Giugno 28th, 2011 Riccardo Fucile
INCHIESTA P4, FINALMENTE FLI SI SVEGLIA, DECISIONE PRESA ALL’UNANIMITA’ ANCHE CON UDC E API…LA GIUNTA PER LE AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE DECIDE MERCOLEDI’
I parlamentari del terzo polo voteranno sì all’arresto di Alfonso Papa.
La richiesta di custodia cautelare presentata dal gip di Napoli nell’ambito dell’inchiesta P4 sarà discussa dalla giunta per le autorizzazioni a procedere.
L’ex magistrato, ora deputato del Pdl, è accusato di concussione.
La giunta, che per analizzare approfonditamente la questione, ha chiesto ai pm partenopei tutti gli atti dell’inchiesta, dovrebbe esprimersi mercoledì.
Le carte dei pm di Napoli sono arrivate lunedì alla Camera dei deputati.
Non era mai accaduto che la giunta presentasse una tale istanza, che, la settimana scorsa è stata duramente criticata dall’opposizione.
Nella prossima riunione della giunta, il vicepresidente della Giunta e relatore del caso, Francesco Paolo Sisto, svolgerà il suo intervento.
Ci sarà un dibattito, quindi il voto.
L’annuncio sulla posizione che adotteranno i parlamentari finiani e gli alleati rutelliani e dell’Udc, è stato dato da Giuseppe Consolo, al termine di una lunga riunione.
«La decisione – ha spiegato Consolo – è stata presa all’unanimità¡».
Era ora che in Fli ci si svegliasse: basta favori o astensioni a favore della cricca governativa.
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Giugno 28th, 2011 Riccardo Fucile
COSA SI CELA DIETRO GLI OMISSIS DELL’INCHIESTA DI NAPOLI SULLA P4
Ci sono le cambiali di Daniela Santanchè per i debiti con gli Angelucci, gli affari della famiglia di Nicola Cosentino e soprattutto i nomi dei finanzieri sospettati di avere passato a Bisignani la soffiata sull’inchiesta P4 e sulle sue intercettazioni.
E non manca un verbale nel quale un testimone racconta di una ministra del Governo Berlusconi che, dopo essere stata interrogata dai pm Henry John Woodcock e Francesco Curcio, spifferava ad Alfonso Papa che lo stavano pedinando.
Il Fatto Quotidiano è riuscito a visionare i verbali integrali depositati nell’indagine P4 ed è inseguendo il senso nascosto delle parti coperte dagli omissis dei pm che si comprende quali sono i fronti caldi dell’indagine.
A partire dalla fuga di notizie che l’ha bruciata.
Nella parte finora inedita del suo verbale del 14 marzo 2011 Luigi Bisignani, assistito dai suoi avvocati Fabio Lattanzi e Giampiero Pirolo, racconta ai pm i rapporti economici triangolari tra il giornale Libero, la concessionaria di pubblicità di Daniela Santanchè, Visibilia e la Ilte del duo Bisignani (manager) e Vittorio Farina (socio).
Lo spunto è la telefonata del 14 ottobre 2011, intercettata dalla Gdf di Napoli e pubblicata dal Fatto, nella quale Bisignani racconta a Flavio Briatore: “se non era per me .. gli Angelucci la facevano fallire per fatture false (…) se non fosse stato per il mio intervento, facevano fallire la società per bancarotta. Tant’è che lei ha dovuto addirittura pagare delle cambiali. Tre milioni e due di cambiali”.
Quando i pm chiedono a Bisignani di spiegare le sue affermazioni, il lobbista mette a verbale: “la Santanchè aveva preventivato un budget di pubblicità di Libero che non era stato rispettato; in secondo luogo, quando parliamo di cambiali, va precisato che il gruppo Farina è creditore di Libero, che non paga la stampa da tempo poichè non percepisce contributi; a fronte di tale debito gli Angelucci hanno girato al Farina degli effetti cambiari rilasciati da Daniela Santanchè per 3 milioni di euro a chiusura dei suoi rapporti con Libero (o meglio della chiusura dei rapporti tra Libero e Visibilia); su tali cambiali gli Angelucci hanno apposto una dicitura che ne rende impossibile lo sconto bancario”.
C’è un capitolo finora inedito che è nato dall’inchiesta P4 ma punta sugli affari della famiglia di Nicola Cosentino nell’energia.
