANDE GARA DI SOLIDARIETA’ CON I NATIVI CONTRO IL “DAKOTA ACCESS”… SUL WEB UNA MAREA DI ADESIONI A “ANCHE IO SONO ALL’ACCAMPAMENTO INDIANO IN NORD DAKOTA”
Check-in a Standing Rock: sono già un milione le persone che hanno utilizzato l’applicazione di Facebook per dire ai loro amici e al mondo, che sì, “anche io sono all’accampamento Sioux in Nord Dakota”.
Proprio quello da dove lo scorso aprile sono partite le proteste dei nativi contro l’oleodotto che dovrebbe attraversarne la terra e che una settimana fa è stato brutalmente sgombrato dalla polizia.
Solo che tutta questa gente fin lì non è mai arrivata: ma sta utilizzando il check-in come forma di protesta nuova e inusuale per sostenere la causa dei nativi americani e proteggerli dalla polizia che li vorrebbe in galera.
Altro che sit-in. La nuova forma di protesta virtuale che sta conquistando l’America (e il mondo) non è infatti solo un modo di esprimere solidarietà ai Sioux da mesi sul piede di guerra.
È una nuova forma di disobbedienza civile che oppone un trucco tecnologico a quello che in tanti considerano un abuso: tecnologico anch’esso, s’intende.
Il milione di persone che nelle ultime 48 ore ha infatti sostenuto su Facebook di essere a Standing Rock non ha in realtà mai lasciato la propria casa: ma vuol confondere la polizia che indaga sugli attivisti.
Sarebbe stato infatti proprio lo sceriffo della contea di Morton, dove si trova Standing Rock appunto, a usare per primo il metodo del check in online per identificare gli attivisti che da mesi denunciano la pericolosità di “Dakota Access”, il progetto da 3,7 miliardi di dollari che prevede la costruzione di un oleodotto sotterraneo lungo 2000 chilometri che dovrebbe passare sotto le terre degli ultimi Sioux, 4100 nativi che abitano nella contea.
Un progetto che non solo ne eroderebbe ulteriormente i territori a loro sacri: ma rischierebbe di provocare seri disastri ambientali.
Basterebbe infatti un guasto anche minimo a provocare perdite che potrebbero inquinare il terreno e perfino le falde acquifere di un fiume importante come il Mississippi.
Le proteste finora sono sempre state pacifiche: ma pochi giorni fa uno degli accampamenti allestiti dagli attivisti è stato preso d’assalto da polizia e contractors privati pagati dalle quattro società petrolifere che sostengono il progetto.
Durante l’assalto 141 persone sono state arrestate e brutalmente picchiate anche una volta arrivate in carcere, con una durezza che ha sollevato perfino le proteste degli osservatori delle Nazioni Unite che hanno denunciato la violazioni dei diritti umani. Ora, secondo gli attivisti, la polizia starebbe cercando di identificare gli altri contestatori proprio monitorando i loro profili Facebook
La protesta dei check in serve dunque a questo: a sommergere di informazioni sbagliate le forze dell’ordine.
Un’idea che però nessuno rivendica: e che gli stessi manifestanti pensano si sia autogenerata grazie al copia e incolla diventato virale di un post interno a uno dei loro gruppi. Su Facebook, s’intende.
Lo ha detto al Washington Post il portavoce di Sacred Stone Camp, una delle associazioni sul campo: «Il meme ci sta dando una grossa mano ma nemmeno noi sappiamo come sia nato. Sembra la riproduzione di alcuni messaggi interni. Di sicuro è un’ottima tattica. Sta proteggendo i nostri compagni e diffondendo la nostra causa nel mondo».
Intanto lo sceriffo di Morton smentisce il monitoraggio dei check in su Facebook, ammettendo solo che “vengono tenute d’occhio alcune attività sui social”.
Ma i contestatori non si fidano. Anche perchè, secondo un report dell’American Civil Liberties Union, sia Facebook che Twitter e Instagram sono i tre grandi network che hanno deciso di dare accesso a Geofeedia, la compagnia di Chicago che ha costruito un software in grado di analizzare i feed delle manifestazioni e fornire informazioni in tempo reale alla polizia, con tanto di ubicazione degli account.
Intanto il movimento dei check in cresce. “Anche io a Standing Rock”: senza mai uscire da casa.
(da “La Repubblica”)
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