ZERO DIPENDENTI, CAUSE IN CORSO, MACCHINARI VENDUTI: IL PONTE SULLO STRETTO PUO’ RIPARTIRE COSI’?
SOCIETA’ IN LIQUIDAZIONE DA TRE ANNI E ORMAI SVUOTATA, CON IN ATTO CONTENZIOSI MILIONARI, RESUSCITARLA E’ UN’IMPRESA
Il rilancio del Ponte sullo stretto di Messina da parte del premier Matteo Renzi pone seri interrogativi non solo politici, ma anche di concreta ripresa delle attività .
La Stretto di Messina spa è infatti una società in liquidazione da tre anni.
Un soggetto di fatto svuotato, senza personale, senza sedi, con importanti contenziosi aperti (non ultimo quello con gli stessi ministeri delle Infrastrutture e dell’Economia) e che nel corso della procedura ha venduto attrezzature o affidato ad altri soggetti compiti che una volta le spettavano.
È possibile far ripartire la macchina? E in quanto tempo, con quali costi?
Proviamo a fare il punto della situazione.
Nessun dipendente, sede in affitto
Secondo il bilancio intermedio di liquidazione del 2015 firmato dal commissario liquidatore Vincenzo Fortunato, la Stretto di Messina spa non ha più dipendenti dal 1° gennaio 2014 così come previsto dalle linee guida stilate dal ministero dell’Economia e Finanze e dal ministero dei Trasporti.
L’unico personale operante è formato da 7 persone in distacco e altre cinque utilizzate parzialmente.
La sede di Roma, in via Marsala 27, si è ulteriormente ridotta vista l’attività ormai limitata alla liquidazione ed è sublocata all’Anas.
Attività di archivio
Oltre a seguire le procedure di liquidazione, la società si è limitata nel 2015 a conservare progetti, documenti, pareri e relazioni. Il personale distaccato ha digitalizzato il materiale in modo che non venga perso e lo ha archiviato. Fine.
La cessione delle reti di monitoraggio ambientale
Così come previsto dal governo Monti, che ha messo in liquidazione la società nel 2012, da marzo 2013 sono state interrotte tutte le attività di monitoraggio. Il commissario liquidatore si è preoccupato di vendere o cedere le attrezzature, in modo da recuperare fondi.
Così, nel corso del 2015, i macchinari e i software utili al monitoraggio di superficie sono stati venduti all’Anas.
I pozzetti per le rilevazioni sotterranee sono invece stati ceduti all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia senza alcun corrispettivo. Questo in considerazione del ruolo istituzionale dell’Ingv e del fatto che la loro demolizione avrebbe comportato ulteriori spese per la Stretto di Messina spa.
I 790 milioni chiesti da Eurolink
Sono una delle attività che più impegnano la società in liquidazione.
La legge Monti del 2012 poneva infatti tre obiettivi da raggiungere in tempi certi. Se non si fossero raggiunti entro i termini bisognava considerare svincolata ogni società . È così che la Stretto di Messina è finita in liquidazione.
La legge prevedeva anche il pagamento di un indennizzo per la perdita del contratto da pagare alle società contraenti. Indennizzo pari al 10% del valore delle prestazioni effettuate, quindi 8,5 milioni per il contraente generale, Eurolink, l’associazione temporanea di imprese capeggiata da Impregilo, e 1,9 milioni per il project management consultant, ovvero la Parsons Transportation Group.
Inutile dire che le due società hanno promosso una causa civile nei confronti della Stretto di Messina, della Presidenza del Consiglio dei ministri e del ministero dei Trasporti sostenendo l’illegittimità della legge e chiedendo 790 milioni di euro.
La causa è davanti al tribunale civile di Roma e proprio in questi giorni era prevista la chiusura della fase istruttoria (la precisazione delle conclusioni da parte degli avvocati e le memorie di replica).
Ora è tutto nelle mani del collegio che, si prevede, prenderà la sua decisione entro tre-sei mesi. Proprio questa coincidenza ha fatto ritenere a molti che la mossa del premier sia un tentativo di ammansire il general contractor.
Il pagamento del monitore ambientale
Poteva chiudersi in fretta, invece, la partita con i soggetti chiamati al monitoraggio ambientale. Non contestando quanto previsto dalla legge del 2012, avevano infatti chiesto il pagamento di 1.156.465,63 euro come indennizzo del 10% delle prestazioni effettuate (del valore di 11 milioni e mezzo).
Stretto di Messina e governo, tuttavia, hanno nicchiato e alla fine il monitore ambientale ha promosso un’azione per ottenere quanto dovuto.
A dicembre 2015 il ministero dei Trasporti ha pagato, ma la causa è rimasta in piedi perchè ora le aziende vogliono anche il pagamento degli interessi e delle spese sostenute.
I 325 milioni che la Stretto di Messina vuole dal ministero
Infine è tutta da dirimere la questione sorta tra la Stretto di Messina e lo stesso ministero dei Trasporti.
Il commissario liquidatore infatti sostiene: la legge sull’indennizzo non si deve applicare solo al general contractor e al project management consultant, ma anche alla stessa Stretto di Messina. Anche la spa ha infatti perso l’opera.
Quindi vengono chiesti al governo 325 milioni di euro per l’attività progettuale sostenuta. Denaro che, inutile dirlo, il governo non ha alcuna intenzione di pagare. Chi paga per gli espropri?
Altra questione spinosa. La costruzione del Ponte sullo Stretto ha fatto partire una serie di espropri dei terreni e degli immobili per finalità pubblica.
Ma chi pagherà ora gli indennizzi ai proprietari?
La Stretto di Messina sostiene che, con la decadenza dei vincoli dovuta alla legge Monti, lei non ha più niente a che fare con le procedure. Quindi non sosterrà passività derivanti dalle pretese avanzate relative ai vincoli degli espropri. Pagherà lo Stato? È ancora tutto in forse.
La variante di Cannitello
L’unica opera propedeutica che si è riusciti a costruire in questi anni è la cosiddetta variante di Cannitello, ovvero la predisposizione della rete ferroviaria in previsione della nascita del ponte.
I lavori sono iniziati nel 2009 e si sono conclusi nel 2012. Tuttavia l’opera era rimasta senza collaudo.
Nel novembre 2014 la Eurolink ha firmato il collaudo, ma con riserva. Ne è nata un’ulteriore discussione che, lettera dopo lettera, sembra approdata a un accordo nel 2016.
Tuttavia a oggi non si sa ancora quali saranno i costi aggiuntivi delle riserve approvate. È in corso una ricognizione.
L’opera di mascheramento della galleria artificiale e la realizzazione del lungomare di Cannitello, invece, sono stati affidati a Rete Ferroviaria Italiana.
Insomma, la società in liquidazione ormai svolge da anni un’opera di dismissione delle attività che l’avevano vista operare negli anni precedenti. E ha in piedi contenziosi e accordi in questa direzione.
Riaprire oggi tutte le procedure potrebbe non essere semplice come riaccendere un’auto rimasta ferma in garage.
Raphaà«l Zanotti
(da “La Repubblica“)
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