Il Fatto Quotidiano aveva già raccontato l’incredibile storia della centrale di Sparanise, Il 23 ottobre del 2009: “La storia della centrale”, scrivevamo allora, “è un perfetto esempio della mala-politica che sacrifica la salute pubblica sull’altare dell’interesse privatissimo dei familiari e degli amici dei politici di destra e di sinistra. Tutto inizia nel giugno del 1999 quando la società Scr, vicina alla famiglia Cosentino, ma di proprietà di una fiduciaria (che ne scherma la proprietà ) compra per 3 miliardi e 715 milioni di lire l’area industriale della Pozzi di Sparanise….La Scr vicina ai Cosentino incassa una plusvalenza di 10 milioni”.
Ora anche i magistrati di Napoli vogliono vedere chiaro nella storia dei terreni milionari della famiglia Cosentino.
Per questo Woodcock e Curcio hanno sentito lo svizzero Karl Keller, ex amministratore della Calenia S.r.l., società che avviò la costruzione della centrale. Keller spiega ai pm: “Inizialmente era prevista l’acquisizione di un’area più piccola. (…).
Dovevamo acquistare soltanto 100 o 120 mila metri quadri (…)di proprietà della S.C.R., società sostanzialmente controllata dalla famiglia Cosentino. Ho avuto a che fare con Giovanni Cosentino. In effetti, il prezzo iniziale doveva essere pari a circa 60-70 euro al metro quadro, quindi calcolavamo un esborso di 6-7 milioni di euro. (….) Poi le cose cambiarono.
Mi era noto che Giovanni Cosentino fosse fratello di Nicola Cosentino, politico della zona di importanza nazionale con incarichi governativi. (…). A questo punto per noi di E.G.L. spendere 450 milioni o 454 milioni di euro, era quasi lo stesso”.
Ben diversa la versione di Alfonso Gallo. L’imprenditore (sentito dai pm di Napoli per i suoi rapporti con Alfonso Papa) che ha costruito la centrale con la sua General Construction, ha detto: “Keller era molto preoccupato per la piega che le cose stavano prendendo. Mi disse che lui e la sua società si sentivano con le spalle al muro”.
Alfonso Gallo racconta: “L’onorevole Papa, per mettermi paura, mi ha recentemente detto che io ero stato fotografato dalla vostra polizia giudiziaria, fuori al Parlamento, insieme a lui; mi disse anche che tale foto era stata fatta vedere ad una Ministra che voi avete interrogato e che poi glielo aveva riferito. Obbiettivamente vi dico che tale racconto mi inquietò non poco”. Effettivamente al ministro Mara Carfagna fu mostrata dai pm una foto che ritraeva l’onorevole Papa con altre persone.
Ma il ministro non riconobbe chi fossero.
Marco Lillo e Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 28th, 2011 Riccardo Fucile
MARONI: “CON UMBERTO TUTTO A POSTO”…ROSY MAURO: “E’ ANDATA BENISSIMO”… IL CONGRESSO DEL VENETO SARA’ OCCASIONE DELLA CONTA AUTUNNALE, CON I MARONITI IN NETTO VANTAGGIO
“Armatevi e fate la pace».
Se basta una battuta per sintetizzare due ore di tensione e cristallizzare una tregua di facciata, la più riuscita è questa.
Chi la serve – la segreteria politica della Lega si è chiusa da un’ora, l’autore della freddura racconta di avere partecipato come altri a un «incontro bilaterale preventivo» con Bossi non senza un certo «imbarazzo» – non sdrammatizza più di tanto perchè sa benissimo che il braccio di ferro tra le «due Leghe» – colonnelli storici da una parte, Cerchio magico dall’altra – è solo rinviato.
A dopo l’estate.
Doveva essere il giorno della pacificazione ufficiale tra Bossi e Maroni: e così è stato. Con tanto di sigillo maroniano finale: «Con Bossi è tutto a posto» (unica frase in chiaro, unico a parlare, il ministro dell’Interno, oltre all’altrettanto rassicurante vicepresidente del Senato Rosy Mauro).
Il copione era già scritto, il demiurgo, anche oggi, è stato lui, il Senatur.
«Basta casini, dobbiamo andare avanti e stare uniti».
Il Capo lo ha ripetuto come un mantra. A tutti.
Li ha convocati nel suo ufficio, uno per volta, prima che iniziasse la riunione vera e propria durante la quale –così era stato deciso e così è stato–la crisi o crisetta interna al Carroccio è stata tenuta prudentemente fuori.
Bossi se li è presi in disparte uno a uno: Calderoli, Maroni, Cota, Reguzzoni, Bricolo, Mauro, Giorgetti, i veneti Zaia e Gobbo.
Un balsamo per provare faticosamente a tenere insieme – almeno finchè gli riesce – le due anime del Carroccio.
