Ottobre 12th, 2010 Riccardo Fucile
LEGA AL 13,8%, UDC AL 6%, IDV AL 5,2%, SINISTRA E LIBERTA’ AL 3,8%, GRILLINI AL 3%… NELL’ULTIMA SETTIMANA L’INCREMENTO MAGGIORE E’ PER I FINIANI E IL PD…ASTENSIONE AL 40%
Il consueto aggiornamento settimanale del sondaggio di Crespi Ricerche, rivela alcuni trend significativi nella posizione dei vari partiti.
Per quanto riguarda il Pdl, si scende al 28,2% (- 0,3% rispetto a una settimana fa, – 5,6% in sei mesi).
La Lega è al 13,8% (+0,3% rispetto a una settimana fa, stessa percentuale in primavera).
Futuro e Libertà sale ancora e dal 7,6% di una settimana fa arriva all’8% (segnaliamo che un sondaggio de La7 lo dà addirittura all’8,7%).
Era sceso a luglio al 5% in seguito ai dossieraggi, ora gli italiani hanno compreso tante cose e il dato è in costante risalita, a differenza dei mandanti dell’operazione.
Stabili Udc (6%) e Alleanza per l’Italia di Rutelli (0,5%), rispetto alla scorsa settimana.
Avanza invece il Pd che dal 24,2% arriva al 25%, mentre scendono Idv (dal 5,5% al 5,2%) , Sinistra e Liberta (dal 4% al 3,8%) e Grillini (dal 3,4% al 3%)
Scende la Destra (dal 3% al 2,8%).
Stabili Rifondazione (1%) , Pannella (1%) e Verdi (0,5%).
Il partito dell’astensione è sempre al 40%
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Ottobre 12th, 2010 Riccardo Fucile
NEL CURRICULUM CHE L’ATTUALE SOTTOSEGRETARIO HA PRESENTATO NEL 2008 IN REGIONE, PER ENTRARE IN UN ORGANISMO A GETTONE, BELSITO SOSTIENE DI ESSERE LAUREATO IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE… NON POTEVA SCRIVERLO VISTO CHE TALE LAUREA E’ PRIVATA, OTTENUTA A MALTA E NON RICONOSCIUTA IN ITALIA, PER SUA STESSA AMMISSIONE.. SOSTIENE DI CONOSCERE SOLO IL FRANCESE E AVREBBE PRESO UNA LAUREA IN INGHILTERRA… SI DEFINISCE TRIBUTARISTA E ISCRITTO ALLA LAPET, DOVE PERO’ BASTA ESSERE DIPLOMATI
Abbiamo lasciato passare qualche giorno dal nostro ultimo approfondimento sul caso “laurea fantasma” del sottosegretario leghista Francesco Belsito, confidando che l’esponente del Carroccio, segretario amministrativo federale, presentasse alla stampa la sua laurea in Scienze politiche, titolo di studio da lui indicato sul sito del Governo.
Probabilmente il sottosegretario, preso com’è dal compito “di far uscire l’Italia dalla crisi”, non avrà avuto tempo per cercarla nella sua polverosa soffitta.
Nel frattempo abbiamo avuto modo di verificare quanto segue: il 10 marzo 2008 il capogruppo della Lega Nord Liguria, Francesco Bruzzone, scrive al presidente della 1 Commissione della Regione Liguria, in merito alla sostituzione di un consigliere di amministrazione della Filse, la finanziaria regionale, allegando il curriculum vitae del candidato dott. Francesco Belsito.
Il curriculum, oltre i soliti dati anagrafici, indica Belsito in possesso, come titolo di studio, di “laurea in scienze della comunicazione”.
Il consigliere dell’Udc Limoncini, a settembre 2010, rivolge una interrogazione scritta al Presidente della Regione Liguria ponendo una semplice domanda: come mai, nel sito ufficiale del governo, Belsito si definisce “laureato in scienze politiche”, mentre nel 2008 indicava una laurea in materia diversa?
