Ottobre 28th, 2010 Riccardo Fucile
L’EX PRESIDENTE PD DEL CONSIGLIO REGIONALE GIUSEPPE BOVA LO AVEVA PROMESSO: “NON USERO’ MAI L’AUTO BLU”… MA DOPO CINQUE ANNI DI MANDATO PRESENTA UN CONTO STRATOSFERICO PER IL CONSUMO DI CARBURANTE
“Io non uso l’auto blu. E finchè posso ne farò a meno”.
Marchiato col fuoco, l’impegno d’onore che Giuseppe Bova, già presidente del Consiglio regionale della Calabria, annunciò quasi cinque anni fa è stato mantenuto.
Da quel giorno, e per tutti i giorni della settimana, week end inclusi, Bova, dragone dell’anticasta, protagonista di una delle più feroci lotte alle spese inutili, tagliatore di teste solitario nella regione più sprecona d’Italia, si è diretto alla pompa di benzina da solo.
E dal marzo del 2006 fino al marzo del 2010 ha fatto il pieno conservando però ogni ricevuta per dimostrare il certo.
Ha speso 211mila euro di carburante.
Sono state 1460 giornate durante le quali non si è dato mai malato e ha anzi pigiato sull’acceleratore per connettere lungo l’asse Reggio Calabria-Catanzaro le energie vitali del proprio corpo.
Alla fine ha tirato le somme.
Anzi le ha fatte tirare al dirigente del servizio tesoreria della Regione: gli spostamenti sono infatti costati 211.842 e 42 centesimi di euro.
Tanta benzina è stata bruciata da Bova in ragione della sua passione ipercinetica per la politica.
Si è subito osservato che la mole del bonus rendeva incerta ogni comparazione con altri possessori di motori a scoppio.
Duecentomila euro alla pompa dell’Agip?
Nemmeno lo yacht di Briatore abbisogna di tanto propellente energetico, possibile che l’utilitaria di Bova, l’uomo politico senza auto blu, consumi di più?
Possibile.
Il dubbio però resisteva: vuoi vedere che è uno scherzo di carnevale?
E’ una burla che i nemici di Bova, glorioso rappresentante della sinistra calabrese, già del Pd (ora però fuori dal partito), e prima dei Ds, e ancor prima del Pds, hanno voluto mettere in scena?
Niente. La delibera sembra vera.
Bollettino ufficiale della Calabria, edizione del 16 giugno 2010, determinazione n. 299 del 13 aprile scorso, la numero 103.
All’onorevole Bova più di 211 mila euro cash.
Il suo benzinaio starà festeggiando, pensando alla legislatura che è appena iniziata e ai chilometri che l’ex presidente del consiglio regionale, ferocemente all’opposizione della Giunta Scopelliti, ha in animo di fare, per tenere fede alla sua idea di politica: tutta on the road.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 28th, 2010 Riccardo Fucile
LA GRANDE FUGA NASCE IN PROVINCIA: ORMAI NON SI CONTANO PIU’ I MOVIMENTO DI TRUPPE LOCALI DA NORD A SUD… ANCHE IN PARLAMENTO I CAPIGRUPPO DEL PDL NON RIESCONO PIU’ A FRENARE IL DISSENSO E I MALUMORI PER LA CONDUZIONE DEL PARTITO: MERCOLEDI PROSSIMO TORTOLI, BONCIANI, TOTO E ROSSO PASSANO CON FUTURO E LIBERTA’
Mercoledì una conferenza stampa sancirà il passaggio di altri tre, forse quattro deputati berlusconiani al nuovo gruppo di Futuro e Libertà , giusto alla vigilia della kermesse di Perugia che nel fine settimana sancirà il lancio in grande stile del partito di Fini.
La fuga dal Pdl è un tam tam battente, in Transatlantico, e porta dritto ai toscani della fronda anti Verdini, Alessio Bonciani e Roberto Tortoli.
Ma anche all’abruzzese Daniele Toto, già dimissionario dal coordinamento a Chieti.
A Roberto Rosso, ex sottosegretario con cinque legislature alle spalle (e scarse chance di ricandidatura).
Ancora, a Giancarlo Mazzuca, emiliano, convocato di gran carriera ieri sera da Cicchitto alla sede di Via dell’Umiltà .
