Ottobre 19th, 2010 Riccardo Fucile
SONO STATE ADDOTTE RAGIONI ECONOMICHE, DETERMINATE DALLA PRESUNTA RICHIESTA DI BENIGNI, SUBITO SMENTITE DAL SUO AGENTE: “DISPOSTO AD ANDARE ANCHE GRATIS”….ANCHE “VIENI VIA CON ME” ORA DIVENTA A RISCHIO SOVVERSIONE: QUESTA CHE GOVERNA NON E’ UNA DESTRA, E’ UNA LOBBIE AFFARISTICA CHE HA PAURA DELLA SUA OMBRA… UNA DESTRA VERA NON HA TIMORE DELLE IDEE
Bufera infinita a viale Mazzini.
La Direzione Generale della Rai smentisce «nella maniera più ferma e decisa quanto contenuto in alcuni articoli apparsi sui quotidiani in merito alla trattativa relativa agli ospiti della trasmissione “Vieni via con me”».
È quanto si legge in una nota.
«Non c`è alcuno stop – spiega il Dg Mauro Masi – ma soltanto un doveroso approfondimento portato avanti dagli uffici competenti, come giusto che sia, in merito a richieste economiche per la Rai molto significative (in un caso 250 mila euro per una sola puntata). Al riguardo c’è più che il sospetto che alcune notizie vengano fatte filtrare accampando inesistenti motivazioni politiche per “forzare” la trattativa economica. Si è comunque fiduciosi nel recupero di ragionevolezza e quindi nel buon esito della trattativa stessa».
L’agente di Benigni, però, smentisce seccamente la direzione Rai.
“Roberto aveva accettato tutte le condizioni economiche per la sua partecipazione come ospite a “Vieni via con me”, e comunque ora andrebbe anche gratis al nuovo programma di e con Fabio Fazio e Roberto Saviano la cui partenza è prevista l’8 novembre in prima serata su Raitre ma che appare fortemente a rischio per il mancato via libera ai contratti”.
Lo spiega il manager del premio Oscar, Lucio Presta, sottolineando che quello pattuito era un cachet «molto al di sotto di quello abituale» per l’attore e regista, di cui all’improvviso ieri l’azienda ha chiesto una ulteriore, forte decurtazione.
Una posizione che Presta legge come «una scusa» per mettere i bastoni fra le ruote al programma.
«Quando sono andato in Rai per aprire la trattativa sulla partecipazione di Benigni a “Vieni via con me” – sottolinea Presta – per la prima volta nella mia vita non ho chiesto una cifra, ma mi sono limitato a chiedere quale fosse l’offerta dell’azienda per la presenza di Roberto. Mi è stata fatta un’offerta e io l’ho accettata subito, senza discutere. Poi ho chiesto se potevano essere conservate le clausole, diritti compresi, che abitualmente vengono inserite nei contratti per Benigni. Mi è stato risposto: ti faremo sapere. Poi mi hanno dato il via libera, fatta eccezione per i diritti su quel passaggio tv che sarebbero rimasti alla Rai. E io ho accettato ancora una volta, dando l’ok alla stipula del contratto».
Ieri pomeriggio la “sorpresa”: «Ho chiamato in Rai per sapere a che punto fosse il contratto – racconta ancora Presta – e ho riscontrato imbarazzo. Poi nel pomeriggio mi ha chiamato un importante responsabile dell’ufficio scritture per comunicarmi un’offerta pari a un decimo di quella pattuita, prendere o lasciare: una decurtazione, mi è stato spiegato, chiesta dalla direzione generale. E naturalmente ho lasciato. È chiaro però che i problemi di natura economica mi sono sembrati una scusa».
A questo punto, comunque, Benigni è disposto a intervenire gratis: «Lo ha detto lui stesso ieri sera a Saviano», conclude Presta.
Il finiano Filippo Rossi, direttore di Ffwebmagazine, ricorda i casi Boffo, sottolinea il “massacro mediatico” di Fini. Poi arriva ad Annozero di Michele Santoro.
“Adesso stanno cercando di togliere l’ossigeno alla trasmissione di Roberto Saviano. Non sopportano chi spariglia le carte, non sopportano chi vuole ragionare senza obbedire. Non sopportano che vuole raccontare il paese che è e non per quello che vorrebbero loro. Non sopportano la complessità ” attacca Rossi.