Divise da una crepa sempre più larga che lo stesso Bossi, negli ultimi giorni, aveva divaricato minacciando epurazioni e bacchettando I’«irresponsabile» Maroni e i suoi fedelissimi per le firme raccolte in favore di Giacomo Stucchi al posto di Reguzzoni come capogruppo alla Camera.
«Da oggi tutti sotto a lavorare senza invasioni di campo e senza personalismi», è stato il monito del segretario federale.
II quale, contrariamente a quanto affermato in pubblico, ieri non ha avuto nemmeno bisogno di ribadire ai suoi interlocutori che in Lega «decido io».
Lui e nessun altro: nemmeno Maroni e cioè il delfino che una larga fetta della base vorrebbe «presidente del Consiglio».
Il ministro dell’Interno lasciando via Bellerio si è fermato, è sceso dalla macchina e ai cronisti ha consegnato la frase fatidica: «Con Bossi è tutto a posto».
Ma il Senatur ha fiuto, sa bene che quella appiccicata ieri è solo una toppa provvisoria.
Il problema non sono (tanto) lui e Maroni.
Il problema sono le lame sempre più affilate che volano nella Lega.
«E’ solo tutto rimandato di qualche mese» – riferisce una fonte che ha partecipato all’ufficio politico.
Il cessate il fuoco siglato ieri – nei piani condivisi da entrambe le fazioni interne al movimento – dovrebbe servire a traghettare la balena verde fino ai congressi regionali che i maroniani hanno chiesto e ottenuto entro ottobre al massimo novembre.
«Lì si andrà alla conta e vedremo chi ha i numeri», minaccia un dirigente vicino al titolare del Viminale.
Gli oppositori che vorrebbero ridimensionare il Cerchio magico – del quale fanno parte Rosy Mauro, Reguzzoni, Bricolo e Cota – sono convinti di potere arrivare a una scontro finale. Con successo.
Il primo congresso sarà quello del Veneto.
Da una parte Bricolo, che si candida a segretario, dall’altra il candidato espresso dal blocco Tosi-Zaia.
Poi i delegati voteranno in Lombardia e Piemonte.
Raccontano che allo stato i numeri danno ragione alla corrente che fa capo ai colonnelli.
Con percentuali addirittura schiaccianti.
Ne è stata prova la raccolta di firme per Stucchi capogruppo alla Camera:46 deputati su 59. Una petizione poi sciolta nel pentolone da Bossi. Che ha confermato direttamente Reguzzoni fino a dicembre (poi subentrerà Stucchi).
In vista della riunione di ieri per riportare il sereno nel Carroccio Roberto Calderoli aveva addirittura preparato un documento: è stato accolto nei fatti, ma non c’è stato bisogno di firmarlo perchè la pax è arrivata con un accordo a parole.
«E’ andato tutto benissimo», ha chiosato alla fine Rosy Mauro.
Berizzi Paolo
(da “La Repubblica“)
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Giugno 28th, 2011 Riccardo Fucile
IL MINISTRO RESISTE A OGNI RICHIESTA DI SPUTTANARE SOLDI PER FINI ELETTORALI DI PDL A LEGA….BERLUSCONI: “STAVOLTA FINISCE MALE”…GIA’ CIRCOLA IL NOME DEL SUCCESSORE: BINI SMAGHI
È una guerra di nervi quella tra Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, ma l’epilogo è vicino.
E potrebbe portare a un clamoroso abbandono del ministro dell’Economia proprio alla vigilia della presentazione della manovra. I segnali ci sono tutti, le voci nel governo si rincorrono.
Chi ha sondato Tremonti riferisce che il ministro resta impermeabile a ogni richiesta di ammorbidimento della manovra.
“Chi parla in questi termini – ripete Tremonti – non ha capito cosa sta succedendo sui mercati. Venerdì scorso lo spread tra Btp e Bund ha sfondato il record, pensavamo fosse finita, e oggi il differenziale ha raggiunto i 223 punti: 9 in più rispetto a venerdì”.
Ma le prediche di Tremonti restano inutili.
Ha un bel dire il ministro che “rischiamo la Grecia”, che lui non metterà mai la firma su una manovra all’acqua di rose che possa “mettere a rischio i titoli pubblici e quindi i risparmi di milioni di famiglie italiane”.
Berlusconi non ci sente, Bossi nemmeno. A loro interessano i voti.
Eppure a Via XX Settembre la risposta per ora è ancora più netta: “Va a finire che i nostri btp diventeranno come i Tango-bond. I mercati non ci perdonerebbero una manovra soft”.
Questa mattina i tre si vedranno prima del vertice di maggioranza per tentare un’ultima mediazione.
Ma Tremonti avrebbe persino deciso di disertare il summit allargato a palazzo Grazioli per non farsi mettere in un angolo.