Stando ai finiani saranno almeno tre di loro ad annunciare mercoledì l’adesione a Fli. Se così sarà , il gruppo scavalcherà per numero di deputati anche l’Udc, oggi entrambe le sigle a quota 35.
Coordinatori e capigruppo sono stati precettati da Berlusconi affinchè venga tentato il tutto per tutto per trattenere i malpancisti alla Camera e riportare a più miti consigli i trenta senatori riottosi che martedì sera hanno presentato al gruppo un documento polemico su Pdl e tenuta del governo. “Parlate con loro, trovate voi il modo, non voglio più sentir parlare di malumori” ha intimato il presidente del Consiglio a Cicchitto, a Gasparri, a Verdini poco prima che i coordinatori si riunissero in serata per trovare un compromesso sul nodo della “democrazia interna” invocata da più parti.
Risultato: una giunta consultiva di cinque dirigenti affiancherà i coordinatori e vice locali, d’ora in poi eletti e non più nominati. Basterà per convincere gli insoddisfatti?
Ma dalla Sicilia alla Lombardia, la “fuga” riguarda soprattutto i dirigenti locali.
Da Generazione Italia stimano in circa 2.500 gli amministratori, consiglieri per lo più, che avrebbero abbandonato il Pdl: una settantina in Piemonte, decine in Lombardia, una quarantina nella Toscana di Verdini, un centinaio in Sardegna, il boom tra Sicilia e Campania.
“Il Pdl è totalmente sfasciato anche a livello nazionale, non ha senso continuare a tenerlo cosi” infierisce da La7 il sottosegretario Gianfranco Miccichè, ideatore di “Forza del Sud”.
“Molti passeranno con noi, tre anche prima di Perugia, ci stiamo lavorando io e Italo Bocchino”, svela Fabio Granata mandando su tutte le furie i berlusconiani.
Nel frattempo i finiani annunciano che è pronto anche il simbolo, con forti richiami al tricolore e al momento senza il nome di Fini, da inserire in corsa in caso di elezioni anticipate, tanto più che i sondaggi danno il presidente della Camera a 42 punti di gradimento e il partito all’8%.
Sul simbolo non viene fornito alcun dettaglio onde evitare che qualcuno possa registarne il logo.
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Ottobre 28th, 2010 Riccardo Fucile
LUCA PROCACCI E’ AL TEMPO STESSO LEGALE DI COTA, DELLA REGIONE PIEMONTE E PURE COMPONENTE DEL CO.RE.COM, IL COMITATO REGIONALE PER LE COMUNICAZIONI CON DELEGA ALLA PAR CONDICIO, RUOLO PER CUI RICEVE UNA REMUNERAZIONE MENSILE…QUEST’ULTIMO INCARICO RICHIEDE “ASSOLUTA INDIPENDENZA DAL SISTEMA POLITICO ISTITUZIONALE”
Prima il ricorso al Tar per le elezioni regionali fatto dall’ex governatrice Mercedes Bresso.
Adesso l’indagine sul suo avvocato, Luca Procacci.
Per il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota finito un problema ne comincia un altro.
La Procura regionale della Corte dei Conti ha aperto un fascicolo dopo l’esposto fatto dall’associazione radicale “Adelaide Aglietta” il 15 ottobre affinchè venga accertato “l’eventuale danno erariale” dopo l’accumulo di cariche di Procacci, che è al tempo stesso legale di Cota, della Regione Piemonte e componente del Co.re.com, il comitato regionale per le comunicazioni con delega alla par condicio, ruolo per cui riceve una paga mensile
“Diamo atto alla Corte dei Conti del pronto riscontro al nostro esposto e attendiamo l’espletamento delle indagini — ha detto Giulio Manfredi, del Comitato nazionale Radicali — altrettanta solerzia non dimostra il presidente Cota, da cui attendiamo una risposta”.
Procacci e Cota vennero in effetti già criticati perchè il legale dell’esponente leghista a maggio divenne anche il difensore “ufficiale” della Regione nell’ambito del ricorso al Tar per le irregolarità delle elezioni di marzo.
La scelta venne giustificata dal fatto che l’Avvocatura regionale non aveva membri in grado di seguire il caso.