Il duopolio forzaleghista che governa il Paese non rappresenta ormai nulla di destra: è ridotto a una lobbie affaristica che vive sul ricatto reciproco.
Potere e poltrone in cambio dell’impunità : su queste corde si regge un’alleanza spuria che osa ancora richiamare i prinicipi liberali della tolleranza.
Ma quale libertà , ma quale pluralismo?
Siamo di fronte al peggiore e più maldestro tentativo di censurare il dissenso della seconda Repubblica (la prima in questo è stata maestra).
Una destra vera è orgogliosa delle proprie idee, cerca il confronto e il dibattito, non usa la censura illiberale.
Non fa dossieraggio e killeraggio mediatico costante sul nemico di turno, su chi dissente, sulle voci libere del nostro Paese.
E se questo volesse anche dire dare più spazio alle tesi di sinistra ben vengano: le sfide si accettano sulla qualità del prodotto e sulla validità delle proprie tesi.
Se questi servi censori avessero mai partecipato a qualche assemblea studentesca negli anni di piombo, avrebbero capito cosa vuol dire parlare quando il rapporto è di 1 a 100 e si rischiava la pelle.
Proprio perchè siamo stati tra quegli “uno”, non vogliamo più che accadano situazioni del genere, anche se il rapporto fosse invertito a nostro vantaggio.
Tutti devono avere il diritto di esprimersi, spetta a noi giocare la partita e cercare di portare a casa la vittoria, contando solo sulle nostre qualità .
Non vogliamo vincere, con arbitri comprati, delle partite taroccate.
Vogliamo convincere gli interlocutori, non seppellerli con due palate di terra.
Lo hanno fatto loro in passato? Non ce ne frega un cazzo.
Noi siamo diversi e dobbiamo dimostrarlo coi fatti.
E’ cosi che si cresce tutti.
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Ottobre 19th, 2010 Riccardo Fucile
A GUARDARE GLI SCHERANI DI BERLUSCONI, LI VEDI TERRORIZZATI DALLE VOCI ALTERNATIVE…UN POTERE IMBOLSITO, INCATTIVITO, RABBIOSO…CHI NON OSANNA IL PALAZZO E VUOLE ESERCITARE IL DIRITTO DI PAROLA DIVENTA UN NEMICO DA ELIMINARE, UN UNTORE PORTATORE DELL’ATROCE MALATTIA DEL LIBERO PENSIERO
Un sistema di potere chiuso dentro un bunker: imbolsito, incattivito, rabbioso. Ecco, così sono diventati, forse senza rendersene conto, gli uomini più vicini al premier, i suoi avvocati, i suoi portavoce, i suoi caporali di giornata.
Una corte dei miracoli che cerca disperatamente di salvaguardare privilegi conquistati con anni e anni di assoluta fedeltà al sovrano, di reiterati signorsì al capo supremo.
Un potere in affanno che continua a raccontarsi (e raccontare) la favola del consenso senza guardare in faccia la realtà di un paese che gli sta voltando le spalle: stufo, inorridito, stupito.
Un potere impaurito dal mondo, dalla vita, dai colori, dalla verità , che azzanna chiunque possa disturbare la sua triste decadenza.
Che vede chiunque non osanni il palazzo, chiunque voglia esercitare il diritto di parola come un nemico assoluto, come un nemico da eliminare, come un untore che porta l’atroce malattia del libero pensiero, dello spirito critico.
E così può succedere di vedere attacchi preventivi a inchieste giornalistiche, in nome di un’insindacabilità considerata ormai come scudo assoluto, come salvacondotto per ogni comportamento, ogni errore, ogni distorsione.
Perchè il rapporto con l’informazione è la punta di un’iceberg, è la cartina di tornasole di come un potere vive se stesso e il suo rapporto col mondo esterno.
Ecco, a guardare in faccia gli scherani di Silvio Berlusconi li vedi terrorizzati da qualsiasi voce alternativa, da qualsiasi possibile crepa di un bunker sempre più buio, sempre più scomodo. Sempre più debole.
E allora hanno attaccato qualsiasi nemico potesse dar fastidio al manovratore.
Hanno attaccato il direttore dell’Avvenire Boffo.
Hanno cercato di massacrare mediaticamente Gianfranco Fini.
Hanno cercato di chiudere Annozero di Michele Santoro.
Adesso stanno cercando di togliere l’ossigeno alla trasmissione di Roberto Saviano.