Giocando la carta finale, quella minaccia di dimissioni che dovrebbe riportare
alla ragione i due azionisti del centrodestra, Bossi e Berlusconi.
E tuttavia, se in passato questa tattica ha prodotto risultati, sembra proprio che il premier stavolta non sia dell’idea di trattenere Tremonti.
Lasciandolo andare, insalutato ospite, al suo destino.
La violenta polemica scatenata contro il ministro da un fedelissimo del premier, Guido Crosetto, è stata la spia del malumore che cova a palazzo Grazioli.
“Sono stanco – dice in privato il Cavaliere – di sentirmi dire: o così o niente. Questa volta Giulio, se insiste, potrà essere sostituito”.
Decisioni non sono ancora state prese, si tratta al momento di una partita a scacchi appena iniziata tra due giocatori – Berlusconi e Tremonti – che conoscono a menadito ciascuno le mosse dell’altro.
“Io – osserva il premier – condivido l’obiettivo del pareggio di bilancio, la tutela del debito italiano. Ma Tremonti non propone nulla per lo sviluppo e se il Pil non cresce, anche il rapporto con il debito è destinato a peggiorare”.
Sono due “verità ” al momento inconciliabili e destinate a cozzare.
Oltretutto, a peggiorare il clima, c’è anche una certa ruvidezza del personaggio, che sta facendo andare fuori dai gangheri i suoi colleghi di governo. “Nessuno di noi conosce questa benedetta manovra – confida un ministro furioso – , Tremonti non ce l’ha fatta leggere. Ma se pensa di fare come l’altra volta, di farci votare in 3 minuti un pacco misterioso, si sbaglia di grosso”.
Tremonti non si è fatto molti amici neppure in Parlamento, dove il progetto di tagliare i costi della politica ha fatto andare sulle barricate mezza maggioranza.
“Quello che tagliò meglio di tutti i costi della politica – ricorda il ministro Gianfranco Rotondi – fu il cavaliere Benito Mussolini. E anche allora i giornali applaudirono. Questo non significa che fosse una cosa giusto. Oltretutto è come se il Cda di un’azienda pensasse di andare avanti insultando e prendendo a schiaffi gli azionisti: i parlamentari alla fine si arrabbiano e ti mandano a casa, tanto dal primo maggio non si può più minacciare elezioni anticipate. E io a casa non ci voglio andare”.
L’arma forte di Tremonti, quella con cui è certo di poter mettere ancora una volta a tacere tutte le critiche, è ovviamente la minaccia di un attacco fenomenale della speculazione.
Il rischio c’è, è concreto, e il crollo simultaneo di tutti i titoli bancari lo scorso venerdì è stata un’avvisaglia di quello che potrebbe accadere.
Anche Napolitano predica cautela e vigilia sulle mosse del governo.
Per questo il Cavaliere, consapevole che la linea di Tremonti al momento è “dopo di me il diluvio”, per rafforzare la sua posizione negoziale si sta dando da fare per immaginare un sostituto.
Purtroppo per lui i nomi spendibili, quelli davvero in grado di rassicurare i mercati, non sono molti e quei pochi titolati non hanno intenzione di farsi arruolare in un esecutivo dalle prospettive incerte.
Ma nelle ultime ore si sta facendo strada un candidato su tutti gli altri: Lorenzo Bini Smaghi. Membro del board della Bce, Bini Smaghi è in corsa per andare al vertice della Banca d’Italia dopo l’accordo raggiunto all’ultimo Consiglio europeo sulle sue dimissioni da banchiere europeo.
Un nome in grado di tranquillizzare i mercati, soprattutto se iniziasse a circolare da subito, su cui il Quirinale non potrebbe sollevare obiezioni.
Al momento tuttavia si tratta solo di voci dentro il governo, la partita deve ancora cominciare.
Giorni fa, sicuro del fatto suo, Tremonti ha ricordato un aneddoto a un amico, a dimostrazione che il Cavaliere fa la faccia feroce ma alla fine si rivela un agnellino. “L’anno scorso ci provò allo stesso modo ad evitare la manovra. Mi disse: ma perchè non facciamo un bel condono? Poi se andò a via dei Coronari, in giro per antiquari, e dichiarò alle agenzie che lui il decreto ancora non l’aveva firmato. In realtà la manovra stava già sul tavolo di Napolitano per la promulgazione”.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Giugno 28th, 2011 Riccardo Fucile
IL FEDERALISMO FISCALE SI SCOPRE DEBOLE QUANTO LA SUA RETORICA…..IL “SOLE 24 ORE” RIVELA: GIA’ NEL 2010 AUMENTO DEL 7% DELLE TASSE LOCALI… IN FUTURO I RIDOTTI TRASFERIMENTI STATALI PORTERANNO ALTRI AUMENTI DEI TRIBUTI LOCALI
Con l’approvazione del provvedimento voluto dalla Lega, gli enti locali hanno cominciato a battere cassa per recuperare i mancati trasferimenti dal governo centrale. Risultato, una raffica di aumenti sulle imposte locali, nonostante le promesse elettorali.
