UNITO A DE ANDRE’ DALL’AMORE-ODIO PER GENOVA
CRESCIUTI INSIEME ALLA FOCE, MA LA GENOVA DALLA QUALE SONO PARTITI E TRATTO ISPIRAZIONE NON ESISTE PIU’, E’ RIMASTA ORFANA DI IDEE CHE NE SEGNANO IL DECLINO
“Ciao papà ora sei di nuovo libero di volare”. Così la figlia Elisabetta ha annunciato su Facebook la morte di Paolo Villaggio a 84 anni . Prevedibile una costernazione popolare molto forte , incerto il destinatario: Villaggio o Ugo Fantozzi, il suo impiegato maldestro e infingardo, diciamolo una buona volta, che verrà pure messo sotto torchio da super direttori e meschinerie assortite ma le meritava tutte?
Sarebbe più opportuno dire addio proprio a Villaggio, che nei suoi personaggi, Fantozzi certo, il professor Kranz, prestigiatore cattivissimo e cialtrone, Giandomenico Fracchia, un tappettino d’uomo, deprecabile anche se schiacciato dall’universo dei più furbi, metteva molto di sè.
Non giriamoci molto intorno, di persona Villaggio era molto difficile. Gran parte del mondo del cinema lo sopportava, ne riconosceva l’intuizione geniale per aver scritto la saga di Fantozzi, ma se poi andiamo a scavare nelle sue prove più convincenti, ne troviamo soprattutto due: il soldato alemanno Torz in “Brancaleone alle crociate” e l’armatore in “Il volpone” da una commedia secentesca di Ben Johnson.
E dire che aveva recitato con Federico Fellini, “La voce della luna”, Ermanno Olmi, “Il segreto del bosco vecchio”, Mario Monicelli, “Brancaleone” e “Cari fottutissimi amici”.
Diversa la prova letteraria, con i libri dedicati a “Fantozzi”, dove in terza persona porta gli italiani nello stesso territorio paludoso, l’ingiustizia sociale ma anche la carogneria dei subalterni pur di non perdere posizioni nel quadrato del lavoro.
Meglio di lui ha fatto sicuramente Alberto Sordi, che però si è limitato al cinema, l’amico Vittorio Gassman e in genere gli eletti di quella commedia all’italiana che aveva descritto in modo impietoso l’Italia prima, durante e dopo il boom.
Quell’Italia, o meglio dire Genova, che invece l’impiegato Paolo Villaggio vive da impiegato nel grande alveo delle partecipazioni statali.
È lì che nascono i suoi discutibili ma simpaticissimi eroi.
Villaggio, che è stato uno splendido “Avaro” di Molière a teatro, che nel 1992 ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera, e che tutti ricordano come un uomo che non passava di certo inosservato, aveva una predilezione artistica per il quasi fratello Fabrizio De Andrè.
Erano cresciuti insieme alla Foce, con Faber scrive le parole “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”, e rimangono legati da quell’amore-repulsione per Genova quasi scontato in tanti transfughi.
Uno è anarchico, Villaggio è un libertario incerto fra la sinistra e i radicali. Ma non è questo il punto.
Alla morte di De Andrè ne diventa, a modo suo, un custode della memoria.
Con il tempo, però, è evidente che la Genova dalla quale sono partiti non solo non esiste più, ma è rimasta orfana di idee e risorse che ne segnano il declino.
Villaggio, invece, era legato, quando ci tornava, a quel mondo che aveva prodotto le scorie, non gli anticorpi, sulle quali erano cresciuti Kranz, Fracchia e Fantozzi.
Di certo a ha fatto ridere e sorridere almeno tre generazioni.
Ma si torna al punto di partenza: l’Italia piange Villaggio o Fantozzi?
(da “il Secolo XIX”)
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