“VILLE, VIAGGI, ALBERGHI DI LUSSO: E LUSI NEGAVA I SOLDI PER LE ELEZIONIâ€. PARLA ANGELO ROVATI, L’EX BRACCIO DESTRO DI PRODI
“MARGHERITA E DS ATTACCATI AI RIMBORSI E LA LISTA DELL’ULIVO SALTO’”
Se non fosse che il termine, di questi tempi, ha assunto una connotazione vagamente negativa, si potrebbe dire che Angelo Rovati, 66 anni, un passato nella pallacanestro e una vita tra palazzi del potere e dell’imprenditoria, è stato a lungo «il bancomat» di Romano Prodi e delle sue sempre vittoriose (e sempre finite male) cavalcate politiche.
Un cercatore d’oro, Rovati, con il compito di ossigenare le campagne elettorali del Professore, che, non avendo alle spalle un partito e nemmeno tv, era costretto a drenare due torrenti: i privati e la politica.
Se con i primi Rovati se l’è sempre cavata egregiamente, con i partiti del centrosinistra sono spesso volati stracci quando si trattava di pecunia.
«Con Lusi ho avuto degli scontri violenti nel 2006 per far avere alla Fondazione Prodi un milione e mezzo di contributi da Ds e Margherita per la campagna elettorale delle Politiche, e adesso saltano fuori le ville, i viaggi, gli hotel…».
Aggrappati come l’edera ai loro tesoretti, i partiti.
Anche a costo di pesanti ricadute politiche: «Ma lo sa – prosegue Rovati – perchè nel 2006, in vista di elezioni politiche decisive, non si riuscì a presentare al Senato, a differenza della Camera, la lista Uniti nell’Ulivo? Per una questione di rimborsi elettorali: Margherita e Ds non volevano rinunciarvi…».
Con il rischio, puntualmente centrato, di ottenere al Senato una vittoria striminzita, anticamera di una legislatura politicamente segnata.
Rovati, che impressione le fa il caso Lusi?
«Devastante, se le accuse saranno provate. Penso agli imprenditori che si suicidano perchè non riescono a pagare i loro dipendenti e noi ora siamo qui a parlare di cosiddetti imprenditori della politica che, senza rischiare nulla, si trasformano in immobiliaristi o in tour operator. Un colpo mortale per i partiti, che pure restano i pilastri della democrazia».
Non male, però, la vita del tesoriere, vero?
(Sospiro). «Certo, se c’è chi gliela fa fare».
Ritiene possibile che Lusi abbia fatto tutto da solo?
«Conosco poco i meccanismi di controllo dei partiti, ci sono però cose che non stanno in piedi. Ad esempio, il fatto che nel 2007 la Margherita, pur essendo “in sonno”, abbia iscritto a bilancio spese elettorali per 4 milioni di euro è incomprensibile…».
Quindi?
«Quindi mi domando: ma dormivano tutti? Eppure sui soldi i partiti sono molto sensibili. Quando nel 2006 non riuscivo a ottenere dagli alleati il milione e mezzo per la Fondazione di Prodi, scrissi una lettera al Corriere della Sera , facendo infuriare mezzo centrosinistra perchè affrontavo pubblicamente un tema tabù. Firmai ironicamente la lettera: “Angelo Rovati, pseudotesoriere di Prodi”. Il giorno dopo, l’onorevole Giacchetti della Margherita mi apostrofò così: “Allo pseudo tesoriere daremo pseudo soldi…”. Ora mi chiedo, questi cosa sono? Pseudo appartamenti, pseudo viaggi o che?…».
Lusi dice che non ci sono regole scritte e che lui non doveva rendere conto a nessuno: possibile?
«Se anche fosse, non è una giustificazione per utilizzare, come lo accusano, soldi non suoi ed estranei alla ragione sociale del partito».
Eppure Parisi aveva avanzato dubbi: una voce nel deserto?«È stato l’unico a porre domande, ma senza ottenere risposte».
Anche lei, Rovati, quando faceva il tesoriere per la Fondazione di Prodi, godeva di tanta autonomia?
«Figurarsi! C’era l’obbligo di depositare il bilancio in prefettura, poi c’era il collegio sindacale e il consiglio d’amministrazione, alle cui sedute partecipava anche Romano».
Siete andati in rosso?
«No, abbiamo chiuso le elezioni 2006 con 3 milioni di contributi dai privati e un milione e mezzo dai partiti per un attivo di quasi 2 milioni».
Come se ne esce da questo scandalo?
«Faccio una proposta provocatoria: prorogare fino al 2015 la legislatura, con Napolitano come garante, per consentire al governo Monti di fare le riforme con calma e ai partiti di fare pulizia al proprio interno».
Francesco Alberti
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