A questo problema se ne aggiunge un altro.
Secondo i radicali “la legge regionale dice che i componenti del Co.re.com devono dare ‘garanzia di assoluta indipendenza dal sistema politico istituzionale’”, e Procacci non risponde alla richiesta, essendo molto vicino alla Lega Nord.
Manfredi spiega: “Il decreto del Presidente Cota del 26 giugno 2008 nomina Luca Procacci componente del Co.re.com in rappresentanza delle minoranze consiliari”.
E dunque: “O vale la legge o vale il decreto; ma per la gerarchia delle fonti giuridiche prevale la legge e la nomina di Procacci è illegittima”.
Per via di questa regola in passato il Tar rimosse il presidente Corecom, Massimo Negarville, perchè troppo vicino al centrosinistra.
Il 14 ottobre scorso, al momento della presentazione dell’esposto dei Radicali, Luca Procacci replicava: “In ambito politico non ho nessun ruolo. Non vedo incompatibilità . Se poi la legge non va bene, quando saranno in maggioranza la cambieranno. Ma per ora non possono impedirmi di esercitare come libero professionista”.
Ma ora a rileggersi la legge regionale sarà la procura della Corte dei Conti.
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Ottobre 28th, 2010 Riccardo Fucile
SONO 128 CLANDESTINI, DI CUI 48 BAMBINI, SBARCATI SULLE COSTE SICILIANE: SAREBBERO DI ORIGINE PALESTINESE…SU ORDINE DEL GOVERNO SONO STATI CHIUSI AL PALASPORT: NONOSTANTE IL PARERE FAVOREVOLE DEL MAGISTRATO CHE STA SVOLGENDO I DOVUTI ACCERTAMENTI, E’ STATO VIETATO L’INGRESSO ALLE ORGANIZZAZIONI UMANITARIE…. MARONI VUOLE NASCONDERLI?
Il prefetto di Catania, Vincenzo Santoro non sente ragioni: quei 128 immigrati (48 sono bambini) che si dichiarano palestinesi, sbarcati ieri sera sulla costa siciliana devono restare chiusi nel Palanitta del capoluogo etneo, “in attesa di indagini”.
Inutili, dunque, sono risultate le richieste di diverse organizzazioni umanitarie come l’Unhcr (l’alto Commissariato per i rifugiati dell’Onu) l’Arci, Save The Children e lo IOM (International Organization Migration) per poter entrare nella struttura sportiva con l’unico scopo di assistere le persone, molte delle quali potrebbero chiedere asilo politico.
Il prefetto ha negato l’accesso a tutti, sostenendo che erano in corso indagini di polizia giudiziaria.
Le organizzazioni non hanno però desistito e sono andate dal sostituto procuratore della Repubblica, Agata Consoli, che sta facendo gli accertamenti proprio su questo gruppo di persone, per chiederle spiegazioni sul divieto imposto dal prefetto.
La pm ha però risposto – per iscritto – che non esisteva alcun ostacolo all’ingresso delle organizzazioni umanitarie.
Ma non è bastato.
In Prefettura, infatti, si continua ancora ad impedire l’accesso a chiunque. Anzi, a chi ha sottoposto le affermazioni scritte del magistrato titolare delle indagini, secondo le quali non esistono ragioni che possano giustificare l’ingresso di persone per scopi umanitari, è stato risposto che quell’atto scritto non ha nessun valore.
Il risultato è che i profughi continuano a restare rinchiusi nella struttura alla periferia di Catania, con il rischio di essere rimpatriati probabilmente senza avere la possibilità concreta di esercitare il diritto – previsto dalla nostra Costituzione – di chiedere asilo politico.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati esprime preoccupazione per non aver avuto finora la possibilità di entrare in contatto con i 128 migranti – fra i quali 48 minori – trattenuti da ieri nell’impianto sportivo Palanitta di Catania, dopo essere stati intercettati a largo delle coste. Fin da ieri l’UNHCR ha cercato di ottenere informazioni in merito a questa situazione chiedendo di poter incontrare le persone sbarcate, senza però ricevere alcuna delucidazione riguardo ai tempi di attesa.
