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SCANDALO CODA ALLE POSTE : LA VERITA’ E’ CHE IL SOFTWARE FA SCHIFO

Giugno 7th, 2011 Riccardo Fucile

L’HANNO PAGATO 40 MILIONI DI EURO E DOPO SEI MESI SI E’ SCOPERTO CHE ERA BACATO… SUL BANCO DEGLI IMPUTATI IBM E HP, MA QUALCUNO IPOTIZZA UN ATTACCO INFORMATICO

A mezzogiorno nell’ufficio postale di via Usodimare – Roma, quartiere Ostiense – siamo quasi alla rivolta: «Per ogni operazione ci vuole più di un’ora, io devo ritirare la pensione, è da venerdì che ci provo e non ci riesco».
E poi: «Questa tecnologia ha rovinato proprio tutto, ma fare le cose a mano no?».
E ancora: «Ma perchè non usano la macchina da scrivere?».
Tina, Maria, Giuseppe, Carlo e molti altri, la maggior parte pensionati, che in questi giorni sono andati agli sportelli postali e, dopo attese snervanti, sono tornati a casa furiosi.
Alla base di tutto vi è un piccolissimo bug (un errore di software) che sta facendo impazzire i tecnici di Ibm e Hp.
L’Sdp (Service delivery platform) è il nome del programma, è costato circa quaranta milioni di euro e si è impiantato: con la beffa che il vecchio sistema è ancora l’unico a funzionare.
Un esperto di sicurezza informatica, che vuole rimanere anonimo, per motivi “istituzionali” dice addirittura di non escludere un attacco informatico dall’esterno che a suo giudizio non verrebbe mai comunicato dalle aziende fornitrici del programma per motivi di cattiva pubblicità .
Comunque la nuova piattaforma di sportello è in funzione dal novembre del 2010 ed è basata su una architettura centralizzata dove la periferia raggiunge il centro attraverso la rete a banda larga.
Il vecchio sistema era denominato PGO ed era basato invece su una architettura distribuita sui singoli uffici.
Nel frattempo si muovono le associazioni dei consumatori. Il Codacons, chiederà  50 euro di indennizzo per le attese superiori alle due ore e 25 per ogni altra ora di attesa.
«I disservizi di questi giorni a Poste Italiane sono dovuti a un grave incidente informatico e quindi non è il caso di fare operazioni di sciacallaggio», ha risposto il presidente dell’Autorità  della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà : vero, ma qualcuno quel software l’ha acquistato e dovrebbe prendersene la responsabilità , anche economica, rivalendosi poi sul fornitore.
Invece dalle Poste arrivano solo pillole di bromuro: «Il sistema non si è mai bloccato ma solo rallentato», dice il comunciato ufficiale.
«La media giornaliera dei servizi erogati è stata superiore sempre ai 5 milioni di operazioni senza peraltro alcun impatto sui canali on line, self-service, ATM e chioschi, che sono sempre stati operativi. Il nostro obiettivo rimane quello di arrivare a ridurre i tempi di rilascio dei nuovi servizi, per semplificare l’operatività  e incrementare la sicurezza delle operazioni di sportello».
Per quanto riguarda il software con il baco, si specifica che «il sistema è stato scelto a seguito dell’aggiudicazione di una gara europea vinta da un raggruppamento temporaneo di impresa di cui Ibm è la capogruppo e di cui fanno parte Hp e Gepin».
Insomma, autocritica zero, siamo in Italia.
Intanto su Facebook e Twitter rimbalzano a centinaia le proteste dei consumatori.
Perfino un rapinatore ignaro dei malfunzionamenti informatici è entrato oggi nell’ufficio postale di Staffoli in Toscana ed è rimasto sorpreso dal magro bottino consegnatogli dalla cassiera.

Davide Mosca
(da “L’Espresso”)

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LA TV DI STATO HA SCELTO IL SUICIDIO: NESSUN NETWORK LICENZIEREBBE UNO COSI’

Giugno 7th, 2011 Riccardo Fucile

AUTOLESIONISTICO RINUNCIARE A 6 MILIONI DI SPETTATORI A PUNTATA…DALLA RAI SEGNALE DI SUDDITANZA PSICOLOGICA E IDEOLOGICA: SANTORO ANDAVA CONTRASTATO CON TRASMISSIONI MIGLIORI