Non sopportano chi spariglia le carte, non sopportano chi vuole ragionare senza obbedire.
Non sopportano che vuole raccontare il paese che è e non per quello che vorrebbero loro.
Non sopportano la complessità .
Una strategia suicida che li rinchiude sempre più dentro il loro bunker del pensiero.
Perchè il terrore porta all’estremismo, porta alla propaganda senza contenuti, porta ad appaltare il governo del paese a forze che in qualsiasi paese democratico occidentale non potrebbero entrare nella stanza dei bottoni. Perchè la paura porta ad affidarsi alle guardie del corpo, ai picchiatori e ai manganellatori.
Agli uomini di poco cervello e molta azione, a chi sa urlare, a chi non guarda in faccia a nessuno.
Perchè è il loro lavoro, perchè li pagano per questo.
Per restringere ogni spazio di libertà e trasformare tutta l’Italia in un bunker.
Il loro amatissimo bunker.
L’unico che può ancora garantire un sistema di potere che riesca a nascondere la meravigliosa verità di questi mesi: qua, fuori dal bunker, c’è un altro modo di pensare il nostro paese.
Filippo Rossi
Farefuturoweb
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Ottobre 19th, 2010 Riccardo Fucile
IL NOSTRO GOVERNO HA ADERITO ALLA LOTTA INTERNAZIONALE CONTRO I PARADISI FISCALI, DEFINITI DA TREMONTI “CAVERNE DI ALI BABA’ DOVE I QUARANTA LADRONI SI SPARTISCONO IL BOTTINO”….E’ OPPORTUNO CHE UN PRESIDENTE DEL CONSIGLIO INVESTA IN UNO DI QUESTI PAESI?
La globalizzazione ha abbattuto in tutto il mondo il tabù della libera circolazione dei capitali.
Figurarsi perciò se l’Italia può impedire ai suoi cittadini di comprare ville ai Caraibi.
Chi la governa ha però il dovere di verificare che gli investimenti siano fatti nel rispetto delle regole.
Quasi sempre, tuttavia, è impossibile.
Anche se quei Paesi hanno sottoscritto protocolli e accordi internazionali, poi concretamente non li applicano.
Così, al riparo dei segreti bancari e delle società anonime continuano a essere un comodo rifugio per chi non paga le tasse o peggio. Si chiamano infatti paradisi fiscali.
E giustamente il governo italiano li combatte con determinazione, al fianco di tutti gli altri Stati occidentali.
Consapevole che si tratta di una battaglia planetaria per la civiltà .
In un Paese con il record di evasione e dove la propensione all’esportazione illegale di denari non si è purtroppo fermata negli ultimi anni, come dimostra il «successo» dell’ultimo scudo fiscale, questo è un nervo scoperto.
Sul quale il servizio di Report, la trasmissione di Milena Gabanelli andata in onda domenica sera, e prima ancora l’inchiesta di Luigi Ferrarella pubblicata su questo giornale, hanno avuto il merito di accendere un faro.
Da qualche tempo ad Antigua, isola inserita dall’Ocse nella «lista grigia» dei paradisi fiscali, alcuni italiani stanno facendo grandi affari immobiliari.
E li stanno facendo attraverso una società , la Flat point, con filiale a Torino ma sede legale in quel piccolo Stato, per la quale a quanto pare è impossibile risalire alla reale proprietà , nonostante fra chi la gestisce ci siano soggetti chiaramente di nazionalità italiana.
Intendiamoci, il problema dei paradisi fiscali va ben oltre i confini angusti di un’isoletta caraibica.
Per dire quanto sia complicato affrontarlo e risolverlo, esistono piccole sacche «paradisiache» anche a due passi da casa nostra e perfino all’interno delle nazioni più impegnate in questa battaglia: molte società di comodo di Calisto Tanzi avevano sede nello Stato americano del Delaware, dove il codice è particolarmente «flessibile».
Dunque è chiaro che la battaglia richiede innanzitutto grande impegno da parte delle classi politiche.
E qui una riflessione è d’obbligo.
Fra i cittadini italiani che hanno investito nell’isola dei Caraibi c’è pure il nostro presidente del Consiglio: si parla di una somma superiore a 20 milioni di euro. Con i governanti di quel Paese, peraltro, Silvio Berlusconi aveva anche intrattenuto rapporti politici, se è vero che cinque anni fa si sarebbe speso per far ottenere in sede internazionale ad Antigua e Barbuda uno sconto del debito estero.