Nonostante le indagini di polizia in corso richiedano misure di riservatezza, l’Alto Commissariato per i Rifugiati auspica che venga consentito l’accesso delle organizzazioni facenti parte del progetto Praesidium e degli enti di tutela prima che siano presi provvedimenti sullo status giuridico dei migranti ed eventuali misure di allontanamento dal territorio italiano.
L’ UNHCR, assieme all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), alla Croce Rossa Italiana (CRI) e a Save the Children, opera in Sicilia nell’ambito del progetto Praesidium, finanziato dal Ministero dell’Interno, con l’obiettivo di fornire informazioni e orientamento a coloro che arrivano sulle coste siciliane e di rafforzare le capacità di accoglienza.
Il mancato accesso ai 128 migranti risulta quindi non conforme alle modalità operative dello stesso progetto.
In cinque anni di attuazione, il progetto Praesidium ha contribuito ad una gestione trasparente dell’accoglienza dei migranti e dei richiedenti asilo giunti in Italia attraverso il Mediterraneo consentendo a chi ne aveva bisogno di richiedere la protezione internazionale.
Un conto è non concedere, a ragion veduta ed esaminati i singoli casi, asilo politico, altra cosa è “nascondere” i profughi e impedire loro di fare la richiesta cui hanno diritto.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio: nonostante le condanne piovute sul nostro Paese per violazione delle convenzioni internazionali dagli organismi europei, qualcuno si ostina a volere fare il furbo.
Senza capire che così si sputtana il Paese perchè le leggi vanno rispettate: prima dell’avvento leghista al governo, l’Italia era considerata non a caso la patria del diritto.
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Ottobre 28th, 2010 Riccardo Fucile
LA MINORENNE MAROCCHINA FU FERMATA PER FURTO, MENTRE ERA IN QUESTURA INTERVENNE PALAZZO CHIGI: “RILASCIATELA, E’ LA NIPOTE DI MURABAK”… INDAGATI LELE MORA, EMILIO FEDE E NICOLE MINETTI…UN ALTRO SCANDALO SULLE “FESTE” DEL PREMIER
Alla questura di Milano, nello stanzone del “Fotosegnalamento”, c’è solo Ruby R., marocchina.
Dire “solo” è un errore, perchè Ruby è molto bella e non si può non guardarla. Se ne sta sulla soglia, accanto alla porta, e attende che i due agenti in camice bianco eseguano il loro lavoro, ma è come se occupasse l’intera stanza.
E’ il 27 maggio di quest’anno, è passata la mezzanotte e i poliziotti hanno già fatto una prova: la luce bianca, accecante, funziona alla perfezione.
La procedura è rigorosa, nei casi in cui un minorenne straniero viene trovato senza documenti: finiti gli accertamenti sull’identità , se non ha una casa o una famiglia, sarà inviato, dopo aver informato la procura dei minori, in una comunità .
È quel che gli agenti si preparano a fare, perchè Ruby ha diciassette anni e sei mesi (è nata l’11 novembre del 1992) e all’indirizzo che ha dato, in via V., non ha risposto nessuno.
Era anche prevedibile: ci abita un’amica che, dice Ruby, è una escort e se ne sta spesso in giro.
All’improvviso, il silenzio dello stanzone si rompe. Una voce si alza nel corridoio. E, alquanto trafelata, appare una funzionaria. “Chiudete tutto e mandatela via!”, è il suo ordine categorico.
Gli agenti sono stupiti. L’altra, la funzionaria, è costretta a ripetere: basta così, la lasciamo andare, fuori c’è chi l’aspetta!
Non è che le cose vanno sempre in questo modo, in una questura.
La ragazza non ha i documenti. Per di più, il computer ha sputato la sua sentenza: l’anno prima Ruby si è allontanata – era il maggio del 2009 – da una casa famiglia a Messina, dove vivono i suoi.
Anche il motivo per cui è finita in questura non è una bazzecola: è accusata di un furto che vale i due stipendi mensili dei poliziotti.
Le cose sono andate così.
Qualche sera prima, una ragazza che ama la discoteca, Caterina P., va in un locale con due amiche. Ballano sino a tardi. Quando lasciano il “privè”, si ritrovano insieme a Ruby R. e tutt’e quattro s’arrangiano a casa di Caterina. La mattina dopo, mentre Ruby dorme come un sasso, o così sembra, le tre amiche vanno a fare colazione al bar sotto casa.