Michele Santoro e la Rai si sono lasciati, questa volta hanno fatto sul serio.
Dopo trent’anni di tumultuosa convivenza, dopo un breve «tradimento» con Italia 1, dopo un estenuante braccio di ferro con l’ex direttore Mauro Masi, è venuto il momento del clamoroso addio.
«Hanno inteso definire transattivamente il complesso contenzioso», si legge in una nota diffusa dalla Rai, con un linguaggio che richiama più i divorzi fra star che le cause di lavoro.
Inutile girarci intorno: per Silvio Berlusconi Annozero era diventato un’ossessione.
Qualcuno gli avrà  pure spiegato che la trasmissione spostava pochi voti e che un servizio pubblico non è a totale disposizione del governo.
Non c’è stato verso: Berlusconi voleva la sua testa e il nuovo dg di Viale Mazzini, Lorenza Lei, gliel’ha consegnata con una risoluzione consensuale.
Nonostante la condizione di martire lo esaltasse, non dev’essere stato facile per Santoro, specie negli ultimi tempi, lavorare «coattivamente» al programma, tutelato dal pretore del lavoro e non più dalla Rai.
È stato più volte osservato come Santoro abbia sempre dato il meglio di sè (almeno in termini di ascolti) quando viene provocato, quando, drammaturgicamente, riesce a trasformare il suo personale patimento in un sacrificio.
Però, a ogni puntata, c’era una grana, uno di quegli intoppi che ti impediscono di lavorare con serenità .
La situazione ha comunque del paradossale, dell’inverosimile: qualunque network, in qualunque parte del mondo, non licenzierebbe mai uno come Santoro.
Bisogna essere autolesionisti per liquidare un programma che veleggia sui 5 o 6 milioni a puntata, con picchi che superano i 7 milioni e uno share che va oltre il 20%.
Tutte le volte che si atteggia a Masaniello, Santoro è insopportabile, ma nessuno può negare che sappia fare bene il suo mestiere. Lo sa fare, eccome!
Nel tempo si è atteggiato a ideologo unico delle nostre coscienze, si è comportato come un televenditore di libertà , ha sviluppato il suo ego in maniera ipertrofica, si è circondato del peggior giustizialismo, si è convinto di «essere la perla del Servizio pubblico», ha agito spesso con disinvoltura intellettuale, ma ha sempre garantito all’azienda profitti e ascolti: avere una trasmissione che rende all’azienda il doppio di incasso rispetto ai costi e chiuderla è una follia.
Il divorzio sarà  anche stato consensuale, ma la Rai lancia un segnale di debolezza, di insicurezza, di sudditanza psicologica e ideologica.
Lo abbiamo scritto mille volte: sul piano della comunicazione c’era un solo modo per combattere Santoro, fare una trasmissione più interessante della sua.
Tentativi ne sono stati fatti, gli esiti li conosciamo: fallimentari.
Cosa farà  ora Santoro? Si parla di un suo passaggio a La7.
Se così fosse, potremmo assistere a una mezza rivoluzione in campo televisivo.
Per la rete di Telecom, maggio è stato il mese dell’exploit: gli ascolti medi sono quasi raddoppiati, facendo registrare un 4,5% in prime time che, negli ultimi quindici giorni, è diventato un 5,3%.
Artefice primo del risultato è stato Enrico Mentana, che ha saputo occupare gli enormi spazi lasciati liberi da un’informazione sospesa tra partigianeria e pressapochismo.
Con un telegiornale delle 20 che viaggia, attualmente, su una media di 2.500.000 spettatori (11,6% di share), e un’edizione delle 13.30 che supera il 1.100.000 spettatori, il direttore ha «illuminato» l’intera rete ed è stato sapiente nel «fare squadra».
Se arrivasse anche il pubblico di Santoro ci sarebbe da ridere.
E sarebbe un chiaro segnale che Berlusconi non fa più paura.

Aldo Grasso
(da “Il Corriere della Sera“)

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SANTORO SE NE VA: “IMPOSSIBILE CONTINUARE COSI'”. E ORA MICHELE TRATTA CON LA7

Giugno 7th, 2011 Riccardo Fucile

“ANNOZERO” FINISCE LA STAGIONE IN RAI: MISSIONE COMPIUTA PER I BERLUSCONES… LA BECERODESTRA CHE NON SA CONFRONTARSI E PRODURRE PROGRAMMI ALTERNATIVI DI QUALITA’ PREFERISCE FAR TACERE CHI DISSENTE…PER LA RAI UN BAGNO DI MILIONI, DI CUI DUE A SANTORO

