Ottobre 11th, 2010 Riccardo Fucile
LA CATENA DI APPROVIGIONAMENTO AMERICANA, IN MANO A PRIVATI, ALIMENTA ESTORSIONI E CORRUZIONE: ORMAI LE TANGENTI SUPERANO I PROVENTI DEL TRAFFICO DELLA DROGA… DOVREMMO FORMARE LA POLIZIA AFGHANA? SU 94.000 POLIZIOTTI, IL 90% E’ ANALFABETA, IL 20% E’ TOSSICODIPENDENTE E IL 30% SCOMPARE DOPO UN ANNO, QUALCUNO DOPO ESSERSI PURE VENDUTO DIVISE E PISTOLE AI TALEBANI
Mentre all’aeroporto militare di Ciampino sono arrivate le salme dei quattro alpini uccisi due giorni fa in Afghanistan in un’imboscata talebana e mentre la politica nostrana si interroga se sia opportuno o meno dotare i nostri aerei di bombe, è singolare che nessuna forza politica, sia a destra che a sinistra, si ponga alcuni quesiti fondamentali, oggetto tra l’altro di una discussione che inizierà mercoledi al Parlamento europeo.
Nel rapporto “Nuova strategia Ue per l’Afghanistan”, frutto di sei mesi di viaggi, incontri, riunioni, emerge una verità spietata.
La principale causa della morte dei nostri soldati va ricercata infatti nelle pagine di questa relazione bipartisan, stilata senza distinzione politica: sono i boss della droga, i signori della guerra che vivono con le estorsioni alla catena logistica delle truppe Usa a determinare una situazione insostenibile per i nostri militari.
Mentre gli americani della Nato pagano tangenti ai talebani per immunizzarsi dagli attacchi, la “mafia dei convogli” attacca gli italiani che non pagano e che organizzano e scortano da soli i propri convogli.
Mentre in nove anni la comunità internazionale ha stanziato1,6 miliardi di dollari per attività antidroga, la produzione e il traffico di stupefacenti non ha subito flessione: 3,4 milioni di afghani, il 6,4% della popolazione risulta coinvolta in questo traffico.
Per non parlare del racket che vive sui rifornimenti Nato: affidata a privati, alimenta un mercato di corruzione ed estorsione che finisce per impossessarsi di una quota significativa dei 3 miliardi della logistica militare. Le tangenti che girano intorno a questi rifornimenti hanno ormai superato i proventi del traffico di droga.
L’Unione europea ritiene nella relazione che ormai “l’unica soluzione possibile è di natura politica”, la guerra non si è mai vinta e mai si vincerà .
Basti pensare alla presunta motivazione “dobbiamo rimanare per addestrare la polizia afghana”.
Ebbene fonti ufficiali Isaf hanno stabilito che su 94.000 poliziotti afghani il 90% è analfabeta, il 20% è tossicodipendente e il 30% scompare dopo un anno di arruolamento, spesso vendendosi divisa e pistole ai talebani che attaccano poi i nostri convogli.
Dopo sei settimane di presunto addestramento (senza libri, perchè sono analfabeti), gli si dà il tesserino, una divisa e una pistola.
E sarebbero queste le forze dell’ordine in grado di garantire la sicurezza?
Ecco perchè la politica italiana è colpevole, perchè fa finta di non conoscere queste situazioni, prona alla torre di comando a stelle e striscie.
Salvo poi inventarsi “coperture aeree”ridicole, neanche i talebani attaccassero dal cielo i nostri soldati.
Quando ti hanno fatto saltare un Lince per aria, sai che ce ne facciamo dei caccia.
Però nessuno osa dire perchè non attaccano quasi mai i convogli americani.
A questo punto meglio riportare a casa i nostri soldati, visto che la missione di pace è stata resa impossibile proprio dal comportamento degli statunitensi che hanno solo scaricato su altri le proprie responsabilità .
E non sta scritto da nessun parte che gli italiani debbano fare da carne da macello per gli altrui intrallazzi.