La questione finisce sulla stampa cittadina e il sottosegretario dà questa spiegazione: la laurea in Scienze della comunicazione in realtà era una laurea privata, ottenuta a Malta e non riconosciuta in Italia.
Se ne deduce che, non precisando quanto sopra, abbia scritto una cosa non vera.
Sempre Belsito sostiene che successivamente avrebbe invece conseguito, presso una Università inglese non precisata, una laurea in scienze politiche, riconosciuta in Italia.
E si rifiuta di fornire ulteriori dettagli.
Da una ricerca da noi effettuata, circa il riconoscimento di laurea ottenuta all’estero da parte di un cittadino italiano, emerge che occorre seguire una prassi piuttosto complessa che comporta sia l’intervento del consolato italiano del Paese dove ci si sarebbe laureati, sia l’apertura di una pratica da parte di una università italiana per l’attestazione del riconoscimento sulla base del programma seguito, degli esami sostenuti e dei documenti prodotti.
Mentre è certo che, all’Università di Genova, Francesco Belsito figura come “carriera univ. cancellata”.
Ma torniamo al curriculum presentato in Regione nel 2008.
Alla voce “lingue conosciute”, Belsito parla solo di “buona conoscenza della lingua francese”.
Per uno che di lì a breve si sarebbe laureato presso un’Università inglese ci sembra una risposta un po’ carente.
Come fa a laurearsi in Inghilterra uno che non conosce neanche la ,lingua inglese?
Misteri padani.
Andiamo avanti: nel curriculum c’è un concetto che farebbe pensare, per come è indicato, che laureato lo sia.
Si dichiara infatti “iscritto, in qualità di Tributarista, alla LAPET, libera associazione periti ed esperti tributari” con relativo numero di matricola.
Ma se si va a vedere cosa sia questa Lapet le cose stanno diversamente. Riportiamo dal regolamento della associazione:
L’associato è colui che svolge l’attività professionale in maniera autonoma con partita Iva, in forma associata o in qualità di dipendente/collaboratore di studio. L’iscrizione comporta l’obbligo di frequentare i corsi di formazione organizzati e gestiti dall’Associazione.
L’iscrizione alla Lapet può avvenire per titoli o per esami.
Per titoli se si è iscritti ad Albi, ruoli o elenchi professionali o se si è stati dipendenti dell’Amministrazione finanziaria o della GdF per almeno 10 anni con mansioni direttive.
Per esame sostenendo una prova scritta a quiz ed essendo in possesso di diploma di istruzione di secondo grado di durata quinquennale o di laurea specialistica.
Occorre inoltre aver svolto per almeno due anni praticantato presso studi professionali.
In pratica basta quindi avere un diploma di secondo grado, seguire i corsi di 24 ore annuali e sostenere alla fine un esame interno per poter essere iscritti alla Lapet.
E’ quanto, fino al 2008, Belsito poteva indicare nel suo curriculum, nulla di più, oltre a segnalare un paio di master cui avrebbe partecipato, senza peraltro precisare quali, dove, come e quando.
Nulla che dimostri di aver ottenuto quella laurea di cui fa sfoggio sul sito del governo italiano e che continua a non mostrare.
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Ottobre 12th, 2010 Riccardo Fucile
TRENTENNE, DINAMICA E MONDANA: QUASI UNA FIRST LADY… MENTRE MARONI E’ FINITO INQUISITO PER AVER PERCEPITO 60.000 EURO DALLA MYTHOS PER “CONSULENZE ORALI”, ISABELLA VOTINO PRENDEVA 14.000 EURO PER CONSULENZE NELL’ORGANIZZARE FESTE: COME QUELLA DEL SUO COMPLEANNO?
Prima di lei solo un’altra donna era stata così potente nelle austere stanze sabaude del Viminale: Rosa Russo Iervolino.
Ma a parte la comune origine campana, nulla unisce le due primedonne del ministero degli Interni.
Isabella Votino è giovane, mondana e dinamicissima.
Molto più di una portavoce, accompagna Roberto Maroni nella vita pubblica e sempre più spesso in quella privata.