Addizionale sulla Rc auto in aumento per 29 province fino alla soglia massima del 16%, l’omologa Irpef in crescita, +0,2% per due anni, in almeno 50 comuni, con l’elenco destinato probabilmente ad allungarsi.
Bastano questi esempi per alimentare l’allarme sempre più concreto lanciato dalle colonne del Sole 24 Ore.
In sintesi: gli enti locali battono cassa mentre il federalismo fiscale si scopre debole quanto la sua retorica.
Alla faccia di quella visione che la vorrebbe panacea delle sofferenze contabili, la tanto celebrata devolution fiscale si sta traducendo in un salasso aggiuntivo quanto imprevisto (almeno a prendere per buoni i proclami governativi) per circa 10 milioni di italiani.
Per i quali la tassazione viaggia inesorabilmente verso nuovi aumenti.
Il federalismo fiscale come strumento irrinunciabile per la riduzione delle tasse.
Per la Lega è il leitmotiv di una vita, il fulcro di una retorica “efficientista” da “padroni in casa nostra” (sic) secondo la quale la devolution delle imposte dovrebbe garantire la permanenza delle risorse sul territorio, la riduzione degli sprechi e lo sgravio generalizzato delle imposte caricate sui cittadini.
Un principio nemmeno sbagliato, in teoria, che disgraziatamente, però, si sta rivelando per ciò che è realmente: una clamorosa presa in giro.
Le cifre non mentono, come aveva già rilevato lo stesso quotidiano della Confindustria negli scorsi mesi.
Nel 2010, notava già ad aprile il Sole, le entrate tributarie dei comuni italiani erano aumentate di 1,3 miliardi rispetto all’anno passato registrando per i contribuenti un poco rassicurante +7% in termini di maggior carico fiscale.
Alla faccia delle promesse elettorali.
Già , le promesse elettorali.
A ben vedere il peccato originale si collocherebbe proprio lì, come risulta chiaro ormai da tempo.
“Aboliremo l’Ici sulla prima casa, avete capito bene” sentenziò Silvio Berlusconi al termine del (soporifero) duello televisivo con Romano Prodi alla vigilia delle elezioni 2006.
Una promessa divenuta realtà due anni più tardi — con l’estensione di un provvedimento con il quale il centro-sinistra aveva realizzato un primo significativo sgravio — con conseguenze semi disastrose per la maggior parte dei comuni italiani per i quali proprio l’imposta sugli immobili aveva rappresentato fino a quel momento una fondamentale fonte di reddito.
Per ovviare all’inconveniente gli enti locali scelsero allora l’unica strada percorribile: l’aumento delle imposte laddove possibile.
Nel 2010, ha notato il Sole, gli incassi derivanti dalla Tarsu, l’imposta sui rifiuti, hanno registrato una crescita del 15,8%.
Le tariffe per i servizi comunali sono aumentate mediamente dell’8% sulla scia di incrementi da record: +6,6% per gli asili nido, ha ricordato ancora il quotidiano finanziario, +10,6 per i parcheggi a pagamento, più 4,6 per le mense, più 10,8 per tutti i cosiddetti “altri servizi”.
Una tempesta di costi occulti, in altre parole, si sarebbe abbattuta sui cittadini per i quali l’abolizione della tassa immobiliare si sarebbe rivelata niente meno che una beffa senza eguali, specialmente nel confronto con il resto dell’Europa, dove la tassa sulla casa si conferma non senza ragione un punto cardine nella gestione dei conti pubblici locali.
Sul circolo vizioso, ovviamente, non pesa solo l’eliminazione dell’imposta.
A gravare sulle spalle degli enti c’è infatti anche, se non soprattutto, la riduzione dei trasferimenti da parte dello Stato.
Un fenomeno alimentato dalla difficile impresa del governo di far quadrare i conti riducendo il disavanzo pubblico con un progressivo taglio alla spesa.
Ad oggi, intanto, le entrate per l’erario sono tornate sui livelli pre crisi (115,4 miliardi di gettito complessivo nei primi 4 mesi del 2011) mentre il livello della pressione fiscale italiana si conferma il terzo del mondo (dopo Danimarca e Svezia) con un carico aggiuntivo, rispetto alla media Ocse, di 54 miliardi annui. Circa 850 euro in più per ciascun contribuente.