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Ottobre 11th, 2010 Riccardo Fucile
L’INTERVISTA DI DON ANIELLO A FAREFUTUROWEB…”LA GENTE CERCA SACERDOTI CHE VIVANO IN STRADA”…”NON POSSO DIRE AL POVERO ‘DIO TI AMA’ E POI NON FARE NULLA PER LUI”….”LE DIFFICOLTA’ MAGGIORI LE HO AVUTE DALLA POLITICA, NON DALLA CAMORRA”
Don Aniello Manganiello è un uomo di Dio. Davvero.
Ama la sua gente e per la sua gente ha fatto tanto. In un territorio difficile, molto difficile: Scampia, Miano, Secondigliano.
Sedici anni durante i quali la sua comunità ha avuto modo di apprezzarlo. Anche per la sua lotta contro la camorra. Oggi verrà trasferito. Con rammarico, per dire rabbia, della sua gente, di quel territorio.
E nel silenzio generale. «Dopo la fiaccolata organizzata a luglio a Napoli contro il mio trasferimento e la conseguente risonanza nazionale è calato il silenzio. A mio avviso penso che questo silenzio possa essere stato imposto. Da chi non lo saprei dire…»
Don Aniello, che succede oggi?
«Saluto la mia gente, la mia comunità al “Don Guanella” con la quale ho camminato per sedici anni. Ho condiviso le loro sofferenze, le loro ansie, le loro difficoltà e i loro stenti».
Tecnicamente perchè viene trasferito?
«Una delle regole della vita religiosa — io sono un sacerdote dell’Opera Don Guanella, che ha diverse case a Roma a favore dei disabili — è l’avvicendamento. Non è possibile che un sacerdote rimanga per molto tempo nello stesso posto. Secondo i miei superiori, e sicuramente c’è una percentuale di verità , il cambiamento fa bene a chi va via e a chi rimane, perchè garantisce un ricambio, una impostazione nuova e proposte nuove. L’ambiente non può che riceverne giovamento. Il problema è come vengono effettuati questi avvicendamenti: un conto è un avvicendamento di un parroco di Posillipo o del Vomero, un conto è l’avvicendamento di un parroco di Secondigliano e Scampia. Questi ultimi sono avvicendamenti che vanno fatti con intelligenza e con una certa calma, prevedendo anche dei tempi lunghi – almeno un anno — durante i quali il parroco che è trasferito possa affiancare il nuovo permettendogli una accoglienza serena da parte della comunità . In soldoni la mia comunità parrocchiale chiedeva questo. Io ero disposto a fare da tutor al nuovo parroco. Siamo riusciti ad ottenere che questo tutoraggio duri fino a gennaio, anche se devo partire per Roma e tutto si limiterà a una decina di giorni al mese, cioè una cosa non continuativa».
Così non si rischia di far allontanare la gente dalla Chiesa che, come lei ha dimostrato, tanto può fare contro le mafie?
«Sì. Certo, dipende sempre pure dal parroco e forse io per origini e per carattere ha favorito un legame con la comunità . Perchè è questo che la gente cerca: sacerdoti che vivano in strada, che si interessino a loro. Sacerdoti che magari non riusciranno a risolvere i loro problemi ma che danno la certezza sia lì, accanto a loro annunciando il Vangelo in modo umano, con umanità . E non sempre questo avviene. Quello che lamentano molte comunità parrocchiali è avere un sacerdote più preoccupato dei riti, delle celebrazioni e della struttura e poco preoccupati dell’uomo. Io ho cercato di mettere al centro l’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, e questo ha portato la comunità ad avere un grande affetto per me e a lottare e battersi perchè non venissi trasferito a Roma».
Ha provato a parlare coi tuoi superiori?