Il suo avvocato Niccolò Ghedini ha ricordato che i terreni comprati dal premier ai Caraibi sono stati pagati con regolare bonifico e figurano nella dichiarazione dei redditi.
Aggiungendo che «l’immobile è intestato regolarmente a Berlusconi e non già a fantomatiche società off shore. E con regolari fatture assistite da stati di avanzamento lavori sono stati pagati i lavori di costruzione e arredo».
Fatture presumibilmente emesse dalla stessa Flat point… Elemento che ha indotto Milena Gabanelli a sollevare la questione dell’«opacità » tanto contestata da Ghedini.
Ma qui non è in discussione la regolarità delle fatture.
Perchè si dà il caso che il Paese dove Berlusconi ha investito tutti quei soldi sia uno di quelli paragonati un giorno dal suo ministro dell’Economia alla «Caverna di Alì Babà », dove i Quaranta ladroni nascondevano il bottino.
E alla luce del gravoso impegno internazionale che Tremonti ha assunto nella lotta ai paradisi fiscali, quell’investimento si può considerare opportuno?
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Ottobre 19th, 2010 Riccardo Fucile
IN UNA INTERVISTA A “REPUBBLICA” LA VERSIONE DI FRANCO SERVELLO, SEGRETARIO DI MILANO DEL MSI DEGLI ANNI ’70…”IL DOPPIO GIOCO DEI CARABINIERI PORTO’ ALL’UCCISIONE DI GIANCARLO ESPOSTI”…”ACUIRE LA TENSIONE TRA DESTRA E SINISTRA ERA LA STRATEGIA DELLA DC PER MANTENERE IL POTERE”
“Avevo sempre avuto l’impressione che i servizi segreti, e anche i carabinieri, seguissero ogni nostro movimento. E che cercassero contatti non sempre corretti per sollecitare l’attività dei nostri giovani che individuavano nella mia persona (e anche nel partito di allora), un elemento di conservazione rispetto ai progetti rivoluzionari che loro sognavano”.
Franco Servello, 89 anni, già federale milanese dell’Msi negli anni Settanta (“Mio zio, il giornalista Franco De Agazio, fu ucciso dalla “volante rossa” il 14 marzo ’47 mentre dalle colonne del Meridiano d’Italia stava conducendo un’inchiesta sulla sparizione dell’oro di Dongo e sulla fucilazione di Mussolini e Claretta Petacci), avvalora quanto contenuto nelle veline del Sid inviate a Moro alla fine degli anni Sessanta.
Sì, conferma Servello, “anche l’Msi era spiato dagli 007”.
“Quando mi accorsi che i carabinieri tentarono di infiltrarsi tra di noi – ricorda – chiesi dei chiarimenti al servizio investigativo dell’Arma. Li sollecitai a smetterla con quel doppio gioco che facevano. Ero talmente esasperato che mandai una lettera di protesta al comandante generale della Lombardia”. Quel doppio gioco, secondo Servello, “costò la vita a Giancarlo Esposti, un giovane molto sognatore del nostro ambiente”.
Era il 1974.
Violenze e aggressioni e culminarono il 28 maggio con la strage di Brescia di piazza della Loggia.
Due giorni dopo, a Rieti, a Pian del Rascino fu scoperto un campo paramilitare (secondo la versione ufficiale)
Un drammatico conflitto a fuoco si svolse tra fascisti e carabinieri.
Rimase ucciso un giovane di Avanguardia Nazionale, Giancarlo Esposti.
“Fui io a cacciare dal partito quel giovane, Esposti – racconta oggi l’ex federale Msi di Milano – quando mi accorsi che era un elemento di quelli a contatto con l’ambiente dei carabinieri o dei servizi. Ed era stato in un certo senso convinto che scattasse prima o poi una specie di rivoluzione nell’ambito delle istituzioni”.
Il gioco degli 007 allora era “era di mettere la destra contro la sinistra in maniera che prevalesse la scelta politica democristiana. Ci sono riusciti in molte situazioni estremamente difficili perchè era facile stimolare i giovani sul terreno rivoluzionario. Ma io ero quello che li frenava e cercava di salvarli, anche se non sempre mi hanno ascoltato tanto che qualcuno ci ha rimesso la vita”.
Noi dell’Msi “eravamo esposti a tutti i venti e le procelle perchè avevamo contro la magistratura, i servizi e la stampa. Non era facile sopravvivere a quegli eventi. Io me la cavai brillantemente perchè rimasi sempre fuori da tutte le trame”.