Al rientro, Ruby non c’è più, e chi se ne importa. Ma mancano anche tremila euro da un cassetto e qualche gioiello. Caterina maledice se stessa. Non sa da dove sia piovuta quella ragazzina, non sa dove abita, non sa dove cercarla. Il caso l’aiuta.
Il 27 maggio il sole è tramontato da un pezzo e Caterina passeggia in corso Buenos Aires, quando intravede Ruby in un centro benessere. Chiama subito il 113 e accusa la ladra. La volante Monforte è la più vicina e la centrale operativa la spedisce sul posto. Ruby viene presa e accompagnata al “Fotosegnalamento”.
Con una storia come questa, ancora tutta da chiarire, come si fa a lasciarla andare?
Gli agenti lo chiedono alla funzionaria. La funzionaria scuote il capo.
Dice: di sopra (dove sono gli uffici del questore) c’è il macello, Pietro Ostuni (è il capo di gabinetto) ha già chiamato un paio di volte e vedete (il telefono squilla) ancora chiama. E’ la presidenza del Consiglio da Roma. Dicono di lasciare andare subito la ragazza, pare che questa qui sia la nipote di Mubarak, non ci vogliono nè fotografie, nè relazioni di servizio.
Tutti adesso guardano la ragazza. “E chi è Mubarak?”, chiede un agente.
Il presidente egiziano, spiega con pazienza la funzionaria. Che intanto risponde all’ennesima telefonata del capo di gabinetto, per poi dire: forza ragazzi, facciamo presto, Ostuni ha detto a Palazzo Chigi che la ragazza è già stata mandata via.
L’ultimo affaire o scandalo che investe Silvio Berlusconi nasce dunque tra il primo piano e il piano terra di via Fatebenefratelli 11, in una notte di fine maggio.
Ha come protagonista una minorenne, senza documenti, accusata di furto. E come canovaccio ha una stravaganza: la ragazza viene liberata per l’energica pressione di Palazzo Chigi, che sostiene sia “la nipote di Hosni Mubarak”. Che cosa c’entra la presidenza del Consiglio con una “ladra”?
E perchè qualcuno a nome del governo mente sulla sua identità ?
Quali sono stati gli argomenti che hanno convinto la questura di Milano a insabbiare un’identificazione, in ogni caso a fare un passo storto?
Le anomalie di quella notte non finiscono, perchè ora entra in scena un nuovo personaggio. Attende Ruby all’ingresso della questura.
E’ Nicole Minetti e ha avuto il suo momento di notorietà quando, igienista dentale di Silvio Berlusconi, a 25 anni è stata candidata con successo al Consiglio regionale della Lombardia.
Nicole sa del “fermo” di Ruby in tempo reale da un’amica comune. Fa un po’ di telefonate, anche a Roma, e si precipita all’ufficio denunzie. Chiede di vedere la ragazza. Pretende di portarsela via. Dice che Ruby ha dei problemi e lei se ne sta occupando come una sorella maggiore, ma non riesce a superare il primo cortile della questura.
Soltanto quando Palazzo Chigi chiamerà il capo di gabinetto, la situazione si farà fluida e il procuratore dei minori di turno, interpellato al telefono, autorizzerà l’affidamento di Ruby a Nicole e – ora sono quasi le tre del mattino del 28 maggio – le due amiche si possono finalmente allontanare.
Che cosa succede dopo lo spiegherà Ruby, ma in un interrogatorio che avviene due mesi più tardi: a luglio, quando l’affaire sminuzzato in questura si materializza. Prima al tribunale dei minori e, subito dopo, alla procura di Milano, dinanzi al pool per i reati sessuali.
Una volta in strada Nicole, sostiene Ruby, chiama Silvio Berlusconi: è stato Silvio a dirle di correre in questura; è stato Silvio a raccomandarsi di tenerlo informato e di chiamare appena la cosa si fosse chiarita.
Ora che è finita l’emergenza, Nicole spiega, ride alle carinerie del premier e poi passa il telefono direttamente a Ruby.