«Ci sono stati alcuni incontri con loro e anche alcuni membri della mia comunità – soprattutto i giovani con responsabilità all’interno dell’oratorio – hanno chiesto incontri con i miei superiori. Gli incontri sono stati concessi e posso affermare che questi giovani hanno fatto presente le loro preoccupazioni e le loro perplessità , come ho fatto pure io. Però niente, non c’è stato verso. In effetti nella Chiesa quando si decide una cosa, un trasferimento, difficilmente i superiori o un vescovo tornano sui loro passi. Forse c’è quella preoccupazione di non dimostrarsi deboli, di non fare brutta figura e di non creare precedenti rispetto a sacerdoti che ricevono l’obbedienza. E l’obbedienza nella vita religiosa è uno dei pilastri portanti. La loro preoccupazione è che se cade questo pilastro cade tutta la vita religiosa. Don Milani diceva che l’obbedienza non è una virtù. In questo caso ho obbedito con la ragione ma non con il cuore. Certi avvicendamenti vanno gestiti diversamente e la gente — il popolo di Dio va ascoltato. La Chiesa cattolica non ascolta il suo popolo quasi mai. Sembra che il carisma del comando, il carisma del discernimento, la certezza della verità ce l’abbiano solo le gerarchie: il papa, i vescovi e i sacerdoti. E questa è una offesa nei confronti del popolo di Dio, anch’esso battezzato, con un ruolo e una vocazione».
È stato definito un prete scomodo.
«La mia pastorale predilige la strada, sto poco in ufficio. Questo mi diversifica da tanti altri preti che vivono ore e ore in ufficio. Non mi sono mai sentito ostaggio della canonica, mi sono buttato nel sociale e questo mi ha provocato il rimprovero di essere troppo sbilanciato sul sociale e poco sugli aspetti peculiari del mio sacerdozio, cosa non vera. Certo è che mi sono sbilanciato dalla parte dell’uomo più povero. Non posso dire al povero “Dio ti ama” e poi non fare nulla per migliorare la sua condizione. Oggi nella Chiesa mi pare si facciano dei bei discorsi ma poi siano pochi i fatti. Per questo mio modo di impormi come martello sulla camorra e i camorristi, il denunciare, questo attaccare le loro prepotenze e dirlo in tv, ai giornalisti e indicare dove si spaccia, dove si chiede il pizzo, ho avuto rimproveri e grosse critiche all’interno della chiesa stessa. Io ho rifiutato il matrimonio ai camorristi e il battesimo ai loro figli quando non accettavano un percorso di conversione mentre tanti parroci, per non avere noie, i sacramenti continuano a darli anche a questa gente. Per questo sono un prete scomodo non in linea con gli altri parroci, ma io rifarei tutto».
Pensa di aver dato più fastidio alla camorra o a certa politica?
«Ho avuto minacce di morte da parte della camorra. Però devo dire, anche se sembra un controsenso, che i camorristi in carcere dicono al nostro cappellano: “Tenete i nostri ragazzi in oratorio al Don Guanella perchè non vogliamo che facciano la nostra stessa fine”. I camorristi hanno sempre apprezzato il mio impegno nel sociale, per i poveri. Ho acquistato autorevolezza. Anche se è ovvio, davo fastidio per le mie denunce perchè provocava una maggiore presenza di forza dell’ordine. Le difficoltà maggiori le ho trovate dalla politica. Quando ho denunciato la collusione della politica con la camorra il sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino, invece di interrogarsi su queste parole e di chiamarmi ha minacciato di querelarmi alla Procura della Repubblica. A Bassolino, nel ’96, durante una riunione con noi parroci da lui convocata, dissi di chiedere scusa per i ritardi e la condizione delle periferie. Rispose che non si sentiva responsabile di nulla e gli diedi del “pidocchio” su Repubblica. Il giorno dopo mi chiamò dandomi del mascalzone.
Le “cainate” e gli atteggiamenti più squallidi, più negativi li ho avuti dai politici. Anche per avere un marciapiede più largo! In loro ho trovato le difficoltà maggiori. Mi hanno tacciato di essere un prete di destra. Ma quale destra e quale sinistra?! Io nelle mie denunce non sono stato condotto da motivi ideologici o scelte partitiche: le mie denunce le ho fatto perchè vedevo il degrado, il malgoverno, i ritardi, la gestione scandalosa dei soldi della collettività ! Il menefreghismo di certa politica e la collusione provocava in me una ribellione per dare voce alla gente che per paura o per clientelismo non parlava».