Alberto Custodero
(da “la Repubblica“)
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Ottobre 19th, 2010 Riccardo Fucile
TRE DOCUMENTI INEDITI INDIRIZZATI A MORO E TROVATI DELL’ARCHIVIO CENTRALE DI STATO DOCUMENTANO L’ATTIVITA’ DI SPIONAGGIO DEL SID NEI CONFRONTI DEI DUE PARTITI…I SERVIZI ANCOR OGGI SVOLGONO LA STESSA ATTIVITA’? IL CASO DEL PEDINAMENTO DI BOCCHINO E LE DOMANDE DEL COPASIR DI D’ALEMA… LA DEMOCRAZIA DEI DOSSIERAGGI E’ NATA NEL 1946: A QUANDO LA VERITA’ SULLE STRAGI?
I servizi segreti spiavano il Pci e l’Msi.
Le prime prove documentali spuntano dalle carte di Aldo Moro conservate all’Archivio centrale dello Stato di Roma.
Sono tre documenti inediti con la classifica di “segreto” datati 19 giugno ’67, 5 maggio ’69 e 3 marzo ’70 giudicati di grande interesse storico sia da Armando Cossutta, esponente di spicco dell’Ex Pci, sia dall’ex senatore An Franco Servello, ex federale del Movimento sociale a Milano.
In quel periodo il servizio segreto era unico, si chiamava Sid (fondato sulle ceneri del Sifar dopo lo scandalo De Lorenzo), era diretto dall’ammiraglio di squadra Eugenio Henke.
E spiava con regolarità comunisti e missini.
Queste tre “veline” confermano i sospetti dell’attuale presidente del Copasir, Massimo D’Alema, sollevati di recente durante l’audizione del direttore del servizio segreto militare Aise, generale Adriano Santini, sull’attività spionistica dell’intelligence rivolta alla politica.
Al generale Santini, D’Alema ha chiesto se i servizi svolgano ancora oggi attività di spionaggio nei confronti di partiti o di politici.
La questione è diventata di stringente attualità alla luce della denuncia pubblica fatta dal capogruppo Fli alla Camera, Italo Bocchino, di essere stato pedinato in primavera dal controspionaggio dell’Aise nella centralissima piazza romana di San Silvestro.
Ma altre presunte attività di spionaggio sarebbero avvenute – tra conferme e smentite – nei confronti di numerosi politici.
Durante l’audizione del generale Santini, il presidente del Copasir lo ha invitato ad interrompere, se in corso, ogni attività di “sorveglianza” nei confronti di esponenti di partiti.
“Dalla mia esperienza politica passata – aveva detto al direttore dell’Aise D’Alema, alludendo al suo trascorso nel Partito comunista – so che attività di spionaggio avvenivano nei confronti del Partito comunista. Sappia quindi che oggi, se ci fosse qualcosa che non va nei servizi, me ne accorgerei”.
Le prove dei sospetti di D’Alema, almeno per quanto riguarda l’intelligence tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, riemergono ora dal passato fra le carte dell’archivio dell’esponente democristiano rapito e ucciso dalle Brigate Rosse.
La prima “velina” è datata 19 giugno 1967 e fu consegnata dall’ammiraglio Henke a Moro allora presidente del Consiglio nel suo terzo esecutivo di centro-sinistra.
Il Sid, stando a quelle carte, monitorava “l’azione propagandistica dell’estrema sinistra e dell’estrema destra che ha colto spunti offerti da episodi scandalistici per creare fermenti e correnti di opinione contro le pubbliche istituzioni”.
A proposito del Pci, il Sid scriveva che “in tempo di pace tende ad acquisire il controllo delle masse attraverso una costante alimentazione dell’odio di classe, e attivizzando le organizzazioni di base politiche e sindacali per raggiungere una piattaforma comune per l’azione insurrezionale”.
“In tempo di guerra”, si legge ancora nell’appunto segreto, il Partito comunista mira a “realizzare l’immediato condizionamento psicologico della Nazione e del Governo contro un conflitto armato attraverso l’esasperazione della piazza e, quindi, la strumentalizzazione dei moti popolari per conquistare il potere o, in caso di impossibilità , per iniziare la guerriglia”.