Silvio mi dice così: non sei egiziana, non sei maggiorenne, ma io ti voglio bene lo stesso. Da allora non l’ho più visto, ma in questi mesi ci siamo sentiti ancora per telefono.
Ora bisogna spiegare quali sono i rapporti di Ruby con Silvio Berlusconi e non è facile, perchè il loro legame viene ricostruito in un’indagine giudiziaria che deve chiarire (lo ha fatto finora soltanto parzialmente e in modo non esaustivo o definitivo) quando la giovanissima Ruby dice il vero e quando il falso.
E’ un’inchiesta (l’ipotesi di reato è favoreggiamento della prostituzione) in cui il premier non è indagato, anche se gli indagati ci sono e sono tre: Lele Mora, Nicole Minetti, Emilio Fede.
Anzi, il premier potrebbe diventare addirittura parte lesa, perchè prigioniero di un ricatto, vittima di una calunnia o addirittura perseguitato da un’estorsione.
Per evitare gli equivoci molesti disseminati in questi giorni, conviene dire subito che dinanzi ai pubblici ministeri Ruby esclude di aver fatto sesso con il capo del governo.
Come confessa di aver mentito a Berlusconi: gli ho detto di avere ventiquattro anni e non diciassette. Nicole sapeva che ero minorenne e poi anche Lele, Lele Mora, lo ha saputo.
Ruby però racconta delle sue tre visite ad Arcore, delle feste in villa e delle decine di giovani donne famose o prive di fama – molte escort – che vi partecipano.
La minorenne fa entrare negli atti giudiziari un’espressione inedita, il “bunga bunga”. Viene chiamata in questo modo l’abitudine del padrone di casa d’invitare alcune ospiti, le più disponibili, a un dopo-cena erotico.
“Silvio (lo chiamo Silvio e non Papi come gli piacerebbe essere chiamato) mi disse che quella formula – “bunga bunga” – l’aveva copiata da Gheddafi: è un rito del suo harem africano”.
Ruby è stata interrogata un paio di volte a luglio, è però in un interrogatorio in agosto che esplicitamente comincia a raccontare meglio i suoi rapporti con Berlusconi, Fede, Mora e Nicole Minetti. Conviene darle la parola.
Sostiene Ruby che poco più di un anno fa – era ancora in Sicilia – conosce il direttore del Tg4. Emilio Fede è il presidente e il protagonista della giuria di un concorso di bellezza.
Come già è accaduto nell’autunno del 2008 con Noemi Letizia, il giornalista, 79 anni, è amichevole e affettuoso con Ruby. Si dà da fare per il suo futuro, presentandole Lele Mora. Le dice che Lele l’avrebbe potuta aiutare, se avesse avuto voglia di lavorare nel mondo dello spettacolo. Continua »
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Ottobre 28th, 2010 Riccardo Fucile
FUTURO E LIBERTA’ PREPARA IL “MANIFESTO” PER L’APPUNTAMENTO NAZIONALE DEL 6 NOVEMBRE A PERUGIA CHE DARA’ INIZIO ALLA SVOLTA… PUBBLICHIAMO UN CONTRIBUTO DELL’AMICO PEPPE NANNI: “UN PROGETTO INCLUSIVO AL DIVENIRE DELLA SOCIETA’, UN SALTO PER SOTTRARSI ALLA DIALETTICA DEL RANCORE: LA NECESSITA’ DI RAPPRESENTARE GLI INVISIBILI”
Il varco aperto con Futuro e Libertà è sicuramente – guardando oltre gli schemi del politichese – soprattutto un atto di politica generativa, una decisione perchè qualcosa avvenga.
Non c’è infatti politica senza un pensiero che anticipa e accompagna l’azione trasformatrice, non c’è politica senza un pensiero di rottura e slegamento dalle consuetudini.
È stato questo il lievito dell’incontro in cui trenta tra operatori culturali, docenti universitari e giornalisti hanno lavorato all’elaborazione di quello che provvisoriamente definiamo il “manifesto di ottobre”.
Siamo infatti convinti che nella fase in corso di “crisi” del quadro politico e ideologico si apre un varco per una svolta costituente per l’intero quadro. Contro il ricatto paralizzante di passate appartenenze, la vera politica – da sempre – si svolge infatti nel punto in cui si incontrano immaginazioni diverse che congiurano per un futuro preciso e anche esaltante.