Cosa ricorda del suo arrivo al Don Guanella?
«Quando arrivai fui colpito da un ragazzo diciottenne, ex pusher dei Di Lauro, che aveva iniziato il cammino in carcere. Lo presi come figlio. Oggi è completamente rinato, allora era morto. È sposato, ha due bambini e ha scritto un bellissimo libro, Ali bruciate. Si chiama Davide Cerullo e oggi, in giro per l’Italia, parla di legalità per dire che è possibile liberarsi della mafia, della camorra. L’altra cosa che mi colpì quando arrivai fu un muro con inferriata alto più di due metri e che separava il centro Don Guanella dalla strada. Lo feci abbattere e la gente apprezzò tantissimo, perchè fu come aprire “i cancelli” della Chiesa, senza paura dei ladri, degli spacciatori, dei delinquenti. Tutti potevano entrare nella nostra casa. Quando dissi la prima messa la chiesa era piena di romani e pochissimi napoletani, oggi le cose sono cambiate. Oggi la chiesa sarà stracolma. Con questa gente abbiamo fatto un cammino lungo. Speriamo che continui».
di Giovanni Marinetti
(da Farefuturoweb)
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Ottobre 11th, 2010 Riccardo Fucile
IL TRASFERIMENTO DOPO SEDICI ANNI VISSUTI IN TRINCEA A FIANCO DEI PIU’ DEBOLI, PER UN AVVICENDAMENTO SENZA SENSO…”SONO STATO EMARGINATO DALLE ISTITUZIONI E ANCHE DALLA CHIESA: “OBBEDISCO CON LA RAGIONE, NON CON IL CUORE”… HA SOTTRATTO CENTINAIA DI GIOVANI ALLA CAMORRA
Lo scorso luglio oltre mille persone manifestarono contro la decisione delle autorità ecclesiastiche.
Ieri il saluto alla comunità : “Sono stato accusato di esibizionismo, mi sono limitato a stare dalla parte dei più deboli”
Commozione e rabbia per l’ultima messa a Napoli di don Aniello Manganiello, il prete anticamorra che lascia il capoluogo partenopeo dopo sedici anni vissuti in trincea in un territorio ad altà densità camorristica.
Don Aniello, oggetto di minacce di morte da parte della camorra, già la settimana prossima sarà a Roma dove è stato trasferito per ricoprire l’incarico di vicario parrocchiale nella chiesa di San Giuseppe, al quartiere Trionfale. Una scelta spiegata dall’Opera don Guanella con logiche di avvicendamento, e contro la quale si sono espressi nei mesi scorsi politici di destra e di sinistra.
Ieri circa un migliaio di persone ha risposto all’appello riempiendo la chiesa di Santa Maria della Provvidenza al Rione don Guanella sia per la funzione delle 10 dedicata ai bimbi, sia per quella delle 11.30 riservata al resto della comunità .
Le lacrime l’hanno fatta da padrone e lo stesso Don Aniello si è commosso. La sua lettera aperta, distribuita ai parrocchiani e letta durante l’omelia, una sorta di testamento spirituale ma anche un duro j’accuse nei confronti delle istituzioni e della Chiesa che lo avrebbero spesso lasciato solo nelle sue battaglie, è stata più volte interrotta dagli applausi e dalle grida di chi gli diceva di non andarsene.
“Una grande commozione – commenta il prete – che stempera la mia sofferenza. Mi sento violentato psicologicamente per un trasferimento che mi impedisce di proseguire un percorso. Come ho già detto obbedisco con la ragione, ma non con il cuore”.
Durante l’omelia Don Aniello ha esortato la Chiesa ad essere più severa nei confronti della criminalità con prese di posizione più dure: “Specie nell’amministrazione dei sacramenti – ha detto – c’è una certa superficialità . I sacramenti non si buttano via. Gesù disse di non dare perle ai porci”.
Quindi ha ricordato la figura del martire cileno Oscar Romero: “Anch’io come lui sono stato minacciato ed emarginato per essermi schierato dalla parte dei più poveri”.