Trent’anni, laurea in legge, Isabella è sbarcata in Parlamento dalla natia Montesarchio, nel cuore del Sannio, cinque anni fa.
Lì ha conquistato il deputato varesino, capogruppo padano durante l’opposizione a Prodi, che gli ha affidato i rapporti con i media.
Una collaborazione molto stretta, finita nel mirino dei paparazzi con una raffica di scatti notturni che ha spinto Maroni a gridare al complotto: “Hanno tirato fuori il mio nome per attenuare il polverone Sircana”.
Ma in questa stagione decadente il gossip è politica.
E sul “Corriere” l’esponente padano più noto dopo Bossi replica alle voci che lo vogliono “condizionato dalla sua portavoce”:
“Stupidaggini, fesserie, porcherie. Pettegolezzi messi in giro per ripicca da chi sperava di controllare la Lega. Non si capisce perchè i portavoce debbano essere uomini e se invece sono donne, e per di più graziose, diventano subito “curatrici d’immagine””.
Isabella in fatto d’immagine si è rivelata una maestra.
Nell’ottobre 2007 il suo compleanno, festeggiato in una dimora patrizia di fronte a Palazzo Chigi, diventa la platea in cui Silvio Berlusconi vagheggia l’imminente riconquista del potere.
Pochi mesi dopo il centrodestra è di nuovo al governo. Maroni torna al Viminale e la Votino diventa quasi una first lady, ossequiata dalle massime autorità .
Così nel 2009 celebra i suoi trent’anni nel glamour del Cavalli Just Cafè di Milano, con dj Francesco alla console, Simona Ventura a condurre le danze e un parterre di industriali, onorevoli, star e grand commis.
Un ambiente più da salotti buoni che da prato di Pontida.
Fino all’incidente della consulenza festaiola con la Mythos che la unisce stranamente alla consulenza orale di Bobo nella stessa inchiesta.
(da l’Espresso)
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Ottobre 12th, 2010 Riccardo Fucile
IL COORDINATORE DEL PDL E FUSI ERANO IN SOCIETA’ FINO AL 2007, FONDAMENTALE LA RACCOMANDAZIONE DI VERDINI PER GLI APPALTI IN ABRUZZO… DALL’INFORMATIVA DEI ROS EMERGE CHE VERDINI HA MENTITO DAVANTI AI MAGISTRATI DI FIRENZE
Il coordinatore del Pdl Denis Verdini «ha avuto rapporti societari con l’imprenditore Riccardo Fusi fino alla fine di giugno 2007» e lo ha raccomandato facendogli ottenere quattro appalti per la ricostruzione del dopo terremoto a L’Aquila.
Dunque «ha mentito quando ha sostenuto di fronte ai pubblici ministeri di Firenze che questi rapporti erano terminati nel 1995-1996».
È quanto emerge dall’informativa del Ros consegnata ai vertici della Procura abruzzese che indaga sui lavori assegnati dopo il sisma del 6 aprile 2009.
Un duro atto d’accusa che ha convinto il procuratore Alfredo Rossini a convocarli entrambi per il 18 ottobre.
Nell’avviso a comparire viene specificato che Verdini e Fusi dovranno essere ascoltati come indagati di «abuso d’ufficio in concorso con Ettore Barattelli, il presidente del Consorzio Federico II», del quale fa parte appunto la “Btp” di Fusi.
Verdini, in particolare, è sospettato di aver «abusato della sua funzione di membro della Camera dei deputati».
Con la notifica del provvedimento, l’inchiesta entra dunque in una fase cruciale e si concentra sulle procedure di aggiudicazione.
Anche perchè fu lo stesso Verdini a sottolineare durante il suo interrogatorio del 15 febbraio scorso: «Ho accompagnato Fusi insieme al presidente della Banca dell’Aquila e ad un consorzio dal dottor Letta per raccomandargli la possibilità di lavorare: questo è avvenuto… Siccome Letta è dell’Aquila ed era molto interessato alle cose, io ho accompagnato loro da Letta. C’è stata una riunione però sulla questione dei lavori Letta già lì rispose: “Parlerò, vedrò, però c’è questa tendenza alla ricostruzione, attraverso la Protezione Civile”».