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Giugno 28th, 2011 Riccardo Fucile
L’IPOTESI DI REATO E’ IL VOTO DI SCAMBIO TRA I DUE ESPONENTI POLITICI ALESSIO SASO E ALDO PRATICO’ (ENTRAMBI EX AN) E IL BOSS GANGEMI…I RAPPORTI CHE EMERGONO DALLE INTERCETTAZIONI AMBIENTALI
L’ufficio del consigliere regionale della Liguria Alessio Saso (PdL), è stato perquisito dai carabinieri del Ros nell’ambito dell’operazione antimafia denominata `Maglio 3′ che ha portato ieri a 12 arresti.
Saso è sospettato della violazione del Dpr 16560 numero 560 articolo 86, l’antesignano del `voto di scambio’ che, tecnicamente, può essere contestato solo sotto elezioni.
Nella vicenda è coinvolto, per le stesse ipotesi di reato, anche il consigliere comunale, Aldo Luciano Praticò (Pdl).
Anche il suo ufficio è stato perquisito
Dalle intercettazioni ambientali si ricava l’ipotesi che la candidatura alle amministrative del 2010 di Alessio Saso, il consigliere regionale del Pdl, indagato per violazione del Dpr 16560 numero 570 articolo 86, ovvero il vecchio voto di scambio, possa essere stata sostenuta da Domenico Gangemi attraverso i contatti con Giuseppe Marcianò e Michele Ciricosta, capi della locale di Ventimiglia.
Si legge nelle oltre 200 pagine di ordinanza di custodia cautelare firmate dal gip Nadia Magrini: «Le intercettazioni del telefono di Gangemi consentivano di registrare già nel mese di novembre 2009 le telefonate con il consigliere regionale. Il primo contatto telefonico tra l’amministratore locale ed il `capo bastone’ avveniva il 28 novembre e lasciava chiaramente intendere una loro pregressa conoscenza».
Il consigliere regionale Alessio Saso incontrò per due volte Giuseppe Marcianò, cugino del boss della `ndrangheta condannato per l’omicidio di Francesco Fortugno e capo della Locale di Ventimiglia.
È lo stesso Saso che ne parla con Domenico Cangemi, capo della Locale di Genova, al quale aveva chiesto aiuto per le elezioni.
È il 19 febbraio 2010 quando Gangemi chiama Saso al cellulare.
Gangemi: «passa a trovare Peppino (Giuseppe Marcianò), mio cugino »
Saso: «si»
Gangemi: «Vacci da solo però, hai capito? »
Saso: «si, ci sono già stato, ci rivado un’altra volta»
Gangemi: «no, no… io mi sono visto con lui domenica, ha tentato di telefonarti ma non hai mai risposto. Saso: ah, ma era libero? Gangemi: eh, sempre o chiuso o non raggiungibile»
Saso: «eh si, perchè sto sempre… sempre in mezzo alla gente, guarda, sono nella campagna elettorale mortale, proprio mortale».
Gangemi: «io ne ho parlato, abbiamo fatto una chiacchierata e lui gradisce che vai a trovarlo tu solo, capisci?»
Lo stesso Saso, incontra nel point elettorale di Arma di Taggia il nipote di Gangemi, Massimo, e un suo amico, Vincenzo La Rosa.
I due si presentano come sostenitori di Eugenio Minasso, parlamentare del Pdl, eletto, sostengono, grazie ai loro voti.
A loro due, il politico dice: «Io nel mondo che conoscete anche voi, insomma, sono conosciuto anche come una persona… affidabile va… mettiamola così, sei io dico una cosa mi impegno sempre in tutte… quello credo che me la riconoscono tutti… voi potete prendere informazioni in giro cerco di mantenere le promesse… Il discorso naturalmente del rimborso spese è naturale… Non ho quantità di soldi eccezionale, però assolutamente si». Continua Saso: «Io poi sono una persona che, a parte questo ragionamento che stiamo facendo, sono una persona che anche dopo ci si puo’ contare… se uno mi chiede un lavoro, mi chiede un finanziamento… do anche quello… eh… io sono sempre rimasto in buoni rapporti con tutti».
Raccomandazioni per telefono da parte di Aldo Praticò, consigliere comunale del Pdl a Genova, al boss Domenico Gangemi su come votare.
La telefonata, intercettata dai carabinieri del Ros di Genova che stamani hanno recapitato un avviso di garanzia a Praticò per voto di scambio, risale al febbraio 2010.
È Gangemi che chiama Praticò.
