UNA RAGGI DI TROPPO
L’USCITA DI DI MAIO SUL PATTO CON IL PD PER CINQUE GRANDI CITTA’, DOPO AVERLO RIFIUTATO PER LE REGIONALI, NASCONDE SOLO IL TENTATIVO DI FAR ELEGGERE RAGGI E APPENDINO
L’attivismo di Luigi Di Maio, proprio il giorno dopo la chiusura delle liste che cristallizzano il mancato accordo giallorosso alle Regionali, irrita il Nazareno. Il ministro degli Esteri ammette il ritardo sulle scelte per il voto di settembre, e prova a giocare d’anticipo per le Comunali del 2021 in vista di candidati unitari: “Serve un ragionamento complessivo sulle città , partendo da Roma, Milano, Torino, Napoli e Bologna”. Un’apertura però avvelenata: “Non credo che Virginia Raggi e Chiara Appendino debbano fare un passo indietro, non mi pare ci sia una folla di candidati eccelsi pronti a sostituirle”.
Tattica per preparare gli elettori grillini a digerire candidati sindaci Dem in città di peso, in linea con l’esito della consultazione su Rousseau? Forse. Ma rimettere in campo il nome della Raggi per il Pd equivale a spargere sale sulle ferite. “Non sosterremo mai la sua ricandidatura – aveva detto il segretario Nicola Zingaretti già a Ferragosto – Sono stati cinque anni drammatici per Roma”. Preceduto nel “non possumus” dal suo consigliere politico e amico Goffredo Bettini. E “mai con la Raggi” hanno ripetuto in questi giorni il neo-tesoriere Walter Verini, l’europarlamentare Massimiliano Smeriglio, tutto lo stato maggiore del partito. Oggi, la reazione è affidata alla responsabile Pmi Stefania Gasparini: “Nell’intervista a Di Maio di positivo c’è che siano caduti folli veti M5S. Ma i candidati si decidono nei territori e non nei vertici romani. Quindi dopo le amministrative del 2020 si decidono i candidati 2021. Purtroppo in questa tornata Pd e 5S sono avversari…”
Mentre nei Cinquestelle la proposta del ministro degli Esteri di istituire un tavolo nazionale per le candidature insieme agli alleati di governo incontra più consensi. Laura Castelli, viceministro all’Economia: “Esprime la volontà della base, facciamo nascere una generazione di amministratori del Movimento”. Ad eccezione di una caustica Barbara Lezzi: “Sarà che non faccio parte del club dei ‘tutti pazzi per Mario Draghi’ ma se questo deve essere il M5S quello raccontato da Di Maio, possiamo dire che fino ad ora abbiamo scherzato, giocato o forse tradito”.
Il problema, per il Pd, è che la ricandidatura della Raggi saldata con l’assenza di un nome forte Dem lascia spirare il venticello del sospetto. Precisamente questo: che si facciano le primarie con nomi noti più a livello locale che nazionale — in queste ore circolano quelli del presidente di municipio Amedeo Ciaccheri, della consigliera regionale Michela Di Biase, della senatrice Monica Cirinnà , di Tobia Zevi — per mandare il vincitore alla sconfitta al primo turno, preparandosi per così dire l’alibi per poter sostenere la Raggi al ballottaggio contro il candidato del centrodestra.
Teorema respinto al mittente dagli zingarettiani ma non soltanto. Anche altre anime del composito Pd fanno notare come “Nicola non si può permettere un simile passo falso proprio a Roma”. L’operazione, insomma, sarebbe il contrario di quella immaginata dai detrattori, come racconta un parlamentare vicino al segretario: “Il Pd è intorno al 30%, la Raggi — per bene che le vada — arriverà al 15%. Si tratta di convincere gli elettori grillini a sostenere un nome nostro. Perchè l’ipotesi che Virginia arrivi al secondo turno è del tutto irrealistica”. A prescindere dal nome in quota Dem? “Adesso è il momento delle auto-candidature a briglia sciolta. Alla fine il nome giusto salterà fuori”.
Per quanto in ritardo, a Roma la ricerca è partita. Abbandonata la partita per David Sassoli: “Sarebbe miope sguarnire le istituzioni europee”. Si spera anche in un “civico”: un grande imprenditore, un nome dell’associazionismo o del terzo settore, un esponente della cultura noto a livello internazionale. Carlo Calenda avrebbe il physique du role, ma gli si obietta, oltre alla tendenza all’autonomia, di essere “troppo Roma Nord”. “Non è facile trovare l’anti-Raggi — ammette un esponente Dem capitolino — Il rischio è cadere su un uomo delle èlite”. C’è chi ipotizza Marco Impagliazzo, docente universitario, uomo colto e presidente della comunità di Sant’Egidio.
Si vedrà . Il toto- nomi non è ancora partito. A Roma nè altrove. Il Pd considera (quasi) altrettanto difficile sostenere il bis di Chiara Appendino (che però sarebbe poco propensa) a Torino. A Milano, Beppe Sala avrebbe fatto capire di voler tornare a fare il manager, ma i Dem non disperano di convincerlo. E in caso contrario, soni già in pista “i due pier”: Pier Francesco Majorino e Pier Francesco Maran, entrambi volti noti e rodati sotto la Madonnina. Tanto Zingaretti quanto Di Maio sanno che un tavolo nazionale per i candidati sindaci sarà la soluzione più saggia. Tanto più dopo la tornata delle Regionali, dove la mancata alleanza in termini di punti costerà cara sia nelle Marche che in Puglia. Ma il nome di Virginia Raggi è un macigno sulla strada per quell’obiettivo.
(da “Huffingtonpost”)
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