“Avrei voluto la solidarietà delle altre parrocchie invece di sentirmi dire che ero scomodo o fuori dal coro. Tutto questo mi ha amareggiato. Così come l’accusa di aver strumentalizzato i mass media per crearmi l’immagine di prete anti-camorra. Ma io le minacce di morte le ho ricevute sul serio, non sono un’invenzione”.
Restano i ricordi e la conversione di alcuni camorristi di grido, come il boss Tonino Torre: “Saranno i tizzoni di fuoco che porterò con me per riscaldarmi quando sentirò freddo. Oggi – dice – mi commuovo quando lo vedo pregare in chiesa e arrangiarsi con lavori umili per pochi soldi. O la storia del pusher del clan di Lauro, Davide Cerullo o di Marco, un ex tossicodipendente che oggi allena i ragazzi del quartiere”.
Qualcuno adesso dirà che a Roma sarà al riparo dai rischi di Napoli, ma don Aniello non la pensa così: “Volevo restare, perchè una vita spesa per gli altri è una vita spesa bene”
Tra i parrocchiani qualcuno ha esposto dei cartelloni critici nei confronti della Chiesa partenopea.
‘Signore perdona la Chiesa per quello che ha fatto’, c’era scritto su uno di questi.
E’ finita con cinque minuti di applausi e i fedeli che non volevano lasciare la chiesa.
E con qualcuno che ha sparato fuochi d’artificio: “Sono stati i miei bambini – spiega don Aniello frenando su altre possibili interpretazioni – mi hanno voluto festeggiare così”.
Chi ha potuto assistere all’ultima Messa di don Aniello, chi ha visto uomini e donne, giovani e anziani, accostarsi alla Comunione singhiozzando per il forzato addio a quel simbolo di speranza per tanta gente del Sud, costretta a vivere nel degrado, che lui ha riscattato, non può che aver provato commozione.
Ma anche tanta rabbia per come le isitituzioni, in questo caso religiose, ma spesso anche politiche, nel nostro Paese, non sanno interpretare il desiderio di legalità e di riscatto delle gente umile.
I simboli diventano pericolosi, meglio liberarsene, chi sacrifica la vita per i più deboli finisce per diventare un cattivo esempio in una società dove conta non la sostanza ma il bluff.
Pronti a contendersi la bara ai funerali, nel caso che la camorra li faccia fuori, ma testimoni scomodi in vita di come uno Stato dovrebbe invece agire per estirpare la pianta della corruzione, del degrado, della malavita, della criminale omertà .
I servitori della Stato o della Chiesa, coloro che rappresentano l’emblema di come “agire”, di come “vivere la cristianità ” e la “legalità “, diventano un pericolo in questa nostra povera Nazione.
Come lo sono stati il generale Della Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino o don Puglisi.
Uno Stato infame che sa farne degli eroi solo da morti, mai simbolo di riscatto da vivi.
Quelle lacrime che rigavano il volto di tanti giovani di Scampia sottratti da don Aniello a un destino di sangue rappresentano l’Italia che sa ancora lottare per un domani migliore.
Nonostante le istituzioni.
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Ottobre 11th, 2010 Riccardo Fucile
TREMONTI HA CREATO UN COMMISSIONE TECNICA PER RIMODULARE LE MULTE CON “RAGIONEVOLEZZA”: DOPO AVER EVASO IL FISCO, LE DIECI CONCESSIONARIE COSI’ PAGHERANNO UN CENTESIMO DEL DOVUTO…. SOLO I COMUNI CITTADINI VENGONO TASSATI IN BASE ALLA LEGGE… LA ATLANTIS DI CORALLO, LA BOCCETTA E WALFENZAO PASSA DA DOVER PAGARE 30 MILIARDI AD APPENA 345 MILIONI, MA CHE STRANO
La notizia è confermata stamane sul “Secolo XIX” da Marco Menduni, il giornalista che per primo aveva sollevato il coperchio su quello che è stato definito “il più grosso scandalo” economico del dopoguerra e che riguarda il mondo delle slot machine.