Ottobre 2010: questo potrebbe diventare il tempo in cui uomini di diversa provenienza si sono sentiti chiamati a sottoscrivere un patto politico.
Non una retorica litania di valori ma un progetto per l’Italia contemporanea, una concreta costruzione fatta di rigore calcolante e impegno attivo: un’esatta passione, mobilitazione di energie intellettuali ed edificazione materiale di un nuovo paesaggio nazionale.
Il progetto politico, a differenza delle piccole ideologie strumentalmente destinate a difendere interessi asfittici, è sempre inclusivo, mobile, attento al divenire della società : si offre all’intero corpo dei cittadini, stimola l’attivismo, rifugge dall’esclusività dell’appartenenza, allarga sistematicamente il perimetro della partecipazione alle procedure di formazione della res publica.
Si apre davvero, in questa fase, un sommovimento geologico delle categorie: e se si riesce ad approfittare di questa accelerazione, della costruzione di una nuova linea di lettura che considera usurate le vecchie categorie, a partire da quelle ormai logore di destra e sinistra (e ovviamente di centro).
La difficoltà del passaggio è che, contemporaneamente, occorre un salto per sottrarsi alla dialettica del rancore, al ricatto delle precedenti contese, che sono tutte guerre civili, reducismo, faide, rendite di posizione.
Ma nel processo storico-politico i residui di identità cadaveriche mutano soltanto di segno e diventano elementi di mummificazione sistemica.
Se politica è non solo rappresentazione ma presentazione dei “senza parte” – come noi riteniamo – quindi dei molti che attualmente sono esclusi dalla sfera pubblica, non si tratta di avere soltanto il consenso di un elettorato già esistente, fissato una volta per tutte nella sua configurazione, ma di convocare e dare voce a uno strato di cittadinanza attiva che già esiste ed è disperso in forma molecolare ma che deve oggi raccogliersi e darsi forma.
Nel continuum plumbeo di una commedia a regia qualunquista, tesa di fatto a negare la politica, nella conseguente irrilevanza culturale e inefficienza politica di un bipartitismo malato, si apre un varco, per tutti i cittadini liberi, e per tutti gli individui pensanti, non vincolati da antiche appartenenze.
E prima che il ghiaccio si richiuda si può condensare una politica lunga e rendere di fatto “irreversibile” la formazione di un nuovo soggetto politico.
E prima che sui programmi, la rottura è comunque sul modello antropologico: la linea di frattura descrive un nuovo soggetto politico che, per il bene comune, fa partito perchè responsabilmente si fa parte distinguendosi per stile culturale e per etica pubblica.
E, paradossalmente solo attraverso il pensiero e l’immaginazione, le idee e il progetto, la politica può ritrovare il senso della realtà , ovvero raggiungere di nuovo una moltitudine afflitta da tempo da rassegnazione esistenziale e da un’epidemica depressione del “sentimento pubblico”.
Fondamentalismi e chiusure sempre più presenti o evocato nella drammatizzazione della politica sono in realtà prodotti della paura del nuovo, culture regressive che impediscono a una società complessa e multiculturale di attrezzarsi con regole che consentano sviluppo e coesione.
E con la paura non si fa grande politica, ci si rannicchia in un atteggiamento difensivo, incapace di governare le sfide del tempo.
Occcorre invece rappresentare gli “invisibili”, cioè riconoscere e rappresentare tutti i soggetti potenzialmente attivi e oggi confusi nella massa grigia dei non-votanti, così quanti non sono sensibili ai rilevamenti statistici: precari, giovani, immigrati, tutti i renitenti alla socialità politica.
E tra i ceti meno rappresentati ci sono anche le fasce pensanti della popolazione, in particolare quanti sono stati finora refrattari alla politica perchè politicamente più esigenti e quindi non corrisposti dalle logiche che in questi anni hanno monopolizzato la sfera pubblica.
Ritorno a una cittadinanza consapevole, nuovo patriottismo repubblicano, legalità , diritti civili e libertà politica: su questi e altri versanti lanciamo la sfida con il nostro “manifesto”.
Riteniamo che il momento sia quello giusto.
Peppe Nanni
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