Gangemi: «senti Aldo, quando nella cosa che dice così… vota così… Praticò: «sì»
Gangemi: «devono sbarrare Popolo della Libertà »
Praticò: «devono»
Gangemi: «o devono sbarrare anche Sandro Biasotti»
Praticò: «si, si, più che altro… tanto a Sandro Biasotti va in automatico l’importante è che scrivono accanto per il Popolo della Libertà »
Praticò: «punto. È in automatico»
Gangemi: «e sbarrare popolo della Libertà basta? Praticò: si, si (omissis)
Praticò: in automatico quindi è meglio abbondare a fare una x perchè ci sono i presidenti comunisti Gangemi: sì’. I carabinieri del Ros notano che «non è un caso che 500 voti circa sui 2228 siano stati annullati tutti per la medesima ragione, avendo scritto il cognome Praticò accanto a quello di Biasotti e non accanto alla lista Pdl nella quale risultava candidato Praticò.
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Giugno 28th, 2011 Riccardo Fucile
PERDONO ALTRO TERRENO PDL E LEGA, CRESCE IL PD DI CINQUE PUNTI… TRA GLI ALTRI BENE SOLO IDV AL 7,8%, IN CALO SEL, UDC E FLI… TRA I LEADER VOLA TREMONTI (54,5)…BOSSI E IL PREMIER ULTIMI IN GRADUATORIA
Pd primo partito; centrosinistra che, nelle preferenze degli elettori, “stacca” le forze di governo: gli equilibri elettorali sono notevolmente mutati, negli ultimi mesi, in particolare dopo le tre “sberle” ricevute da Pdl e Lega alle elezioni amministrative e ai referendum.
Più in generale, l’Atlante Politico di Demos rileva un clima d’opinione segnato da importanti novità .
Le previsioni sull’esito delle prossime consultazioni politiche colgono meglio di ogni altro indicatore i cambiamenti in corso.
Se a dicembre oltre il 60% degli intervistati prevedeva una vittoria del centrodestra, oggi la maggioranza considera favorito il centrosinistra (52%).
Le intenzioni di voto hanno, come sempre accade, un’evoluzione più lenta, ma mostrano tendenze difficilmente equivocabili.
A beneficiare dell’attuale momento politico sono soprattutto Pd e Idv.
Il primo sale di oltre cinque punti rispetto ai valori di inizio anno e lambisce la soglia del 30%.
Il partito di Di Pietro, forte del ruolo da protagonista svolto nella campagna referendaria, incrementa in modo rilevante i propri consensi, tornando sui livelli del 2009 (7.8%).
Cresce d’altra parte la fiducia per l’ex-magistrato (39%), che fa segnare un balzo di sei punti rispetto a febbraio.
A un livello superiore si attesta la fiducia per Vendola (41%), che però appare in calo, mentre il successo degli esponenti di Sel alle recenti amministrative si traduce solo in misura limitata in intenzioni di voto per il partito a livello nazionale (5.6%). Complessivamente, salgono nettamente i consensi per una possibile coalizione formata da Pd, Idv, Sel e altre forze di centrosinistra: come somma dei singoli partiti e, ancor più, in un (ipotetico) confronto maggioritario.
Le aspettative di cambiamento prodotte dalla recente tornata elettorale, peraltro, sembrano rafforzare, nell’opinione pubblica, la prospettiva bipolare.
Complicando il percorso del neonato Terzo Polo: il cartello centrista, negli ultimi quattro mesi, ha perso quasi un quarto dei potenziali consensi.
In flessione risultano anche i partiti e i leader di quest’area: nelle intenzioni di voto, si assottigliano le preferenze per l’Udc (6.7%) e per Futuro e libertà (3.7%).
Tra le forze che corrono al di fuori dei due principali schieramenti, va segnalata la progressione del Movimento 5 stelle, oggi al 4%.
La polarizzazione delle opzioni di voto non favorisce però, se non in modo marginale, il blocco di centrodestra.
Sia la Lega (10.8%) sia il Pdl (26.4%) arretrano, e ancora di più si contrae l’apprezzamento dei rispettivi leader. Bossi (27%) e Berlusconi (26%) occupano le ultime due posizioni di una graduatoria dominata da quello che, sempre più, si configura come un avversario interno: il ministro dell’Economia Tremonti (55%), seguito dalla radicale Bonino (42%).
Del resto, i giudizi positivi per l’esecutivo sono al minimo storico (27%), e i due partner di governo devono affrontare problemi complessi, di non facile soluzione. L’elettorato leghista è attraversato da inquietudini e insofferenza, diviso tra il sostegno al governo e il desiderio di riprendere un ruolo autonomo.