Gli accertamenti vengono avviati nella primavera scorsa, quando i magistrati toscani che indagano sugli appalti dei «Grandi Eventi» trasmettono ai colleghi dell’Aquila copia delle intercettazioni telefoniche nelle quali si parla degli affari da concludere in Abruzzo.
Si decide così di concentrarsi sulle commesse ottenute dal Federico II, associazione d’imprese che fu creata dopo una riunione avvenuta il 12 maggio a Palazzo Chigi e presieduta da Gianni Letta.
Il primo ad essere interrogato è proprio Barattelli che si presenta dai pubblici ministeri temendo di finire sotto inchiesta e ammette: «Sapevamo che la Btp aveva appoggi politici e per questo chiedemmo di poter lavorare con loro». Numerosi altri testimoni vengono convocati e intanto si acquisisce la documentazione che riguarda le gare già concluse, quelle in via di definizione e i lavori concessi a trattativa privata.
I carabinieri entrano più volte nelle sedi delle amministrazioni locali e della Protezione civile, sequestrano bandi, lettere d’incarico, successivi contratti.
Il 20 settembre scorso consegnano la relazione conclusiva che traccia la storia dei quattro appalti per oltre 21 milioni di euro che sarebbero stati ottenuti proprio grazie all’interessamento di Verdini.
Ed evidenziano come le «commesse» siano state spartite sempre tra le stesse imprese.
Si legge nell’informativa: «Il Consorzio Federico II ha ottenuto i seguenti appalti: 1) dal Dipartimento della Protezione civile i lavori a L’Aquila di rifacimento della scuola Carducci (Musp) con appalto all’associazione temporanea d’imprese “Btp spa”, “Vittorini Emidio Costruzioni” (mandanti) e “Cmp, Costruzioni Metalliche Prefabbricate” (mandataria) solo per offerta economicamente più vantaggiosa, lavori subappaltati alla “Marinelli ed Equizi srl” e alla “F.lli Ettore e Carlo Barattelli” per un importo di 6 milioni e 843 mila euro; 2) dal Provveditorato alle Opere Pubbliche per il Lazio, Abruzzo e Sardegna quelli di ammodernamento della caserma Campomizzi con appalto alla consorziata “Marinelli ed Equizi srl” solo per offerta economicamente più vantaggiosa, lavori subappaltati alla “Barattelli” per un importo complessivo di 11 milioni e 235 mila euro; 3) dal Comune de L’Aquila con affidamento diretto al Consorzio Federico II quelli di puntellamento del centro storico per un importo liquidato di 428.957 euro più 528.958 euro, ordinativi dirigenziali comunali parzialmente revocati per inadempimento del Consorzio; 4) con contratto privato dalla Cassa di Risparmio dell’Aquila di cui è consigliere del consiglio d’amministrazione Ettore Barattelli al Consorzio quelli di contenimento dei danni delle sedi dell’istituto di credito site in corso Vittorio Emanuele II e nel palazzo Farinosi-Branconi per un importo di 2 milioni di euro, con contributo statale del 50% per la seconda sede in quanto palazzo sottoposto a vincolo della Sovrintendenza per i beni artistici – contratto risolto l’11 agosto 2010 per i lavori non ancora eseguiti».
I magistrati dispongono dunque nuovi controlli per scoprire come mai Verdini fosse così interessato a far lavorare Fusi che, come risulta dall’analisi della sua situazione finanziaria e patrimoniale, «è esposto, anche con le società satelliti, per centinaia di milioni».
Secondo le verifiche compiute dai carabinieri ed elencate in un’informativa trasmessa ai pubblici ministeri dell’Aquila il 25 settembre scorso, i due sono stati soci «fino al 2007 e a ciò deve aggiungersi l’enorme prestito non garantito di 26 milioni e 600 mila euro che Verdini ha fatto a Fusi con il suo Credito Cooperativo Fiorentino, come emerge dalla relazione della Banca d’Italia a seguito dell’ispezione».