Mentre stamane il pm Marco Smiroldo ripeterà , davanti alla Corte dei Conti, la richiesta della Procura, ovvero l’applicazione alle dieci concessionarie della maximulta di 98 miliardi di euro, si moltiplicano i tentativi per favorire gli evasori.
Ricordiamo che la vicenda riguarda i primi passi dell’installazione delle slot nel nostro Paese: per diverso tempo i concessionari non avevano collegato le macchinette al cervellone ministeriale, evitando quindi di versare la parte dovuta allo Stato.
Tra versamenti non effettuati e ammende su imposte evase, la Corte dei Conti aveva quantificato in 98 miliardi di euro la somma dovuta dalle concessionarie.
Dopo vari tentativi “politici” di insabbiare l’inchiesta, gli avvocati delle concessionarie avevano sollevato un problema di competenza di fronte alla Corte di Cassazione che, dopo un anno, ha però dato loro torto, ribadendo la competenza della Corte dei Conti e parlando di “spreco di risorse pubbliche”.
Oggi si ricomincia con due istanze della difesa che punterà sia a un rinvio che alla nullità del procedimento.
Ma l’elemento più clamoroso che rivela Menduni è l’intervento del Ministro dell’Economia in persona per cercare di dare una mano ai concessionari, ovvero agli evasori.
Il ministero ha infatti nominato una commissione tecnica con l’incarico di “rimodulare le multe in base a criteri di ragionevolezza”.
Sapete a che bel risultato ha portato questo esame? A ridurre il dovuto da 98 miliardi di euro a 804 milioni di euro.
La posizione della Corte invece è rimasta ferrea: la “ragionevolezza” può essere sollecitata quando ci si trovi di fronte a calcoli abnormi.
Ma le penali, in questo caso, sono state calcolate secondo quando stabilito al momento della firma del contratto.
La Procura fa notare che “non si può agire con severità nei confronti del comune cittadino e non fare altrettanto in questo caso. Non si può firmare un contratto con lo Stato pensando che le clausole liberamente firmate e sottoscritte siano una burla”.
Alla fine si è mosso il potere politico, proprio quello che ogni giorno sostiene che certe misure non si possono prendere per mancanza di risorse, ma che poi abbuona 97 miliardi a chi invece li deve.
Una cosa incredibile, che può succedere solo in Italia.
Una multa da 98 miliardi che si riduce a meno di 1/100.
E caso strano la società maggiore debitrice, la Atlantis, passa da 30 miliardi a 345 milioni da versare.
Proprio quella società (oggi Betplus) che ha come azionista di maggioranza Francesco Corallo, il re dei casino di St. Lucia, come ex rappresentante in Italia Amedeo La Boccetta (ex An ,ora fedelissimo di Silvio) e come commercialista quel Walfenzao che risulta anche amministratore di Printemps e Timara, le due società di Montecarlo dell’ex casa si An.
Tutti improvvisamente beneficiati di uno sconto di 29,6 miliardi di euro dal governo italiano.
Che ha l’acqua alla gola, ma rinuncia a incassare 97 miliardi dai concessionari delle slot taroccate.
Un altro elemento: la licenza di Corallo per le sue slot machine italiane scade a maggio 2011 e il rinnovo sarà duro perchè serve un robusto certificato antimafia.
Vogliamo scommettere che otterrà il rinovo della licenza?
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Ottobre 11th, 2010 Riccardo Fucile
DEI 5 PUNTI INDICATI DAL PREMIER, AGLI ITALIANI INTERESSA IL FISCO, SOLO ALL’ULTIMO POSTO IL FEDERALISMO…IL PDL SCENDE AL 29%, GIOVANI E MERIDIONALI LO ABBANDONANO… TRA CHI NON HA ANCORA DECISO SE E CHI VOTARE, BEN L’81% E’ DELUSO DAL GOVERNO E DAL PREMIER…IL 53% DEGLI ITALIANI NON CREDE PIU’ ALLE FUTURE PROMESSE.
L’ultima conferma, dalle colonne del “Corriere della Sera”, è arrivata dall’Osservatorio di Renato Mannehimer: i consensi del governo sono scesi ormai al 30%.