Nell’elettorato che in passato aveva votato Pdl esiste, invece, una componente molto ampia di indecisi che non esprime per ora una precisa intenzione di voto: non conferma la precedente scelta, esita per una opzione diversa e può essere tentata dall’astensione.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 28th, 2011 Riccardo Fucile
L’AUTONOMIA FINANZIARIA PERMETTE DI SPENDERE MILIARDI DI EURO SENZA ALCUN CONTROLLO E SPESSO ANCHE CON LA GARANZIA DI UNA CERTA SEGRETEZZA
La chiamano “autonomia finanziaria e contabile” ed è il meccanismo che permette alla Presidenza del Consiglio dei ministri (ma anche, di rimbalzo, alla Protezione civile) di spendere — di fatto — miliardi di euro senza alcun controllo.
Il sistema consente a Palazzo Chigi di adoperare i propri fondi in “autonomia”, senza cioè rendere conto al ministro dell’Economia per “contrattare” gli stanziamenti, nè alla Corte dei conti di mettere in atto un controllo preventivo che abbia una qualche efficacia.
I soldi sono messi in mano al Segretariato generale che ha la possibilità di spenderli in autonomia e, nella maggior parte dei casi, anche con una certa segretezza legata al ruolo “sensibile” del Palazzo di governo.
Per capire come funziona il sistema dobbiamo immaginare un fiume che nasce dal ministero dell’Economia e finisce nella palude del governo: un fiume che non ha argini prima di immergersi nella sua destinazione finale.
Prendiamo la breve nota che, a fine anno, la Presidenza presenta per rendicontare le proprie spese.
Nel 2006 l’ammontare dei soldi ottenuti da Palazzo Chigi era intorno al miliardo e seicento milioni ma a fine anno il governo ne aveva impegnato uno e duecento, nel 2007 si era passati a tre miliardi e cento milioni stanziati ma se ne erano impegnati due e duecento, dei tre miliardi e 300 milioni avuti nel 2008 se ne erano invece impegnati solo due e cento.
Che siano impegnati o meno, però, quei fondi continuano a restare nel salvadanaio della Presidenza, da mettere nel conto dell’anno successivo o da spendere per altro. Facciamo un esempio: si è deciso di investire sette milioni per un sito Internet? Se ne impegna uno soltanto?
Bene, gli altri sei tornano nel calderone per essere allocati da un’altra parte dal sottosegretario alla Presidenza, che è in qualche misura come l’amministratore unico del Palazzo.
Ma c’è di più: perchè tra il bilancio di previsione e quello effettivo, vale a dire tra la richiesta iniziale e quella finale, l’anno scorso ci fu un dislivello di un miliardo e mezzo. Un’enormità .
È ovvio che un sistema che permette così elevate capacità di spesa, un controllo a bassa intensità , una minima trasparenza (data solo dalla nota assai sintetica che spiega che si sono spesi 3 miliardi invece di uno e mezzo) e una scelta che sta in capo a pochissime persone, è il luogo ideale per l’annidarsi di cricche, lobby, amici e amici degli amici.
Nei corridoi di via della Mercede si racconta di come un imprenditore che aveva la propria attività nella strada in cui viveva un ex segretario alla Presidenza avesse vinto un appalto proprio in quella sede di governo.
E certo ci si stupisce che un ristoratore che ha un negozio di due vetrine in un quartiere periferico della Capitale sia riuscito a conquistare il bando per la ristorazione nientemeno che alla Presidenza del Consiglio.
Nulla di illegale, probabilmente, ma la il problema “strutturale” è davanti gli occhi di tutti se si pensa che i magistrati napoletani stanno mettendo le mani proprio sugli appalti del Palazzo.
Come a Perugia e a Roma si indaga sugli appalti della Protezione civile e su quelle ordinanze in deroga che finivano per favorire imprenditori vicini a uomini dello Stato, così, seguendo la scia della P4, i pm napoletani Henry John Woodcock e Francesco Curcio sono finiti per impattare nella Italgo di Anselmo Galbusera che già aveva avuto rapporti con Palazzo Chigi ai tempi in cui quella società si chiamava Delta e fu messa al setaccio dalle indagini di Luigi De Magistris e Gioacchino Genchi.
Tra i tagli da compiere sul comparto pubblico, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti aveva inizialmente ipotizzato di mettere mano anche al sistema dell’autonomia.
A vedere le indiscrezioni fatte filtrare dal ministero di via XX Settembre sulla manovra da 43 miliardi da annunciare in settimana, l’assalto con le forbici al Palazzo di governo sembra essere fallito ancor prima di partire.
Eduardo di Blasi
(da ‘Il Fatto Quotidiano‘)
argomento: Berlusconi, Costume, governo, Politica | Commenta »