Chi in queste ore ha parlato con Michele Santoro lo descrive rassegnato a questa soluzione. Non furioso come in altre occasioni, nè tanto meno contento di vedere chiudere così, con la risoluzione del contratto, l’avventura di Annozero.
Dispiaciuto, esasperato di sentirsi a malapena tollerato da un’azienda in cui è campione di ascolti. «Sembra che gli sia concesso andare in onda solo perchè c’è una sentenza a stabilirlo, come se non contassero i sei milioni di spettatori che quest’anno gli hanno fatto vincere 16 prime serate su trenta. Non può rivedere minimamente il format, non può spostare manco una pianta che la Rai lo riprende», sottolinea un amico.
Tanto per capire quanto l’azienda pubblica punti sul suo conduttore da 21 punti di share, basti ricordare che non ha mai rinunciato a ricorrere in Cassazione contro la sentenza che ne ha disposto il reintegro.
Oggi il conduttore spiegherà  in una conferenza stampa le sue motivazioni.
E forse svelerà  anche la sua prossima destinazione, su cui le voci si rincorrono senza trovare una conferma ufficiale.
Gli amici giurano: non ha ancora firmato nessun altro contratto.
Ma sono certe trattative con La7: nulla ancora di definitivo, non c’è la firma nero su bianco, ma sono talmente avanzate che si parla già  della possibile disposizione oraria, una prima serata e due seconde serate.
E a darne conferma interviene lo stesso direttore del Tg de La7, Enrico Mentana, in apertura del telegiornale di ieri sera: «Con la nostra emittente le trattative, i rapporti, i discorsi ci sono stati: ora spetta a Santoro prendere la decisione definitiva».
Sciogliendo il contratto e «recuperando la piena reciproca autonomia decisionale», l’azienda pubblica non gli avrebbe infatti chiesto nessun patto di non concorrenza della durata di due anni, cosa che avviene spesso con i manager. E il fatto che non ci sia un accordo di questo tipo desta qualche inquietudine tra consiglieri di amministrazione, come Antonio Verro: «Sono molto preoccupato».
Quando l’anno scorso si parlò di una possibile risoluzione del contratto, trattata con l’allora dg Masi, venne subito stabilito che si sarebbe occupato di docufiction per l’azienda pubblica: evitando così di vederlo migrare su emittenti concorrenti insieme ai suoi milioni di fan.
«Sul raggiungimento dell’intesa non metto lingua – ha aggiunto Verro – la seguo con molto distacco perchè è frutto di una valutazione maturata tra il direttore generale e Santoro».
Un accordo su cui chiede di applicare la massima trasparenza il centrista Roberto Rao: «La Rai deve rendere pubblici tutti i particolari dell’accordo transattivo per permettere di sapere chi ha guadagnato e chi ha perso in questa operazione».
Già , perchè resta la domanda su quanto possa costare all’azienda pubblica chiudere il rapporto con Santoro.
Trapela una cifra: si parla di circa due milioni di euro per 24 mensilità  di uscita agevolata. Di certo, comunque, l’ammontare della buonuscita deve essere inferiore ai 2,5 milioni: sopra questa cifra è necessario un passaggio in Cda che invece non è avvenuto.
Eppure, le voci di Viale Mazzini non danno ancora per escluso nemmeno un rientro in Rai tramite «altre e diverse forme di collaborazione», come recita il comunicato diffuso ieri.
Con il nuovo dg, Lorenza Lei, il conduttore ha avuto vari scambi e il rapporto, raccontano, è migliore – non ci voleva molto – rispetto a quello turbolento col predecessore Masi.
Si vocifera della possibilità  che si occupi di eventi per la Rai, o comunque di un trasloco in altra forma ma sempre nell’orbita dell’azienda pubblica.
Anche se dall’opposizione c’è chi scuote la testa: il sospetto è che la testa di Santoro (e la fine di Annozero) sia il prezzo da pagare perchè tutti gli altri programmi invisi alla maggioranza tornino regolarmente in tv in autunno.

Francesca Schianchi
(da “La Stampa“)

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VERTICE DEL VECCHIUME AD ARCORE: MARCIA INDIETRO SU TUTTO, BOSSI FA FINTA DI CHIEDERE, SILVIO FA FINTA DI ESISTERE

Giugno 7th, 2011 Riccardo Fucile

NESSUNA RIDUZIONE DELLE TASSE, NESSUN VICEPREMIER, ALFANO NON MOLLA LA POLTRONA DI MINISTRO, I MINISTERI AL NORD SI RIDUCONO A QUALCHE UFFICIO DI RAPPRESENTANZA, AI REFERENDUM “CI SI ADEGUERA'”… PIU’ FITTE LE DELEGAZIONI DEI COMPAGNI DI MERENDA CHE LE IDEE PARTORITE DAL CONCLAVE DI ARCORE