I cinque punti che Berlusconi ha indicato come priorità (tasse, giustizia, Mezzogiorno, sicurezza, federalismo) costituiscono un programma ampio, sulla cui realizzazione però molti nutrono dubbi.
Dei cinque punti, il fisco è quello più sentito dagli elettori, ultimo il federalismo.
È certo, tuttavia, che Berlusconi ha, in questo momento, necessità di imprimere nuova linfa all’azione dell’esecutivo.
Non solo in relazione agli equilibri politici interni, quanto per frenare il declino di consensi per l’operato del governo, in atto ormai da mesi e che ha portato a una forte contrazione del seguito per il Pdl, attestatosi in questi giorni attorno al 29%.
Se si domanda agli italiani «come valutate l’operato complessivo del governo fino a questo momento?», solo meno di un terzo (30%) risponde in modo positivo, mentre quasi tutti i restanti esprimono un giudizio critico.
È significativo il fatto che, su questo argomento e diversamente da quanto accade per tante altre questioni politiche, quasi tutti manifestano un’opinione e le risposte «non so» sono pochissime (2%).
I consensi per il governo sono in misura simile a quanto rilevato a inizio luglio (31%), ma sensibilmente inferiori a quanto emerso nei mesi precedenti: a marzo erano 39%, a giugno erano 33%.
Segno che la crisi crescente di fiducia verso l’esecutivo è ancora in atto. Naturalmente, essa non si presenta con la stessa intensità nelle varie categorie di cittadini.
Esprimono maggior disagio i giovani fino a 24 anni e i residenti nel Meridione (che vedono con più timore il federalismo). Nonchè, ovviamente, gli elettori del centrosinistra, tra i quali i giudizi critici superano l’84%.
Ma anche tra i votanti per i partiti di maggioranza c’è una considerevole area di insoddisfazione, che oltrepassa un quarto di questi ultimi.
E, ancora, si registra una pericolosa prevalenza (81%) di delusi dall’attività di governo nel settore cruciale degli indecisi sul partito (e, spesso, sullo schieramento) da votare alle prossime eventuali elezioni.
Tutto ciò comporta perplessità sulla effettiva capacità del governo di fare le riforme promesse.
Solo sei mesi fa la maggioranza degli italiani (58%) dichiarava di credere comunque all’attuazione di queste ultime.
Oggi, questa posizione è espressa dal 44%, mentre la gran parte degli intervistati (53%) si dice incredula sulla realizzazione.
Anche in questo caso, lo scetticismo è presente, in misura minoritaria (19%), nell’elettorato di centrodestra e, in maggioranza (67%), tra gli indecisi. Restano comunque diffuse le aspettative che qualcosa si realizzi.
Esse riguardano tutte e cinque le tematiche proposte da Berlusconi.
C’è tuttavia una graduatoria di priorità attribuita dagli italiani.
Essa vede primeggiare la questione fiscale e l’attesa della riduzione delle tasse, già oggetto più volte del programma elettorale del centrodestra e ribadita dal presidente del Consiglio anche nelle sue ultime dichiarazioni. Seguono la riforma della giustizia, il Mezzogiorno e la sicurezza, mentre il federalismo fiscale, pur reputato importante, si colloca in una posizione di minore urgenza percepita dalla popolazione, specie tra i residenti al Sud.
Insomma, gli italiani si mostrano fortemente scettici che qualcosa si riesca a fare.
Il fatto che Silvio, dalla dacia di Putin, dichiari che il calo di consensi del partito sia colpa del Pdl, non certo sua o del governo, dimostra come ormai abbia perso la bussola politica del nostro Paese.
Continuare ostinatamente con arroganza e presunzione, senza la minima autocritica, a perseguire solo leggi personali, non fa che allontanare sempre più questo governo dalle istanze degli italiani.
Che hanno bisogno di riforme sociali e solidali, non di egoismi e divisioni, di legalità non di impunità , di etica politica non di cattivi maestri, di rispetto e confronto, non di dossieraggi.
E di premier che non continuino ad andare allegramente a pesca con Putin mentre quattro giovani vite italiane sono stroncate in Afghanistan.
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