Il sospetto, dunque è che lo abbia «raccomandato» per interesse personale. Così nella relazione vengono ricostruiti i recenti legami d’affari tra i due: «Il 28 febbraio 2005 si costituisce la “Parved spa” che al 98 per cento è di Verdini che versa quattro milioni e 900 mila euro su 5 milioni di capitale sociale, con sede a Firenze in via Alfieri 5 dove hanno sede molte società di Fusi. Il 4 aprile 2005 la Parved acquista il 20-25 per cento della “Porta Elisa srl” per 20.000 euro che per il resto del capitale in parti quasi uguali è di proprietà di Roberto Ballerini, Davide Bartolomei (socio di Fusi) e Stefania Cecconi, moglie di Fusi. Il 28 novembre 2006 la “Parved” cambia denominazione in “Parfu spa” mantenendo lo stesso codice fiscale. Presidente diventa Riccardo Fusi e all’atto notarile è presente anche sua sorella Milva: è verosimilmente in tale occasione che Verdini cede la sua società ai due Fusi. Il 27 giugno 2007 la “Porta Elisa” viene posta in liquidazione».
Gli accertamenti si sono concentrati anche sulle intercettazioni telefoniche nelle quali lo stesso Fusi spiega a Piero Italo Biagini, direttore del Credito Cooperativo Fiorentino, di poter offrire come garanzia per prestiti preliminari per la compravendita di immobili di società a lui collegate e atti d’acquisto di azioni da parte di società del suo gruppo.
La relazione della Banca d’Italia sull’ispezione compiuta presso la banca aveva accertato che si trattava di documenti fittizi, così come le polizze fideiussorie che aveva depositato.
I carabinieri hanno adesso verificato che lo stesso meccanismo è stato utilizzato dall’imprenditore anche con la Banca Nazionale del Lavoro, la Md Banca di Milano e altri istituti di credito».
Ci si chiede: ma Verdini coordina un partito della libertà o degli affari?
Se per un mero dissenso politico i finiani sono stati cacciati dal Pdl, chi è indagato per reati gravi come Verdini merita forse una medaglia al valore?
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Ottobre 12th, 2010 Riccardo Fucile
LA DECISIONE IERI SERA DA PARTE DELLA DIREZIONE SCOLASTICA: ADESIVI PER COPRIRE I SIMBOLI, VIA GLI ZERBINI…FINITO IL RIMPALLO DELLE RESPONSABILITA’, CAMBIA ANCHE IL NOME DELLA SCUOLA… E ORA IL SINDACO E LA GIUNTA RIFONDANO LA COMUNITA’ DEL DANNO ECONOMICO E SI TOLGANO DALLE PALLE
La polemica sulla scuola di Adro era inizata il giorno stesso della inaugurazione dell’edificio del comune della Franciacorta (Brescia) intitolato a Gianfranco Miglio, ideologo della Lega Nord.
L’11 settembre scorso, durante l’inaugurazione, si scopre che il ‘Sole delle Alpi’, simbolo celtico utilizzato arbitrariamente dalla Lega, è stato messo sulle vetrate, ma non solo, del nuovo polo scolastico del Comune venuto alla ribalta nei mesi precedenti per le polemiche sulla mensa – non si volevano ammettere gli scolari le cui famiglie non pagavano – e per le prese di posizione del sindaco leghista Oscar Lancini.
Il simbolo è anche su banchi di scuola, posacenere, cartelloni in cui s’invita a non calpestare l’erba.
Nella scuola, inoltre, i crocifissi sono stati fissati con il cemento nei muri.
La vicenda innesca subito una violenta polemica politica, si chiede un intervento del governo e dell ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, che prende le distanze dall’iniziativa.
La stessa Lega frena: “Il sindaco forse ne ha messi troppi. Avrebbe potuto farne uno bello, che bastava”, dice il 19 settembre il leader del Carroccio Umberto Bossi, il giorno dopo che il ministro Gelmini aveva scritto una lettera al sindaco Lancini affinchè provvedesse a togliere il simbolo dalle aule.