“L’alleanza con la Lega è solida, andiamo avanti fino a fine legislatura”.
Il ministro della Giustizia e neosegretario del Pdl Angelino Alfano ci prova a riassumere le circa tre ore inutili di vertice tra i bolliti Umberto e Silvio
Sul tavolo c’era la strategia dell’esecutivo per rispondere al risultato catastrofico delle amministrative, l’atteggiamento del Carroccio e la questione economica.
E proprio sul fisco non si segnalano passi avanti. “Taglio delle tasse? E’ programmata la riforma fiscale, poi vedremo cosa si potrà  fare” glissa Silvio Berlusconi, aggiungendo poi un’espressione ancor più aggrovigliata che suona molto come una dichiarazione di impotenza:   “Noi vogliamo sempre farlo, ma bisogna vedere se le condizioni ci consentiranno di farlo. L’intenzione è quella”.
Il presidente del Consiglio nega inoltre di aver parlato con la Lega del candidato premier nel 2013.
E si dice fiducioso sulla tenuta del governo: “Durerà  fino alla fine della legislatura”.
In realtà , riferiscono alcune indiscrezioni, il Cavaliere si sarebbe trovato davanti un Bossi che prendendo in contropiede il suo interlocutore gli avrebbe chiesto di valutare la possibilità  di prepararsi anche all’eventualità  del voto anticipato. Davanti a questa possibilità  fatta balenare dal ‘Senatur’ – riferisce chi ha partecipato all’incontro – da parte di Berlusconi non sarebbero arrivate però risposte chiare.
Il ministro Alfano nasconde la possibilità  di una manovra entro giugno: “Abbiamo avuto un discorso di ordine generale e non era questa la sede in cui parlare in dettaglio ma ciò che importa politicamente è che si è ulteriormente rafforzata la volontà  di andare avanti e concludere questa legislatura”.
Sembra, dunque, che Giulio Tremonti sia riuscito ad imporre la sua linea del rigore, accantonando la richiesta leghista di dare, almeno al momento, un segnale alla base con provvedimenti per le piccole e medie imprese o addirittura con un abbattimento di un punto percentuale di tutte e 5 le aliquote in vigore.
Alfano giura che “non si è parlato dell’ipotesi di nominare due vicepremier” (circolava l’ipotesi che il Carroccio ne volesso uno), mentre per quanto invece riguarda il suo ruolo di ministro della Giustizia rimanda a quando “la mia funzione di segretario entrerà  nel vivo con la modifica dello statuto del Pdl”.
Passeranno mesi, per capirci., nulla pare più urgente, è una ritirata su tutta linea del fronte.
Al Nord dovrebbero essere dislocati degli uffici di rappresentanza di alcuni ministeri, pur se “altamente operativi”.
In pratica il nulla, tanto è vero che Alemanno ha dato volentieri l’assenso, visto che nulla si trasferirà  da Roma.
Solo palle da spendersi, uso gonzi di Pontida.
Quanto ai referendum, il premier si è già  detto pronto ad adeguarsi al voto popolare, l’importante è non mollare la poltrona.
Da sottolineare la presenza al summit del condannato in secondo grado per appropriazione indebita e ricettazione Aldo Brancher.
Un tocco di classe non guasta mai: nulla che non sia elegante.

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DAL PATTO DELLA CROSTATA A QUELLO DELLA PROSTATA

Giugno 7th, 2011 Riccardo Fucile

BOSSI E BERLUSCONI RAPPRESENTANO SOLO DUE VECCHI MARPIONI CHE NON VOGLIONO STACCARSI DALLE POLTRONE

Lontani i tempi dell’ormai famoso patto della crostata: si era poco dopo la vittoria dell’Ulivo nel ’96 e il segretario del Pds, Massimo D’Alema, ebbe l’idea di iniziare a dialogare con l’opposizione.
Gianni Letta si incaricò di organizzare una cena a casa sua, ospiti Berlusconi e il leader Massimo.
Tra l’antipasto e il secondo i due trovarono un accordo, che venne siglato davanti al dolce: un’eccellente crostata.
E D’Alema divenne presidente della commissione Bicamerale.
Oggi nella residenza di Arcore, più che un patto stretto con una crostata, vista la consistenza e l’età  dei partecipanti, si potrebbe parlare di un patto della “prostata”.
E che, niente di più, rappresenta la proiezione plastica di due marpioni che non si staccano da incarichi e da immaginari collettivi: Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, con i rispettivi limiti, con gli staff immobili, con sensi ormai appannati da anni di battaglie e di esecutivi.
E che proprio per questo dovrebbero cedere il passo, ma non in maniera fittizia come fatto qualche giorno fa dal premier con Angelino Alfano alla guida del Pdl.
Ma realmente, e senza artifizi.
Quel patto, e oggi questo, danno il polso del paese.
Con mesi trascorsi senza il vero ricambio, dove le novità  semplicemente hanno abitato altrove.
Dove, tra scuse per mascherare grandi sconfitte e giustificazioni infantili per depistare insinuazioni su abitudini personali, si è solo perso il senso della misura.
Già  pronto il nuovo slogan, che suggellerà  proprio il nuovo patto tra Silvio e Umberto: più pappagalli per tutti.
E arrivederci alla freschezza del nuovo.