Gli 007 conoscono tutto dell’organizzazione territoriale del Pci. Sanno che può contare su “organismi fiancheggiatori quali l’Anpi”, che “si avvale del supporto della Cgil”, che ha la sua forza maggiore “nelle Regioni rosse”.
Quantificano il suo bilancio annuale in “15 miliardi” di vecchie lire.
Ma soprattutto sono al corrente che all’interno del partito “esiste un apparato clandestino dei quadri predesignati a sostituire gli organi centrali in caso di emergenza con compiti politico-militari”.
Una sorta di servizio segreto del Pci che – scrive il Sid a Moro – “può inquadrare non meno di 300 mila unità tratte dalle leve più giovani degli iscritti e godere dell’appoggio degli altri militanti nell’attività eversiva”.
Tutti fatti, questi, confermati da Armando Cossutta, allora responsabile proprio di quel “servizio d’ordine clandestino del Pci”.
Ma i servizi di Henke spiavano anche a destra. In particolare, l’Msi di Giorgio Almirante.
Che, però, non destava allarme “ai fini di una seria azione eversiva, sia per la scarsa consistenza numerica, sia per le finalità nazionali che si propongono nonchè per l’attuale assenza di legami con potenze straniere”.
“L’Msi – è l’analisi del Sid – rilanciando tematiche ispirate a ideologie nazionaliste, ha potuto raccogliere oltre ai superstiti quadri del fascismo, qualche migliaio di giovani influenzati da possibilità di controbattere il comunismo”.
Anche dell’Msi gli 007 conoscono tutti i segreti.
Una curiosità : fra le organizzazioni giovanili come l’Asan-Giovane Italia e il Fuan, il Sid segnala pure “i Volontari Nazionali, utilizzati sporadicamente in compiti di vigilanza interna”.
La “velina” si concludeva con una chiosa politica tutta filogovernativa.
“Oggi – scriveva il Sid – non sussistono le premesse che facciano ritenere possibile un grave attentato alla sicurezza dello Stato. Peraltro un evento di pericolo si potrebbe determinare in conseguenza di un mutamento delle presenti condizioni di equilibrio interno, sostenuto dalla formula di centrosinistra in atto”.
Il secondo documento è del 5 maggio 1969 e arriva a Moro nonostante in quel periodo non avesse incarichi: era stato messo in minoranza nella Dc dopo la fine dell’esperimento del centro-sinistra organico.
E dopo le elezioni del 1968 che avevano sancito una consistente diminuzione di suffragi per i partiti della coalizione.
Ma l’esponente Dc seguiva attraverso le “veline” degli 007 ogni passo dei comunisti, visto che cominciava a pensare all’allargamento al Pci, la cosiddetta “strategia dell’attenzione”.
Di lì a poco (il 5 agosto 1969), sarebbe rientrato nel governo come ministro degli Esteri nel secondo gabinetto Rumor e avrebbe conservato quella carica quasi ininterrottamente fino al novembre 1974.
“Erano quelli – ricorda Cossutta – anni dal tintinnar di sciabole surriscaldati dalla strage di Piazza Fontana, dal tentato attentato a Rumor davanti alla Questura di Milano. E dallo scoppiare della guerra del Vietnam con le maninfestazioni e i cortei antiamericani a Roma”.
E il Sid di Henke che faceva?
Il 5 maggio ’69 un appunto intitolato “la costituzione di Brigate capeggiate da ex comandanti partigiani” svelava a Moro che “il Pci, d’intesa con i comunisti dell’Anpi”, avrebbe deciso di costituire gruppi segreti nell’ambito delle sezioni del partito delle principali città del Nord.
Queste “Brigate composte di 20-30 elementi di assoluta fiducia” avevano il compito di assicurare “il servizio d’ordine in occasione di manifestazioni del Pci”. “La difesa delle sedi del partito comunista da attacchi condotti da elementi di estrema destra”.
“Eventuali azioni contro sedi di partiti e gruppi di attivisti di estrema destra”. E “azioni contro le forze di polizia e le Forze Armate nel caso di interventi in ordine pubblico ritenuti eccessivi”.
“Queste Brigate – aggiungeva il Sid – dovrebbero rappresentare i primi nuclei intorno ai quali verrebbero rapidamente costituiti più grossi reparti per reagire a un eventuale “colpo di Stato” concordato tra le FF. AA. e le correnti di destra dei partiti di Governo”.
Il terzo documento è un appunto telegrafico del 3 marzo 1970 e fa riferimento a una spia interna al partito comunista.