Ma la replica di Lancini dà fuoco a nuove polveri: “se me lo dice Bossi, obbedisco”.
Dal paese si giunge a scrivere al capo dello Stato, e Napolitano risponde dicendo di aver preso atto della decisione del ministro Gelmini sulla rimozione dei simboli.
Seguono alcuni agitati consigli comunali, con i giornalisti tenuti fuori alla porta, e la discussione su chi dovesse pagare la rimozione dei Soli, fino all’epilogo di questa notte.
Il dirigente del polo scolastico di Adro (Brescia) Gianluigi Cadei ha infatti annunciato ieri sera, nel corso di una riunione del Consiglio di istituto, la decisione di procedere alla rimozione dei simboli della Lega presenti nella scuola.
La rimozione potrebbe iniziare già oggi.
Sempre nella riunione di ieri sera il consiglio di Istituto, secondo quando ha riferito uno dei componenti al termine della seduta, ha deciso di intitolare la scuola ai patrioti risorgimentali Enrico e Emilio Dandolo.
Il polo era invece stato intitolato dal sindaco a Gianfranco Miglio
Il consiglio di Istituto, è stato inoltre riferito, ha deliberato di prendere atto della lettera inviata dal provveditore scolastico regionale della Lombardia Giuseppe Colosio al dirigente scolastico di Adro in cui sembra chiedere la rimozione dei simboli.
E, sempre il consiglio di Istituto, ha preso atto della lettera che nei giorni successivi a quella di Colosio, il sindaco di Adro, Oscar Lancini ha inviato a Cadei, diffidandolo dalla rimozione dei simboli stessi.
La decisione del dirigente illustrata al consiglio d’istituto, convocato in seduta straordinaria, ha sbloccato una situazione si stallo nella quale si rimpallavano responsabilità e decisioni sulla vicenda. Ed è giunta in un momento contrassegnato da una crescente tensione.
I Cobas scuola avevano annunciato che Adro sarebbe stata una delle sedi della manifestazione del 15 ottobre.
Inoltre, nello scorso fine settimana, due dei soli affissi su una vetrata dell’istituto e collocati tra i bambini stilizzati, erano stati abrasi da sconosciuti facendo scattare anche l’allarme della scuola.
Il consiglio d’istituto ha ribadito la determinazione delle scorse settimane con la contrarietà alla presenza dei simboli a scuola ed ha dato “la profonda solidarietà “, al dirigente che ha dovuto prendere “una determinazione ovviamente non facile – ha detto – le cui conseguenze in questo momento sono difficilmente delineabili”.
Di fronte al silenzio e alla complicità delle istituzioni, durate settimane, solo una sollevazione popolare trasversale ha finalmente ristabilito il rispetto dell’ordinamento costituzionale anche nel comune di Adro.
In altre circostanze, una vicenda del genere avrebbe portato al commissariamento del Comune e alla denuncia del sindaco e della sua giunta. Confidiamo che ora le spese per la posa e la successiva rimozione dei simboli di partito sia addebitato dalla Corte dei Conti ai soggetti che hanno approvato la delibera, sindaco in primis.
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Ottobre 12th, 2010 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI SERGIO RIZZO SUL “CORRIERE DELLA SERA”: CONCESSA AI DIRIGENTI DELLO STATO LA POSSIBILITA’ DI PROCEDURE RISERVATE… LA NORMA “NASCOSTA” NELLA MANOVRA FINANZIARIA… I DUBBI DELL’AUTHORITY, IL BLUFF DI CALDEROLI
Con una fantasia degna di Charles Perrault, l’autore della celebre fiaba di Pollicino, nella manovra economica di questa estate è comparso un bel grimaldello per aggirare le gare pubbliche.
Il sistema è semplice: d’ora in poi i dirigenti «generali» dello Stato, per intenderci quelli più alti in grado come i capi dipartimento, potranno dichiarare «segreti» gli appalti e le forniture di beni e servizi per la pubblica amministrazione.
Gli basterà fornire un motivo plausibile.
Il ricorso alla «segretazione» delle opere e dei contratti pubblici è diventata un’abitudine sempre più frequente.