(da “il Futurista“)

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IL FALSO MITO DELL’ACQUA PRIVATA, LA VERITA’ SUI COSTI, LA DISPERSIONE E L’EFFICIENZA: L’ACQUA PRIVATA HA PORTATO SOLO AUMENTI DEL 12%

Giugno 7th, 2011 Riccardo Fucile

IL DOSSIER DI “ALTRAECONOMIA” SFATA PUNTO PER PUNTO TUTTE LE FALSE CREDENZE NATE INTORNO ALLA PRIVATIZZAZIONE DEL SERVIZIO IDRICO ITALIANO….GLI ACQUEDOTTI PUBBLICI NON SONO AFFATTO DEI COLABRODO ….GESTIONE PRIVATA FA RIMA CON BOLLETTA SALATA

Mito numero uno: gli acquedotti “pubblici” sono dei colabrodo.
Falso: secondo i dati di Mediobanca, il peggiore, se consideriamo la dispersione idrica (litri immessi in rete e non fatturati/abitanti/lunghezza della rete gestita), è quello di Roma, dove l’acquedotto è affidato ad Acea, una spa quotata in borsa i cui principali azionisti sono il Comune di Roma, Francesco Gaetano Caltagirone e Suez.
In vista del referendum del 12 e 13 giugno, Altraeconomia ha pubblicato un dossier “speciale” Lo scopo? Sfatare punto per punto tutte le false credenze nate intorno alla privatizzazione del servizio idrico italiano. A partire dai costi.
Secondo il Conviri (Commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche), per i prossimi 30 anni servono circa 64 miliardi di euro per la manutenzione e l’ammodernamento delle reti idriche di casa nostra.
Due miliardi l’anno, una cifra standard necessaria in ogni caso, a prescindere dall’esito del referendum.
Di questi, il 49,7% è diretto al comparto acquedottistico (per nuove reti,   impianti e per manutenzione) mentre il 48,3% alle fognature e alla depurazione.
A metterci i quattrini dovrebbero essere lo Stato, le Regioni e i Comuni d’Italia dato che quelli – spiega Pietro Raitano, direttore del mensile Altreconomia e curatore del dossier Speciale Referendum – sono “soldi delle nostre tasse, gli stessi che vengono usati anche per riparare le strade, per costruire il ponte sullo Stretto o per la Difesa”.
Ed ecco sfatato il secondo mito.
Con l’ingresso dei privati, la bolletta non si ridimensionerà . Al contrario, ai costi standard appena elencati se ne aggiungono altri.
Per fare i lavori infatti (gli stessi che dovrebbero fare gli enti pubblici) le aziende punteranno al risparmio tentando di “scaricare l’investimento sulle bollette, come previsto dalla legge”.
Dunque, nel conto di ogni italiano saranno inclusi, oltre ai lavori ordinari, “anche gli utili delle aziende”, spiega Raitano.
La concorrenza tra privati non basterà  a contenere i costi. Anzi.
In assenza di ulteriori interventi normativi e in virtù della legge Galli del 1994, come modificata dal dl 152/2006, i costi di tutti gli investimenti sulla rete acquedottistica finiranno in bolletta.
Il business ringrazia. I consumatori non proprio perchè – conclude Raitano – pretendere tariffe più basse significherebbe – trattando con dei privati – “necessariamente un blocco degli investimenti”.
La privatizzazione della gestione dell’acqua prevista dal decreto Ronchi (numero 135 del 2009) ha dunque di fatto provocato un aumento dei costi.
A dimostrarlo sono anche le cifre del rapporto Blue Book che ha pensato di confrontare le tariffe della gestione privata con quelle in house.
Risultato?
Nel primo caso sono aumentate del 12% rispetto alle previsioni, nel secondo il dato è rimasto quasi costante (solo l’1% in più).
Conferma la tendenza anche l’annuale dossier, realizzato dall’Osservatorio Prezzi & Tariffe di Cittadinanzattiva, dal quale si scopre che dal 2008 il costo dell’acqua non ha fatto che aumentare: la media è +6,7%, con aumenti del 53,4% a Viterbo (record nazionale), Treviso (+44,7%) Palermo (+34%) e in altre sette città , dove gli incrementi hanno superato il 20%: Venezia (+25,8%), Udine (+25,8%), Asti (+25,3%), Ragusa (+20,9%), Carrara (+20,7%), Massa (+20,7%) e Parma (+20,2%).
In generale, gli incrementi si sono registrati in 80 capoluoghi di provincia ma è la Toscana che si conferma la regione con le tariffe mediamente più alte (369 euro).
Costi più elevati della media nazionale anche in Umbria (339 euro), Emilia Romagna (319 euro), Marche, Puglia (312 euro) e Sicilia (279 euro) mentre capita spesso di trovarsi di fronte a differenze all’interno di una stessa regione: l’acqua di Lucca costa 185 euro in meno di quella di Firenze, Pistoia e Prato.
Stessa cosa in Sicilia: tra Agrigento e Catania lo scarto è di 232 euro. D’altra parte, la logica che muove ogni business degno di tale nome – scrive Luigino Bruni, docente di economia politica all’università  Milano-Bicocca – è quella di fare utili, possibilmente a breve termine.
Il ragionamento fila: “Le imprese private hanno per scopo il profitto. Chi massimizza il profitto non tiene conto dell’ottimo sociale e difficilmente può essere controllato, nemmeno con un meccanismo di sanzioni”.
Sul tema dell’acqua poi sembra circolino tanti altri falsi miti.
Si dice, ad esempio, che la gestione privata della rete idrica sia molto efficiente. Sbagliato.
“Uno dei migliori acquedotti del nostro Paese – spiega Raitano – è quello di Milano, al cento per cento di gestione pubblica, dove l’acqua viene controllata più volte al giorno e le dispersioni sono minime”.
E’ quindi “dogmatico dire che la gestione privata garantisce una migliore gestione della rete. Le esperienze che si sono fatte in questi anni in Calabria, ad Agrigento, a Latina dimostrano che dove gli acquedotti sono passati in mano ai privati c’è stato solo un aumento delle tariffe”.
E’ successo in Calabria, dove alcuni sindaci della Piana di Gioia Tauro si sono visti raddoppiare la bolletta.
A San Lorenzo del Vallo, comune di 3.521 abitanti della provincia di Cosenza, il conto è salito da 100 a 190 mila euro l’anno perchè   –   spiega il sindaco   –   l’azienda che gestisce l’acqua in tutta la Calabria (la So.Ri.Cal) con concessione trentennale ha arbitrariamente aumentato la tariffa del 5%.
Una cifra, questa, pari all’intero bilancio del piccolo comune che, non avendo saldato il debito, e stato dichiarato moroso.
Privati o no, la gestione idrica pubblica in Italia sembra aver fallito. Il Belpaese spreca acqua continuamente.
Ogni giorno si perdono circa 104 litri di sangue blu per abitante, il 27% di quella prelevata. Considerando ogni singolo italiano si scopre che consumiamo a testa in media 237 litri di liquido al giorno: 39% per bagno e doccia, 20% per sanitari, 12% per bucato, 10% per stoviglie, 6% per giardino, lavaggi auto e cucina, 1% per bere e 6% per altri usi.
A fronte di un terzo dei cittadini che non ha un accesso regolare e sufficiente alla risorsa idrica, otto milioni di italiani non ne hanno di potabile e 95 milioni di litri di acqua che, ogni anno, vengono usati per l’innevamento artificiale.
Dunque il problema – conclude il dossier – non si risolve nemmeno affidando l’acqua ai privati che – per loro natura   – tenderebbero a spostare le reti idriche nelle zone d’Italia più fruttuose.
Il punto semmai è la totale assenza di un piano normativo, economico ed amministrativo nazionale volto a finanziare e supportare le tecnologie necessarie.
In alcune regioni d’Italia mancano ancora gli Ato, ambiti territoriali ottimali, territori appunto su cui sono organizzati servizi pubblici integrati.
Come quello dell’acqua o dei rifiuti.

