UNA MANOVRA PRIVA DI DINAMISMO CHE GUARDA ALLE ELEZIONI
UNA LEGGE DI STABILITA’ DIFENSIVA CHE RIVELA L’INCONFESSABILE: CHE I SOLDI NON CI SONO
Una manovra economica priva di dinamismo. Una manovra difensiva, che manca di una spinta propulsiva e anche un po’ di anima.
Una manovra che purtroppo rivela l’inconfessabile: soldi non ci sono, l’Italia è un paese ancora in crisi o che al massimo sta appena mettendo la testa fuori dall’acqua e quindi più di questo non si può fare, almeno per ora.
Nella Legge di Stabilità c’è poco o niente a favore di aziende e lavoratori. In altri termini, non c’è nessuno stimolo reale che possa aiutare il nostro paese ad avere quello scatto di reni fondamentale per duplicare il tasso di crescita l’anno prossimo e quelli a venire.
Il taglio della tassa sulla casa stimolerà i consumi”, ci potrebbe rispondere il Presidente del Consiglio.
Purtroppo non è proprio così, visto che Bankitalia, Ocse e tanti altri istituzioni economiche ripetono da tempo come non ci sia nessuna evidenza di un automatismo fra i due fenomeni e anzi in realtà bisognerebbe sempre privilegiare la tassazione sugli immobili rispetto a quella sul lavoro.
Dalle parti di Bruxelles ce lo ricordano a ogni piè sospinto, ma Roma preferisce seguire la stella polare delle prossime Amministrative di primavera.
Se si vanno a prendere le singole misure, viene fuori che quasi tutta la manovra da 27 miliardi consiste nell’evitare l’aumento delle clausole di salvaguardia ovvero l’aumento automatico di Iva e accise in copertura a spese fatte in passato (17 miliardi) e abolire la tassa sulla casa e l’Imu agricola (circa 5 miliardi).
Per il resto ci sono tante piccole misure da poche centinaia di milioni di euro e quindi dalla dubbia efficacia per stimolare la crescita o per l’equità sociale.
Qualche esempio? I 600 milioni per la povertà , i 300 milioni per il rinnovo dei contratti pubblici, i 400 milioni per il sociale e così via.
Pochi spicci nel bilancio statale. Una serie di micro-misure spot più adatte per riempire di tweet la conferenza stampa post-manovra che per avere un reale effetto sul pil.
E poi c’è la grande assente: sua signora Spending Review.
Croce senza delizia di tutti i premier che l’hanno annunciato senza mai attuarla, anche Renzi purtroppo ha dimostrato una certa impotenza nel combattere la sempre affamata bestia della macchina pubblica.
Dei tanto sbandierati 10 miliardi di tagli, alla fine sì e no si riuscirà ad arrivare alla metà . E lo si farà con quei meccanismi ben noti a tutti i governi precedenti, sia che a via Venti settembre fosse seduto Giulio Tremonti che Fabrizio Saccomanni: tagli lineari o semilineari ai ministeri e mannaia sulla spesa sanitaria – e quindi in ultima analisi alle Regioni.
Non a caso il professore Roberto Perotti – incaricato di buttare giù una lista di interventi assieme al fedelissimo renziano Yoram Gutgeld – ha lasciato la cabina di regia di palazzo Chigi in modo tutt’altro che pacifico.
Per non parlare poi delle altri fonti di copertura della manovra, tutt’altro che strutturali: 13 miliardi in deficit grazie alla “benevolenza” europea, 2 dal rimpatrio dei capitali esteri e uno dalla tassazione sui giochi.
E 6 miliardi ancora ballerini, visto che nè Renzi nè Padoan hanno chiarito da dove verranno.
Insomma, una manovra senz’anima, che non apre nel migliore dei modi quella che dovrebbe essere la fase due del governo Renzi, fase partita l’istante dopo che il premier ha incassato con larga maggioranza le riforme costituzionali.
Invece per far ripartire davvero l’Italia ci sarebbe bisogno di una vera campagna a favore di imprese e lavoratori, altro che Tasi.
Gianni Del Vecchio
(da “Huffingtonpost“)
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