Ci sono ragioni di sicurezza, certamente, che riguardano per esempio gli apparati di polizia, gli 007, alcuni settori militari.
Spesso, però, la scusa serve a imboccare scorciatoie immotivate.
Qualcuno sa spiegare perchè i lavori di ristrutturazione di un palazzetto del Senato che dovrebbe ospitare uffici degli onorevoli, come quello di largo Toniolo, a Roma, debbano essere eseguiti con procedure «segretate»?
O perchè i cittadini italiani non possano conoscere i particolari del contratto per i vaccini contro l’influenza A che ci sono inutilmente costati oltre 180 milioni di euro, contratto dichiarato «segreto», come ha stigmatizzato la Corte dei conti?
La verità è che questa corsia preferenziale consente di evitare le gare ordinarie e aggirare vincoli ambientali e paesaggistici.
Per non parlare dei controlli: le opere «segretate» non sono sottoposte alla vigilanza dell’authority.
Non è un caso che quando quella norma era in discussione in Parlamento, l’autorità per i contratti pubblici allora presieduta da Luigi Giampaolino non mancò di manifestare la propria preoccupazione.
E non perchè l’idea di trasferire dalla politica all’amministrazione la responsabilità di stabilire se un certo appalto necessita della segretezza sia campata per aria.
Anche se poi, com’è intuibile, iniziative del genere difficilmente verrebbero assunte senza l’avallo politico.
Il fatto è che, senza uno strumento che consenta di tenere sotto controllo questa delicatissima materia, questo potrebbe amplificare a dismisura un fenomeno che ha già suscitato, per le sue degenerazioni, l’attenzione dell’Unione europea, dove si sta preparando qualche contromisura.
Che però non potrà purtroppo risolvere un altro grosso problema: quello della trasparenza di leggi come questa.
E qui entrano in gioco Pollicino e le sue molliche di pane.
La norma che consente ai dirigenti generali dello Stato di «segretare» i contratti pubblici è il comma 10 dell’articolo 8 del decreto legge 78/2010 convertito nella legge 122 del 30 luglio scorso.
Dice così: «Al fine di rafforzare la separazione fra funzione di indirizzo politico-amministrativo e gestione amministrativa, all’articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, dopo la lettera d), è inserita la seguente: d bis) – adottano i provvedimenti previsti dall’articolo 17, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163, e successive modificazioni». Impossibile capirci qualcosa, senza seguire le molliche.
Prima mollica: il decreto legislativo 165 del 2001 è quello che stabilisce i poteri dei «dirigenti di uffici dirigenziali generali».
Seconda mollica: il decreto legislativo 163 del 2006 altro non è che il codice degli appalti nel quale si disciplina la «segretazione» delle opere e dei contratti.
Chiaro, no? Tanto valeva «segretare» pure la legge…
Andrebbe ricordato che nel giugno del 2009, più di un anno prima che sulla Gazzetta ufficiale venisse pubblicato questo incomprensibile obbrobrio, il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli, apprestandosi a incendiare pubblicamente una pira di migliaia di leggi «inutili», aveva fatto approvare una norma intitolata: «Chiarezza dei testi normativi».
Così tassativa, secondo lui, da non lasciare margini di manovra ai mandarini della burocrazia nostrana.
Lì dentro è detto che quando si cambia o si sostituisce una legge è obbligatorio indicare «espressamente» ciò che viene cambiato o sostituito.
È previsto pure che quando un provvedimento contiene un «rinvio ad altre norme contenute in disposizioni legislative» (esattamente come nel caso che qui si sta raccontando) si debba anche indicare «in forma integrale, o in forma sintetica e di chiara comprensione» il testo oppure «la materia alla quale le disposizioni fanno riferimento».
Si stabilisce, infine, che le disposizioni sulla chiarezza dei provvedimenti «non possono essere derogate, modificate o abrogate se non in modo esplicito». Pensate se non avessimo una norma del genere…
Come l’avrebbero scritto quel comma contenuto nella manovra economica? In etrusco, meroitico o rongo-rongo?
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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