Giulia Cerino
(da “La Repubblica“)

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“NUCLEARE: SI RISCHIA SENZA VANTAGGI ECONOMICI: CHERNOBYL E FUKUSHIMA NON BASTANO?”

Giugno 7th, 2011 Riccardo Fucile

L’OPINIONE DI GIANNI SILVESTRINI, DIRETTORE SCIENTIFICO DEL KYOTO CLUB….IN FRANCIA TRA IL PRIMO REATTORE E L’ULTIMO I COSTI SI SONO TRIPLICATI IN 25 ANNI, NEGLI USA ADDIRITTURA DECUPLICATI….E RIMANE IRRISOLTO IL PROBLEMA DELLE SCORIE

«Non bastano due incidenti terribili in meno di trent’anni per decidere finalmente di sbarazzarci del nucleare? Nessun calcolo delle probabilità  poteva metterli in conto».
Uno è stato un maremoto di dimensioni epocali, non un incidente nel reattore nucleare.
Gianni Silvestrini lei è direttore scientifico del Kyoto Club e si occupa da sempre di politica energetica: non crede che il nucleare possa essere una risorsa per l’Italia?
No. Da nessun punto di vista. Non dal punto di vista della sicurezza. Meno che mai da quello economico.
Veramente si parla di reattori particolarmente sicuri. Di una sicurezza intrinseca…
Quando si parla di questi reattori ci si riferisce a reattori di quarta generazione che prevedono lo spegnimento automatico. Ma non saranno pronti prima del 2030 e non potranno andare in rete prima del 2040. Noi non possiamo aspettare trent’anni. E poi…
Poi cosa?
Guardiamo il Giappone: doveva essere la centrale più sicura della Terra. E invece adesso anche loro hanno ammesso un errore di fondo. Perchè dobbiamo rischiare tanto? Soprattutto: non ci conviene affatto.
Dal punto di vista economico, intende?
Già , dire che si punta sul nucleare per ridurre la bolletta elettrica è la bugia più grande che poteva mai essere detta nel nostro Paese».
È sicuro?
Basta guardare i conti fatti dal dipartimento Energia del governo americano: hanno messo a confronto i costi energetici del nucleare, del carbone, del gas e dell’eolico proiettandoli al 2020 e al 2030.
In tutti e due i prospetti, il nucleare è risultato sempre il più costoso. Ma non solo.
Cos’altro?
In Francia fra la costruzione del primo reattore e l’ultimo, ovvero in circa venticinque anni, i costi sono triplicati. Negli Stati Uniti addirittura decuplicati. Per non parlare poi del problema delle scorie radioattive.
Un problema irrisolto…
Già . E questo a cinquant’anni dall’utilizzo commerciale dell’energia nucleare. In più nel mondo esiste un unico cimitero di scorie radioattive, nel deserto del Nevada. Anzi: esisteva, visto che tre anni fa con l’arrivo di Obama si è deciso di chiuderlo.
Nessuno spiraglio verso l’energia nucleare, dunque...
Non ha nessun senso. Soprattutto se guardiamo i costi delle energie rinnovabili che continuano a ridursi con l’avanzare delle tecnologie.