“Fonte fiduciaria solitamente attendibile – così il Sid avvertiva Moro – riferisce che la Direzione Centrale del Pci, in coincidenza della rinuncia dell’incarico dell’onorevole Rumor, ha disposto il piantonamento delle sedi regionali, provinciali e di zona del partito, per tutto il periodo della durata della crisi governativa. Ha inoltre chiesto la segnalazione della presenza, fuori ordinaria residenza, di ufficiali dei carabinieri e della Ps”.
Il Pci temeva un colpo di Stato, ma i servizi segreti spiavano ogni loro mossa. E Moro sapeva tutto.
Alberto Custodero
(da “la Repubblica“)
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Ottobre 19th, 2010 Riccardo Fucile
COTA RISCHIA DI PERDERE LA POLTRONA DA GOVERNATORE PER IL RICONTEGGIO DEI VOTI: FORSE E’ SEMPRE A ROMA PER ABITUARSI E NON FARSI FREGARE UNA FUTURA POLTRONA… HA PURE ALLESTITO UNA SEDE DISTACCATA DELLA REGIONE PIEMONTE A DUE PASSI DAL SENATO…IN COMPENSO HA PARTECIPATO A 15 TRASMISSIONI TELEVISIVE SU PROBLEMI NAZIONALI
Le ultime notizie non sono buone, non tanto per la democrazia evocata da Bossi, quanto per il governatore Cota: anche le schede di Torino, dopo quelle del resto del Piemonte, premiano la speranza della Bresso di ribaltare il risultato delle regionali.
Nelle 850 sezioni torinesi riconteggiate finora, su un totale di 2.318, nell’ 80% dei casi manca il voto “diretto” a Roberto Cota.
Quindi quei voti saranno sottratti dal Tar a quelli ottenuti a marzo e il vantaggio di 9.372 voti che Cota poteva vantare sulla Bresso è destinato ad evaporare.
Se il trend rimanesse questo, la Bresso potrebbe vincere con oltre 2.000 voti di margine.
Sull’esito del riconteggio, il Tar dovrebbe deliberare il 4 novembre (salvo rinvio), annullando le elezioni e riportando il Piemonte al voto, oppure restaurando la zarina in Piazza Castello.
Ma se anche il Consiglio di Stato, su istanza di Cota, cambiasse i termini di valutazione delle 15.000 schede esaminate, Cota non avrebbe scampo sulle 27.000 della lista tarocco dei Pensionati, dati a una lista “inesistente” e per la quale si sta procedendo penalmente nei confronti di Michele Giovine, reo di aver presentato firme false persino dei candidati.
Il rischio (e la quasi certezza) è che queste 27.000 schede vengano tutte dichiarate annullate, in quanto la lista non aveva titolo a presentarsi.
Qualcuno si pone il quesito: Cota è vittima o no di un attentato alla democrazia?
Diciamo subito che ha vinto per 9372 voti, usufruendo di 4 liste tarocco che hanno portato 42.000 voti.
La cronaca racconta che i “Verdi verdi” e la lista dei “Pensionati” avevano offerto i loro servigi anche alla Bresso che ha avuto l’intelligenza di rifiutare, mentre Cota li ha utilizzati.
E che altre due liste pro Cota, “Al centro con Scanderebech” e “Consumatori per Cota” dovevano raccogliere le firme e non l’hanno fatto, quindi anch’esse sono state dichiarate irregolari.
I maligni dicono che Cota si sia stia in ogni caso organizzando.
Dal 3 maggio ad oggi, su 36 sedute del Consiglio regionale del Piemonte ha partecipato solo a 8, disertando tutte le riunioni di commissione e dando occasione all’opposizione di polemizzare, issando sulla solita sedia vuota del governatore una sua gigantografia.
Cota è sicuramente apparso più spesso in Tv che in Regione, in ben 15 trasmissione televisive dove ha parlato non del Piemonte, ma di problemi nazionali.
E soprattutto viene avvistato ormai spesso a Roma: era presente persino al famoso pranzo della riconciliazione con la Capitale, sempre accanto a Bossi tra un rigatone e un altro.
Persino la nuova sede distaccata della Regione Piemonte l’ha voluta a due passi da Palazzo Madama.
Che sia per sorvegliare che i suoi colleghi di partito non lo lascino col culo per terra, qualora perdesse la carica di governatore?
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