Alessandra Arachi

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POSTE ITALIANE DA TERZO MONDO: SERVIZI BLOCCATI DA GIORNI E GRAVI DISAGI AGLI UTENTI A CAUSA DI UN PROBLEMA AL SERVER CENTRALE

Giugno 7th, 2011 Riccardo Fucile

L’AGCOM INTERVIENE: “IL DISSERVIZIO PERDURA, E’ INACCETTABILE, SI TRATTA DI UN EPISODIO INCREDIBILE”… MIGLIAIA DI PENSIONATI COSTRETTI A LUNGHE E INUTILI CODE: MOLTI SONO IN DIFFICOLTA’ PER NON POTER NEANCHE   RITIRARE QUEL POCO CHE PERMETTE LORO DI VIVERE

«Non è accettabile il perdurare dell’incredibile disservizio che sta ancora paralizzando gran parte del sistema informatico di Poste Italiane».
Lo afferma in una nota il commissario dell’Agcom Gianluigi Magri.
Da mercoledì numerosi servizi postali sono bloccati a cause di un problema al server centrale di Poste Italiane.
«Non è accettabile – secondo Magri – che tali problemi perdurino e non è accettabile che non vi sia una chiara disanima degli avvenimenti individuando le specifiche responsabilità . Nell’era della tecnologia e della comunicazione simili incredibili episodi minano non solo la capacità  di garantire un pubblico servizio, ma anche la credibilità  di chi dovrebbe garantirlo».
Si moltiplicano i disservizi e le lunghissime code agli sportelli.
Segnalazioni da tutte le pricipali città  italiane: “Da quattro giorni impossibile avere la pensione e pagare le bollette”.
Lunghe code si segnalano a Roma: “Stamattina c’erano centinaia di persone – è la testimonianza di una signora – poi sono andate via una volta resesi conto che i terminali continuavano a non funzionare e che era probabilmente inutile attendere”.
Forti disagi anche a Firenze, dove i pensionati, in attesa da quattro giorni di poter ritirare la pensione, sono ormai al limite della sopportazione.
Nel frattempo, le associazioni dei consumatori esprimono soddisfazione dopo aver ottenuto da Poste Italiane l’apertura di un tavolo di conciliazione finalizzato a risarcire gli utenti danneggiati dai disagi informatici dei giorni scorsi.
“Invitiamo i cittadini che nei giorni scorsi hanno avuto problemi con i servizi postali a conservare tutte le prove dei disagi subiti, come ad esempio bollette, fatture, e contravvenzioni scadute – spiega il presidente del Codacons Carlo Rienzi – documenti utili per dimostrare i danni materiali legati al disservizio”.

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SINDACO PD INDAGATO PER CORRUZIONE IN EMILIA: IL COMUNE DI SERRAMAZZONI RISCHIA DI ESSERE SCIOLTO PER MAFIA

Giugno 7th, 2011 Riccardo Fucile

IL SINDACO INDAGATO METTE IN IMBARAZZO IL PD REGIONALE… TUTTI TACCIONO, IN ATTESA DEGLI SVILUPPI DI UNA STORIA DI APPALTI E MAZZETTE, IN STRETTA CONNESSIONE CON LA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA

Gli incontri tra un sindaco del Pd, Luigi Ralenti di Serramazzoni, con un ex soggiornante obbligato, Rocco Antonio Baglio da Polistena, scuotono la sinistra in Emilia Romagna. Rifondazione Comunista invoca le dimissioni del primo cittadino, l’assessore regionale di Sel Massimo Mezzetti chiede alla classe dirigente di valutare, se sarà  necessario, anche la possibilità  di sciogliere il consiglio comunale.
Ralenti, militante dal 1972 nella Democrazia Cristiana poi confluito nel partitone con gli avversari di un tempo, governa da 9 anni il piccolo centro dell’appennino modenese (8mila abitanti a 800 metri d’altitudine) che nel 2007 lo ha incoronato con il 68% dei voti (lista civica Serra insieme).
Da alcune settimane è indagato per corruzione e turbata libertà  di scelta del contraente nell’inchiesta dei Pm Claudia Natalini e Giuseppe Tibis sugli appalti per l’ampliamento del polo scolastico (già  realizzato al costo di 230mila euro) e la ristrutturazione dello stadio (progetto da 1 milione e 100mila euro) affidata in project financing a un’associazione temporeanea di imprese.
La Guardia di Finanza, che ha notificato gli avvisi di garanzia anche al dirigente comunale Rosaria Mocella e al capo cordata Marco Cornia, presidente dell’Ac Serramazzoni, ipotizza un ‘do ut des’ per l’assegnazione dei lavori edili a due società  a responsabilità  limitata: la partner dell’Ati Restauro e Costruzioni intestata a Giacomo Scattareggia, sotto processo lunedì a Reggio Calabria per turbativa d’asta negli appalti di Condofuri (Comune della Piana di Gioia Tauro sciolto per mafia), e la subappaltatrice Unione Group.
Entrambe sarebbero riconducibili ad una vecchia conoscenza degli inquirenti, Rocco Antonio Baglio.
Arrivato trent’anni fa a Fiorano su disposizione del tribunale di Reggio Calabria, indicato nei rapporti dei carabinieri vicino alla ‘ndrina Longo Versace e referente delle cosche operanti nel modenese, negli anni Novanta Baglio fu arrestato per un arsenale sequestrato a Torre Maina di Maranello e per la bancarotta fraudolenta della società  Mida’s assieme all’avvocato Fausto Bencivenga.
Oggi è sospettato di una duplice azione criminale: la corruzione del sindaco Ralenti e l’incendio che in luglio ha devastato la villa di Serra di un potenziale concorrente, il costruttore Giordano Gibertini.
Le fiamme gialle modenesi hanno sequestrato corposa documentazione cartacea e informatica, ascoltando come persona informata sui fatti anche il sindaco di Maranello Lucia Bursi.
Ralenti, interrogato giovedì e sabato scorso, ha negato ogni addebito e spiegato di avere avuto “normali colloqui istituzionali” con Baglio.
Questi, in un’intervista al Resto del Carlino dove garantiva di aver cambiato vita, ha sottolineato di essere “amico del sindaco”.
A dieci giorni dalla notizia del primo caso di contiguità  fra politica e mafia in Emilia Romagna, nessun dirigente del Pd ha espresso una critica.
Silenzio dal segretario regionale Stefano Bonaccini, poche righe da quello provinciale Davide Baruffi per esprimere fiducia “a Ralenti e alla magistratura” invitata a “a fare bene e presto”. Come se bene e presto fossero speculari.
Idem il centrodestra, capace di duellare quotidianamente su tutto, dai temi nazionali a quelli circoscrizionali: il capogruppo del Pdl in Provincia Dante Mazzi riassume la posizione di chi “non commenta in nome del garantismo”.
Sono in molti nel centrosinistra a chiedersi quale sia la linea del Pd.
Quella dell’impegno in tema di legislazione antimafia e in favore del sindaco Andrea Borghi di Bomporto (area Margherita) contro l’obbligo di dimora all’ ex detenuto per camorra Luigi Coppola o questo silenzio sugli incontri in Municipio tra un altro sindaco e un altro ex soggiornante?
Secondo Stefano Lugli e Nando Mainardi, segretari provinciale e regionale di Rifondazione Comunista, “la situazione è intollerabile e inaccettabile. Le istituzioni, la politica e la collettività  emiliano-romagnola devono dare un segnale netto e inequivocabile di distanza da questi episodi: il sindaco del Pd Luigi Ralenti deve andarsene”.
Franco Zavatti, del direttivo regionale della Cgil, cita il caso di Serramazzoni per ricordare i rischi di infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici, invitando gli Enti locali a proseguire sulla strada delle scelte ragionate anzichè delle offerte al massimo ribasso.
Roberto Adani, che da sindaco di Vignola fu il primo nel 2006 a denunciare questi pericoli, oggi vede confermate le sue tesi: “Al Coordinamento provinciale per la sicurezza mi dissero che esageravo e che i boss in soggiorno obbligato erano andati via da un pezzo. Il partito, che a quell’epoca aveva ancora diverse anime, si spaccò: da alcuni ebbi solidarietà , altri (leggi Margherita) mi dissero che infangavo il buon nome del territorio, ricco e ben governato. Ora fa molto riflettere sentire la ricomparsa di questi personaggi. Aspetterei quantomeno l’eventuale rinvio a giudizio per chiedere le dimissioni di Ralenti ma ritengo che incontrare un soggiornante obbligato non sia proprio da fare. E se fossi nei dirigenti del Pd avrei detto qualcosa”.
Anche il leader regionale di Sel Massimo Mezzetti, come e dopo Adani oggetto di gravi minacce (proiettili in busta chiusa) per le sue denunce, suona la sveglia ai dirigenti.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

argomento: Costume, denuncia, Giustizia, PD, Politica, radici e valori | Commenta »

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